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Ambiente

Su una decrescita felice…

di Davide Morelli
14 Marzo 2024

Un’ossessione è un’idea fissa indesiderata e perciò  egodistonica. Come nasce un’ossessione? Nessuno lo sa con certezza. Può essere dovuto a un mix di fattori neurologici, ambientali, sociali. Può dipendere dal nostro vissuto, da un trauma che abbiamo vissuto nell’infanzia e non abbiamo ancora superato oppure da un lutto o un’assenza che non abbiamo ancora elaborato.   È come chiedersi come nascono i pensieri, perché in fondo l’ossessione è un pensiero ricorrente malsano. Chi soffre di disturbo ossessivo compulsivo assume farmaci antidepressivi; in alcuni casi chi ha deliri di persecuzione può prendere farmaci neurolettici, che riducono l’ideazione. Ci sono ossessioni che sono considerate patologiche e invalidanti, mentre altre sono così comuni, diffuse da essere accettate socialmente e ritenute normali. Il paradosso di questa società è che certe ossessioni innocue (perché non socialmente pericolose) e individuali sono ritenute patologiche, mentre altre ossessioni collettive, dannose per tutti, sono considerate normali. Insomma un’ossessione condivisa, anche se dannosa per la stessa collettività, non deve essere curata. Quando ancora c’erano i manicomi non a caso qualcuno sosteneva che “i pazzi sono fuori”.  Le ossessioni  dell’uomo occidentale contemporaneo di consumare, di produrre sempre più sono considerate normali, anche se, a forza di consumare oggetti, finisce per consumare anche sé stesso e per condannare l’intera umanità. Quando considereremo patologiche per l’intera collettività certe ossessioni consumistiche? Se ragioniamo a rigore di logica e con un minimo di umanità ci accorgiamo che la normalità della massa riguardo alle problematiche ambientali è patologica! Ma se è già difficile la terapia per le ossessioni individuali, come fare a eliminare o ridurre quelle collettive? Già i desideri sessuali devianti sono difficili da eliminare, e a proposito esiste tutto un dibattito sulla reale efficacia della castrazione chimica, ma le ossessioni consumistiche sono più difficili da estirpare perché sono desideri collettivi, ritenuti legittimi, condivisibili. Non bastano gli psicologi e gli psichiatri: ci vuole una vera rivoluzione culturale per cambiare rotta. Solo una vera rivoluzione culturale può cambiare la mentalità comune o almeno aumentare la sensibilità riguardo all’ambiente. È davvero necessario ad esempio  guidare macchine a benzina di grande cilindrata? È davvero necessario che in tutto il mondo si guidi macchine a benzina? Perché non comprare macchine elettriche o a GPL? È davvero necessario andare a fare shopping, parcheggiando la macchina davanti al negozio? Perché non prendere esempio dall’Olanda e dalle sue biciclette? Posso capire le persone anziane, ma gli altri non potrebbero andare più spesso a piedi o in bicicletta? Perché poi non bere acqua del rubinetto invece di acquistare bottiglie di acqua, tutte di plastica? Forse non lo abbiamo ancora capito che ciò che è comodo non sempre è salutare per noi e spesso è dannoso per l’intera collettività.  Si può anche vivere producendo e consumando di meno, come facevano del resto i nostri avi! Certe cattive abitudini consumistiche sono state normalizzate da tempo,  nel senso più letterale del termine, ovvero sono ancora la norma. Il consumismo occidentale ha al suo servizio i mass media, la pubblicità, i vip, gli influencer. Il mercato crea continuamente nuovi bisogni, ma ci vorrebbe un minimo di consumo critico, che riconosce in quei nuovi bisogni dei falsi bisogni. Forse se tutti fossero consumatori critici, l’intero sistema capitalistico si incepperebbe. Ma è auspicabile una grave crisi economica mondiale temporanea  o l’Apocalissi totale e irreversibile dovuta all’inquinamento? Se continuiamo così arriviamo al punto di non ritorno! Inoltre basterebbero piccoli cambiamenti collettivi per la cosiddetta “decrescita felice”! Basterebbe davvero poco! Ognuno nel suo piccolo potrebbe cambiare un poco! Sempre meglio che andare tutti insieme verso l’abisso! La maggioranza ha salvato Barabba e ha fatto crocifiggere Cristo, ha condannato Socrate, ha dato potere a Hitler e Mussolini! Certi stili di vita producono una ritualità collettiva, una serie di abitudini diffuse e consolidate, stratificate da tempo immemorabile nelle nostre coscienze, e perciò difficili da scardinare.  Il cambiamento dovrebbe avvenire top-down, ovvero dall’alto. Ma spesso i governanti non dimostrano responsabilità,  lungimiranza e sono troppo influenzati dalle lobby economiche e finanziarie. Allora ci vorrebbe un grande cambiamento dal basso, ovvero bottom-up, ma questo richiederebbe una grande presa di coscienza collettiva, che ancora non è avvenuta. Perché il cambiamento delle nostre abitudini e del nostro stile di vita non avviene? Anche per motivi psicologici: la resistenza al cambiamento,  l’inerzia, la pigrizia, la minimizzazione delle problematiche ambientali, il conformismo. Se dall’alto poi non viene dato il buon esempio, perché io, semplice cittadino, devo essere virtuoso e coscienzioso? E poi come si suol dire: “io sono vecchio, ci penseranno i giovani”. Ma che mondo lasceremo ai posteri, che per alcuni saranno i loro figli? Prima ancora del cambiamento di comportamento ci vorrebbe il cambiamento di atteggiamento e questo non è ancora avvenuto. C’è  solo una minoranza di persone ragionevoli che protestano, che si incazzano, che prendono a cuore queste tematiche. La psicologia ci insegna che la minoranza per far cambiare atteggiamento alla maggioranza deve avere buone argomentazioni, deve essere ostinata e coerente. Per ora la minoranza riguardo alle tematiche ambientali non ha voce in capitolo nei media e l’unico modo, peraltro errato, che ha per far parlare di sé sono le azioni vandaliche o terroristiche. I mass media infine hanno gioco facile a identificare tutto il movimento ambientalista con qualche ecoterrorista! L’unico modo per cambiare le cose è che questa minoranza non odi i media, ma diventi essa stessa media, come sosteneva qualche anno fa in uno slogan il popolo di Seattle. Ma la strada è ancora lunga, impervia,  faticosa e difficile.

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