Le conseguenze del 4 Novembre nell’anno 2015

4 Novembre 2015

Caporetto non fu la sconfitta che si tramanda, Vittorio Veneto non fu la vittoria celebrata. Caporetto fu una pesante sconfitta militare. Come in tutte le guerre ne patirono la Francia sul cui suolo si combattè per quattro anni, la Germania che tradì per ignavia il piano Schlieffen e fu suonata sulla Marna, il Regno Unito che sulla Somme lasciò inutilmente i suoi caduti, l’impero Austroungarico che le prese di santa ragione dai Russi reduci a loro volta dalle botte incassate a Tannenberg.

Da Caporetto l’Italia uscì molto più ordinatamente di quanto si dice: perse quasi tutta l’artiglieria e gran parte delle munizioni ma si attestò sul Tagliamento e poi sul Piave dimostrando che il meccanismo di comando reggeva, l’esercito non evaporò e il sistema industriale in 15 giorni rimpiazzò le munizioni, in tre mesi gran parte dell’artiglieria. Gli alleati mandarono le divisioni richieste ma furono tenute a lungo come riserva. Fu una battaglia militare con conseguenze politiche che portò non solo all’allontanamento di Cadorna e della dottrina della Rupture mutuata dai francesi ma anche alla caduta del governo e alla ascesa di Vittorio Emanuele Orlando. Vittorio Veneto, esatto contrario, fu una battaglia politica con conseguenze militari voluta per evitare che sul fronte occidentale si arrivasse all’armistizio mentre il fronte italiano rimaneva ancorato al Piave senza vittorie da gettare sul tavolo della pace. Costò cara, 36.000 tra caduti e feriti in pochi giorni e non ottenne i risultati politici sperati: dopo il mito della disfatta di Caporetto nacque il mito della Vittoria Mutilata, due eventi storicamente “falsi” ma stampati con non poche conseguenze nell’immaginario collettivo del Paese.

A dispetto di una storiografia europea sul primo conflitto mondiale scritta principalmente da chi si dichiarò vincitore, Francia e Regno Unito, la sconfitta degli Imperi centrali va analizzata attraverso le memorie del perdente Erich Ludendorf che indica due eventi: quello militare, e cioè il fallimento della Battaglia del Solstizio sul Piave del giugno ’18 che indebolì il dispositivo militare austroungarico al punto da rendere possibile il suo crollo, combinato con quello politico della frantumazione del consenso intorno alla monarchia, cosa che portò nei giorni di fine ottobre alla ritirata dal conflitto delle truppe Honved che con armi e artiglierie se ne tornarono in Ungheria. Contrariamente alle convinzioni degli alleati, senza la caduta dell’Austria sul Piave i tedeschi avrebbero potuto reggere ancora a lungo sul fronte occidentale, a tal punto che assistemmo, caso forse unico della storia, ad una resa dell’Impero tedesco mentre le sue truppe occupavano ancora la Francia.

Detto ciò non solo per amor di patria, le conseguenze irrisolte di quel conflitto appaiono oggi ancor più pesanti di quanto si percepisca e non si esaurirono nella previsione profetica del generale Foch secondo la quale Versailles avrebbe garantito solo un armistizio e solo per vent’anni. Le discussioni che si aprirono intorno al principio di autodeterminazione dei popoli e della sua rischiosissima legittimazione etnica furono uno dei motivi per cui si puntò 40 anni dopo (e si deve ancora oggi puntare) sull’Unione Europea. Lo spostamento dei confini e i conseguenti nazionalismi sono passati indenni attraverso la Seconda guerra mondiale, la Guerra fredda e si ripresentano oggi con terribile attualità nei paesi dell’allargamento ad Est (ma non solo) che dell’Unione Europea hanno percepito esclusivamente il significato economico, affidando quello militare alla Nato e scambiando l’Europa intergovernativa del Consiglio dei ministri come una permanente Conferenza di Parigi. Come leggere se non in chiave storica, di quella storia che rimane stampata nel dna di un popolo prima ancora che nei libri di testo, le contemporanee vittorie nazionalistiche in Polonia Ungheria e Bielorussia, il conflitto in Ucraina, i timori baltici, il palazzo ottomano di 1.200 stanze di Erdogan e il voto che gli ha riaffidato il potere?

Noi in questi giorni abbiamo discusso di Caporetto e Vittorio Veneto. Lo possiamo fare perché nei nostri licei, nelle nostre scuole al di là della inevitabile propaganda si studia ancora la storia e si prova a darne anche una visione almeno europea (la guerra di secessione americana sembra avere nei testi importanza pari alla rivolta dei Boxer in Cina…). Ma in quanti paesi europei si studia ancora storia nella secondaria superiore e, soprattutto, che storia insegnano? E in un momento in cui la paura del futuro attanaglia in modi diversi le società europee, in cui le guerre di religione si riaffacciano incrociandosi con le rivendicazioni di identità nazionali secondo i populisti messe a rischio di invasione degli infedeli, l’Europa, fallito il processo costituzionale, non sa trovare nei suoi leader, nei suoi capi di governo, nelle sue elite economiche e culturali quei protagonisti preparati che le sarebbero necessari; in una parola: degli Statisti. Selezionate negli anni della pace garantita da altri, cresciute nella convinzione che l’Europa sarebbe pacificata per sempre, le élite europee non sanno più misurare i propri limiti e quelli altrui. Da più parti, e con non poche ragioni, avanza per i giorni odierni il paragone politico con il 1914: ci rifletterei molto ed eviterei volentieri di ritrovarmi a vincere a Vittorio Veneto e magari con gli americani in fuga non solo dal Medio Oriente ma da quello che allora definirono il “Pantano Europeo”.

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TAG: europa, Unione europea
CAT: Storia

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