Attenti ai Balcani, il teatro di Jeton Neziraj e il negazionismo di Peter Handke

26 Gennaio 2024

FIRENZE _ Handke il negazionista. Venti anni dopo il conflitto nei Balcani la Storia è ancora lì che batte il campo tra vincitori e vinti. Tra nostalgici e chi agita dubbi e interrogativi sul rapporto tra arte e potere, il “politicaly correct” e la manipolazione, prima sotterranea e sfuggente poi evidente e manifesta. L’austriaco Peter Handke, celebrato scrittore di lingua tedesca, che ha venduto milioni di copie dei suoi romanzi in tutto il mondo ha scelto di legare il crepuscolo della sua carriera di intellettuale e autore al sostegno della linea politica serba durante l’ultimo conflitto dei Balcani senza levare la voce in occasione della strage di Srebrenica. Oltre ottomila uomini e ragazzi mussulmani bosniaci tra il 6 e il 25 luglio 1995 furono uccisi e gettati in fosse comuni. Fu un genocidio ad opera dell’esercito serbo di Bosnia ed Erzegovina comandato dal generale Ratko Mladic (poi condannato dalla corte internazionale di giustizia nel 2007 assieme a Radovan Karadzic, presidente serbo di Bosnia Erzegovina) perpetrato per giunta in una zona che era sotto le insegne protettive dell’Onu.

In un primo momento Handke aveva invitato a non “demonizzare” il popolo serbo. Poi dopo una permanenza in quei territori (il resoconto in “Un viaggio d’inverno ovvero giustizia per la Serbia”) aveva assunto posizioni sempre più radicali fino a tenere l’orazione funebre per il leader serbo Slobodan Milosevic che di quell’empio massacro portava le stimmate della responsabilità, politica e morale. Milosevic, allora premier dell’ultima Yugoslavia morì durante la sua residenza all’Aia dove era sotto processo per numerosi crimini e stragi di guerra. Queste pagine di vissuto contemporaneo ed europeo tornano di attualità in virtù del “j’accuse” lanciato da uno spettacolo di una compagnia teatrale indipendente kosovara, Qendra Multimedia, in “The Handke Project” che il 2 e 3 febbraio andrà in scena sul palcoscenico del teatro Rifredi di Firenze (alle ore 21) per iniziativa della Fondazione Teatro della Toscana che l’ha co-prodotta con il Mittelfest.

Lo scrittore e drammaturgo kosovaro Jeton Neziraj figura di punta del panorama culturale dei Balcani  il 2 febbraio in Italia con lo spettacolo “The Handke Project” (foto Slavica Ziener)

“Il rapporto è nato con il Kosovo, Qendra Multimedia e Jeton Neziraj e passa attraverso la nostra relazione con il Mittelfest, il festival di base a Cividale che con noi coproduce questo spettacolo e produrrà anche il prossimo “Negotiating peace”_ così racconta Riccardo Ventrella, responsabile delle relazioni estere del Teatro della Pergola di Firenze _ che sarà di scena a Cividale la prossima estate. Assieme a Mittelfest, anche noi del Teatro della Pergola abbiamo voluto gettare lo sguardo in un’area così delicata e importante come i Balcani meridionali dove esiste una scena culturale estremamente vivace. Nel Kosovo in particolare risiede una ricerca teatrale molto viva e quella di Jeton Neziraj è una di quelle che solleva domande importanti sulla storia recente. E’ un teatro difficile a definire: molto “tedesco” nel modo di affrontare le questioni d’attualità circola con grande difficoltà in Italia. Siamo particolarmente soddisfatti per le evoluzioni che il nostro rapporto sta avendo con un’area come questa, una Europa ancora da venire, ma molto vicina, e ci mette in contatto con una realtà particolarmente effervescente. C’è il piacere poi di avere incontrato tra gli interpreti di questo allestimento un giovane artista come Klaus Martini. Un attore a metà tra l’Italia e l’Albania selezionato a Firenze per prendere parte alla nuova opera di Bob Wilson che ci vede come produttori”.

“In Kosovo – racconta Klaus Martini, presente all’incontro- hanno una forza vitale migliore della nostra in virtù degli accadimenti politici storici che hanno vissuto e vivono. Si percepisce il fermento che c’è adesso da quelle parti. Sarebbe auspicabile che accadesse prima o poi anche in Italia. In questo senso la mia esperienza con “The Handke Project” è significativa. Prima di iniziare le prove dello spettacolo ci è stata chiesta (il cast è multinazionale) una adesione al lavoro, in considerazione di un materiale molto duro da portare in scena. E Jeton Neziraj, l’autore del testo ci ha chiesto: “ve la sentite di rischiare con me?”. In questo modo non sono più solo un interprete ma mi sento anche autore perché scelgo e accetto di fare parte di un progetto collettivo ben preciso. Esperienza quindi positiva e più politica che in Italia dove questo tipo di scelta è sempre assai difficile. Forse è la nostra storia che ci influenza… Tornando alla domanda e guardando non solo all’Italia penso che sia necessario avere una posizione ben precisa, non solo artistica ma anche politica”.

Giancarlo Mordini, direttore del Teatro Rifredi, dove approderà lo spettacolo prodotto dalla Fondazione Toscana Teatro, dal canto suo ha ricordato come “quando si è parlato dei progetti internazionali, una vocazione d’altro canto storica del Rifredi -quella di occuparsi di drammaturgie del contemporaneo-, ci siamo resi conto di non aver mai esplorato quella parte d’Europa. Siamo curiosi, noi per primi, di allargare gli orizzonti. Ribadisco il concetto di Ventrella: quello di Neziraj è un teatro non abituale ai palcoscenici italiani: ha un’impronta politica e ciò fa capire quanto quel conflitto sia ancora una ferita aperta per albanesi e kosovari. Sarà stimolante conoscere questo tipo di esperienze. Viva la nuova drammaturgia e viva la possibilità di scoprire nuovi attori e nuovi testi”.

Una scena collettiva nello spettacolo “The Peter Handke Project” di Jeton Neziraj ,  prodotto da Toscana Teatro e Mittelfest il 2 e 3 febbraio è di scena al Teatro Rifredi di Firenze

The Peter Handke Project” è quindi un esempio di teatro politico che alza irriguardoso un sipario su una pagina oscura nella vita di un Premio Nobel. Anzi, fu proprio la pubblicazione del verdetto della giuria del Premio svedese di attribuire, nel 2019, il sommo riconoscimento ad Handke, che farà scattare negli stessi giorni, in mezza Europa, moti di protesta e contestazioni all’indirizzo dello scrittore, oggi 82enne, che vive in Austria a Griffen, il paese che gli ha dato i natali. Inutile dire che la presa di posizione di Handke si attirò fin da allora molti strali da parte di intellettuali e artisti, oltre alle “Madri di Srebrenica” che presentarono al premio svedese la richiesta di revocare il riconoscimento ad Handke perchè “ha difeso i carnefici”. Slavoj Žižek, filosofo sloveno docente presso il Birbek College dell’Università di Londra non esitò a definire Handke “apologeta di guerra”. E come lui tanti altri presero posizioni simili iniziando ad esempio da Salman Rushdie

Autore del testo che andrà in scena al Rifredi di Firenze è il giovane e prolifico drammaturgo Jeton Neziraj, già direttore artistico del Teatro Nazionale del Kosovo e attuale direttore di Qendra Multimedia. Alle spalle ha ben 25 opere teatrali molte delle quali tradotte e rappresentate in diversi Paesi, dall’Europa all’America, ricevendo per altro tantissimi premi e riconoscimenti. Neziraj stesso ha presentato così la sua opera intitolata per intero “The Handke project” -”Oppure giustizia per le follie di Peter”.

L’opera è “una performance teatrale sullo scrittore Peter Handke che con i suoi libri e atteggiamenti ha manipolato e stravolto i fatti relativi alle guerre nella ex-Jugoslavia, ha avallato e sostenuto l’ideologia della “terra bruciata”, ha tessuto le lodi dei poeti e registi militanti serbi convertiti a “ingegneri dei progetti di genocidio”. Al funerale del criminale Milosević, Handke disse davanti a una massa di persone assetate di sangue che egli “non sapeva la verità” e che per questo era lì “vicino a Milosević, vicino alla Serbia”, arrivando a sostenere che la sofferenza dei serbi era paragonabile a quella degli ebrei durante il nazismo!”

Artisti dal Kosovo, Serbia, Bosnia ed Erzegovina, Italia, Macedonia del Nord, Francia, Monte Negro e Germania discutono delle “follie di Peter” anche alla luce della guerra in Ucraina, in un tempo in cui molte istituzioni culturali europee hanno chiesto agli artisti russi di prendere pubblicamente posizione rispetto alla guerra in Ucraina. La tendenza è quella di “depennare” quegli artisti russi che sostengono la guerra. Nel frattempo, Handke e suoi sostenitori europei continuano a cavalcare liberi, anche sopra le 8.000 tombe delle persone morte a Srebrenica. Dunque, come disse bene Eric Gordy: Handke è kitsch! Ma anche il suo Nobel è kitsch. E i sostenitori di Handke sono kitsch. E kitsch è anche l’ipocrisia europea”.

Cast internazionale per lo spettacolo “The Handke Project” che mette sotto tiro le posizioni negazioniste dello scrittore austriaco sul conflitto balcanico degli anni Novanta

Jeton Neziraj non risparmia di certo le critiche verso lo scrittore austriaco e chi cerca di minimizzare o assolverlo addirittura per la sua condotta. In collegamento da Pristina il drammaturgo kosovaro ha risposto a una serie di domande poste dalla stampa italiana nel corso di una intervista collettiva.

Peter Handke è stato presente nei media balcanici fin dagli anni Novanta -spiega Jeton Neziraj- è il periodo in cui ha iniziato a pubblicare scritti di politici a sostegno di Slobodan Milosevic, ma il massimo dell’attenzione sulle sue controverse prese di posizione arriva quando le fu assegnato il Premio Nobel. Non solo sostenne apertamente Milosevic ma negò anche i crimini da lui commessi nella ex Yugoslavia. Nei suoi libri come nelle prese di posizione pubbliche ha modificato radicalmente la verità dei fatti negando sia i crimini che il genocidio commessi a Srebrenica. Quando degli intellettuali hanno polemizzato contro le sue tesi Handke rispose che si trattava solo di letteratura. In realtà ha posto la propria personalità e i suoi scritti al servizio del negazionismo di delitti contro l’umanità. Mi sono interessato ad Handke quando è iniziata la guerra in Ucraina e molte istituzioni culturali europee hanno messo al bando quegli artisti russi che hanno deciso di supportare Putin. Nel mio “Handke Project” non si è interessati a Handke come persona in sè, ma come esempio di una ipocrisia europea capace di presentare il fascismo nel nome della libertà di espressione e persino di dare dei premi”.

Tutto questo che ha raccontato come viene affrontato in scena, con quale scelta di linguaggio e drammaturgia?

“Per quanto riguarda il testo dello spettacolo il sessanta per cento e più proviene dagli scritti e dalle uscite pubbliche di Handke. Citazioni dal comitato che assegna il Premio Nobel. Formalmente è un’opera post drammaturgica, nel senso che si tratta di un collage di testi anche diversi e sono a loro volta delle citazioni. Esattamente nello stile con cui Handke ha scritto il suo famoso testo “Insulti al pubblico”. Ribaltando il punto di vista diventa “Insulti a Peter Handke” e ora è diventato l’opposto: cioè il pubblico offende Peter Handke”.

Quanto è importante, secondo l’autore, portare questo spettacolo e il suo significato di fronte al pubblico italiano, soprattutto visti i recenti avvenimenti in tema di fascismo che stanno coinvolgendo anche il nostro Paese?

“Dal momento del debutto lo spettacolo è stato rappresentato in molti luoghi. In città e paesi balcanici, ma anche in Italia a Cividale del Friuli. Dove è stato rappresentato ha creato reazioni anche animate in ogni posto dove è stato rappresentato. Anche perché tocca dei nervi scoperti, politicamente, eticamente, esteticamente e culturalmente. Non solo nell’area balcanica ma in tutta Europa. Questo spettacolo tocca problemi dal significato universale, specialmente nei luoghi dove sono più forti le tendenze fasciste”.

“The Handke Project” è uno spettacolo di Qendra Multimedia  contro l’insorgenza del fascismo in Europa e intende combattere la diffusione dei nazionalismi nei Balcani

Ci sono state reazioni diverse a seconda del paese in cui avete rappresentato lo spettacolo?

“A Belgrado sia la reazione dei media che quella del pubblico è stata furiosa e l’attacco allo spettacolo radicale. Nei giorni della sua rappresentazione è uscito un articolo in uno dei principali tabloid della città in cui si presentava l’opera teatrale come un insulto al popolo serbo. D’altro canto, una delle migliori recensioni è stata scritta proprio a Belgrado e concludeva affermando che questo spettacolo si sarebbe dovuto scrivere proprio a Belgrado, ma concludeva che questo non sarebbe stato possibile per almeno i prossimi dieci anni”

Avete mai pensato a un confronto diretto con Handke (magari pubblico)?

Mah… pensiamo che forse è un po’ troppo vecchio per farlo. Quando stavo scrivendo il testo e questo circolava tra alcuni amici tedeschi l’idea che circolava allora che la casa editrice di Handke potesse fare causa, ma avrei potuto usare i suoi stessi argomenti. Se Handke sostiene che l’affare Sebrenica è letteratura, da parte mia sostengo che anche scrivere questo testo contro di lui è letteratura. Ma in realtà non è mai giunta alcuna reazione”.

Come si realizza un contrasto drammatico con testi non teatrali e quel quaranta per cento di non citazioni cosa è?

“Questo è lavoro di drammaturgo. Per quanto riguarda il quaranta per cento si riferisce alle comunicazioni sull’assegnazione del Nobel”.

Nel contesto in cui ci muoviamo, immersi nel politicamente corretto, ci troveremo presto a dover giustificare l’ingiustificabile. Si pensi al paradosso della Tolleranza di Popper: “La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza”. Quando, secondo lei, si arriva a tollerare “troppo”? Qual è la linea di confine tra sacrosanta libertà d’espressione e tolleranza degli intolleranti?

“E’ la stessa domanda che mi sono posto quando ho iniziato a scrivere questo testo. Esiste un confine etico che lo scrittore non deve oltrepassare?Penso che avvenga quando lo scrittore inizia a negare i crimini, negando la verità, offendendo la memoria delle vittime. Ritengo che Peter Handke non sia uno stupido, ma così impiega i suoi strumenti stilistici per presentare i propri pensieri. Lui non dice mai che il genocidio di Srebrenica non è mai avvenuto ma si chiede se Srebrenica è effettivamente avvenuta. Il che è differente. Quindi non solo lui, ma anche i sui sostenitori chiedono che la letteratura ponga domande. Bene. Ma Peter Handke non pone domande perché intende fare luce o indagare sul caso Srebrenica. No, in realtà le fa perché vuole negare. Svilire la verità creandole nebbia attorno. No, questa non è letteratura, sono stronzate. Offendere la memoria delle vittime, offendere chi non ha più potere di difendersi, per me è un atto di barbarie. Questo è il confine che non andrebbe mai superato”.

Forse l’arte è l’unica che si può permettere di non essere politicamente corretta. E magari ha il dovere di non esserlo.

“Ci sono altri modi di essere politicamente corretti, altre strutture politiche anche altre maniere di esprimersi rispetto al non offendere la memoria delle vittime, per non essere politicamente corretti. Con chi si può non essere politicamente corretti, è ad esempio Giorgia Meloni”.

Un altro ritratto di Jeton Neziraj. Il drammaturgo racconta la situazione del Kosovo, la voglia di Europa e la battaglia quotidiana contro i regimi autoritari (Foto Majlinda Hoxha)

In una sua intervista definisce il teatro come un cacciatore a cui è rimasto un solo proiettile disponibile. Quale è il suo bersaglio?

“Mi riferivo al contesto teatrale del Kosovo dove le risorse finanziarie sono limitate e quindi bisogna prestare molta attenzione a quello che si fa. Anche perché c’è un solo proiettile… Ma ovviamente il fascismo resta uno degli obiettivi principali. Abbiamo ovviamente molti fantasmi delle guerre dei Novanta che stiamo combattendo. Il nazionalismo, ad esempio è una infezione che continua a diffondersi nei Balcani e questo è un buon motivo per dare battaglia.”

Come definisce la situazione del Kosovo oggi?

“Mi sento ottimista. La situazione politica attuale è addirittura meglio di quella italiana. Il budget per la produzione culturale è stato aumentato del 300 per cento ma ovviamente come artisti cerchiamo di mantenere una certa distanza e non considerare il lavoro del Governo come fosse un partner. Bisogna ricordarsi che la democrazia non è sempre scontata ma ci sono casi in Europa, vedi l’Ungheria, la Polonia e anche l’Italia a rischio, dove le tendenze autocratiche e autoritarie rischiano di prevalere. Gli artisti devono tenere sempre acceso il segnale di allerta e di non dormire ma di essere le persone pronte a segnalare questi rischi”.

Anche di recente si è parlato di integrare i Balcani nell’Unione europea. Quanta sensibilità c’è in Kosovo su questo tema? Lo spettacolo si inserisce in questo contesto?

“Il Kosovo è un Paese favorevole all‘Europa più di qualsiasi Paese d’Europa. Si sente parte della grande famiglia europea. E’ una questione di valori condivisi ma anche di sicurezza che la gente percepisce nel far parte dell’Europa. Combattere il fascismo non è riservato solo ai Balcani, ma tutta l’Europa dovrebbe farsi carico di questo problema. E “Handke Project” si inquadra dentro questa linea di pensiero”.

In un Paese in transizione come il Kosovo, e in generale nei Balcani, è prioritario puntare su un teatro politico?

“Questa domanda è collegata alla mia risposta su un solo proiettile. In Kosovo non abbiamo tante risorse per poter fare tanti spettacoli. Quelle poche che abbiamo così le utilizziamo per comunicare dei soggetti importanti al pubblico. E questo modo di approcciare questioni politiche e sociali ha funzionato molto bene al punto che ora il pubblico è interessato al nostro teatro politico. In questo scenario mediatico allargato dove la gente è costantemente bombardata da tante notizie, e molte di questa sono fake news, il teatro assume un significato speciale. Il teatro è un luogo dove confrontarsi e non essere sommersi dalle banalità. Ma dove si possono scambiare opinioni su questioni politiche e sociali. Penso che un teatro che riesce a toccare il pubblico con questi problemi è segno di una società emancipata, in grado di confrontarsi con tabù e argomenti sensibili. Questo, ad esempio non è il caso della Serbia dove dopo trentacinque anni dalla fine della guerra non c’è alcun spettacolo che affronti questo tipo di tematiche. Anzi, si evita di affrontarle in uno spettacolo perché entrambe le parti, il pubblico, ma anche la comunità degli artisti, non sono ancora pronte ad affrontarle. A parlare cioè seriamente e serenamente. In questo senso la situazione è migliore in Kosovo. Questa libertà artistica non è che ci sia stata regalata dal governo ma è nata tra la gente stessa del Paese”.

Il teatro è una agorà. i teatranti hanno la responsabilità di raccontare quello che accade nel proprio tempo con coraggio soprattutto, vedi la lezione di Eschilo, ma anche di Brecht. A chi guarda per quanto riguarda la sperimentazione e la ricerca dei linguaggi?

“I miei riferimenti nel teatro sono diversi. Naturalmente, in primis, Bertolt Brecht , mentre per la letteratura, Garcia Marquez e Dino Buzzati. Mi ritrovo comunque molto nel teatro politico tedesco, in particolare quello di Heiner Muller”.

The Handke Project” (Oppure giustizia per le follie di Peter) va in scena con la regia di Bierta Neziraj (moglie di Jeton) e la partecipazione di: Arben Bajraktaraj, Ejla Bavćić, Adrian Morina, Klaus Martini, Verona Koxha, Anja Drljević va in scena alle 21 del 2 e del 3 febbraio al Teatro Rifredi di Firenze. Il 2 febbraio, alle ore 18, Micaela Frulli e Luca Bravi dell’Università degli Studi di Firenze e il giornalista di «Avvenire» Riccardo Michelucci incontrano Jeton Neziraj.

Un momento dello spettacolo teatrale di Qendra Multimedia, scritto da Jeton Neziraj “The Handke Project” in tournée in Italia il 2 e il 3 al Teatro Rifredi di Firenze

 

 

 

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CAT: Teatro

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