Le donne al Parlamento di Aristofane

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25 Luglio 2019

Le Ἐκκλησιάζουσαι, Ekklesiázousai, le donne al parlamento, come di solito si traduce, di Aristofane, sono una commedia politica di circa 2.400 anni fa (391 a. C.), che al solito, ridicolizza le teorie di Socrate, Platone e compagni. In questo caso l’idea della comunione dei beni, auspicata da Platone nella Repubblica, per la formazione della classe dirigente dello Stato. Che cosa può conservare oggi di attuale una commedia smaccatamente reazionaria, come questa? A parte il fatto che un dramma o una commedia riusciti sono sempre attuali, con i venti che tirano, l’attacco a una gestione comunitaria del potere non può che trovare consensi nel pubblico di oggi. Aristofane poi immagina che la riforma, o rivoluzione, sia compiuta dalle donne. Proprio a sminuirne, dunque, l’importanza e l’efficacia. Ma il teatro è rappresentazione, non comizio, e la rappresentazione può offrirsi a molte e divergenti interpretazioni. Abilissimo drammaturgo, Aristofane dà voce anche a personaggi che detesta, sa incarnare anche idee che non gli piacciono. Atene da Stato democratico stava diventando preda di demagoghi, oggi diremmo populisti. L’aristocratico Aristofane li bersaglia. E coglie nel segno, ma nello stesso tempo solleva questioni che ancora oggi tormentano popoli e statisti. A cominciare dalle discriminazioni di genere.

La trama è stranota. Con un colpo di mano le donne s’impossessano della maggioranza dell’assemblea popolare. E sta iliscono che tutti i beni siano messi in comune. Anche il sesso: uomini e donne possono copulare quando, come e con chi vogliono. A patto, però, che prima di far capriole con un fico fresco e sbarbato, se donna, o con una fica giovane e seducente, se uomo, si sbatta prima un vecchio o una vecchia. Anche il cazzo moscio e la fica spelacchiata (Aristofane quanto a linguaggio non ha imparato dalle Orsoline) hanno diritto alla chiavata che li facciano godere. Lo esige l’uguaglianza dei diritti. Su questa tragica e paradossale sconfitta del piacere la commedia si chiude. E sembra suggerire che il piacere non fa parte dei propositi di una democrazia. Oppure che invece proprio in questo consiste la democrazia, che il piacere sia di tutti. La risposta se la dia ciascuno, tra di sé, quando ha finito di vedere la commedia. Il teatro non giudica, ma rappresenta.


E proprio il piacere della beffa sembra muovere gli attori di questa rappresentazione. Che il pubblico condivide con loro. Con i caldi venti estivi non cerchiamo cogitazioni più profonde. Bravissima Prassagora è Giorgia Trasselli. Giancarlo Ratti dà voce al marito Blepiro. Ma bravi tutti quanti, e agile, spedita l’azione sulla scena. Che magari, però, la si sarebbe voluta, più scatenata, più vivacemente teatrale nei ritmi. La traduzione di Ettore Romagnoli funziona ancora (non così la sua traduzione delle tragedie). Giancarlo Sammartano ha immaginato la regia, senza gli orpelli antiquari, che spesso affliggono queste riprese moderne di commedie antiche. Piacevoli le musiche di Stefano Marcucci, che poteva anche osare di più sul pedale del musical. Scene essenziali, praticamente un fondale, di Daniela Catone. Se da qualche parte d’Italia riappare, andatela a vedere, questa commedia che sembra uno scherzo, ma ci demolisce, uno per uno, tutti i malsicuri pre-giudizi di genere e di democrazia che crediamo di possedere.

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Le Donne al Parlamento di Aristofane

traduzione di Ettore Romagnoli

Regia di Giancarlo Sammartano

TAG: teatro
CAT: Teatro

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