Fame da lupi: quando sei disposto a tutto pur di mangiare

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18 Agosto 2018

Ma come si può pensare di non avere fame? Il lager è la fame: noi stessi siamo la fame, fame vivente 

Primo Levi

Gv 6, 51-58

Possiamo anche rinunciare ai nostri desideri, fare finta che non ci siano, dimenticarli, ma non possiamo fare a meno del nostro bisogno di mangiare. La fame ci ricorda continuamente che siamo fragili, che abbiamo bisogno di quello che sta fuori di noi per poter vivere. La fame ci ricorda che dipendiamo da qualcuno: il bambino impara in fretta dove sta la fonte del suo nutrimento, è già predisposto a raggiungere il seno che lo allatta. La fame ci ricorda che siamo indigenti, bisognosi, finiti. Se non c’è da mangiare, non c’è vita. Lo sanno bene coloro che sopravvivono dentro scenari di guerra, lo sanno i nostri i nonni quando hanno incontrato la fame degli anni Quaranta, lo sanno bene i poveri che rovistano nella spazzatura alla ricerca di qualcosa che somigli al pane.

La fame, quando dura a lungo, ci fa impazzire e scatena i noi dei comportamenti ancestrali che sono sepolti dentro la storia dell’umanità. Dietro la fame c’è il nostro istinto di sopravvivenza. Cerchiamo quello che ci fa vivere. Ed è proprio lì che si scatenano i nostri istinti più antichi. Ed è proprio lì che possiamo sbagliarci, è lì che possiamo morire se ci nutriamo di quello che ci avvelena.

Alcuni inseguono la vita come i cacciatori primitivi, cercano la preda da sbranare, sono disposti a uccidere. Sono coloro che per sopravvivere sono disposti ad ammazzare gli altri, sono quelli che vivono di competizioni, di trofei, di successi. Sono coloro che vivono ogni giorno come una battuta di caccia.

Ma ci sono anche quelli che si nutrono di ciò che hanno seminato, sono i contadini, color che aspettano che il seme porti frutti. Affrontano le battaglie della vita con pazienza, sapendo che sulla loro campagna si può abbattere la grandine o può passare il cinghiale. Li riconosci dalla perseveranza e dalla generosità.

E poi ci sono quelli che per mangiare non fanno nessuno sforzo, perché rubano il frutto del lavoro degli altri. Sono i ladri di vita, quelli che vivono sulle spalle dei più deboli. Sono quelli che si nutrono delle energie degli altri. Nelle relazioni ti fanno sentire sempre inutile, ti svalutano, non ti apprezzano. Rubano la scena, al centro dei discorsi ci sono sempre loro.

Nella Bibbia si parla spesso di cibo.Ci sono molte situazioni, fin dall’inizio, in cui le persone mangiano. E le cose più importanti avvengono intorno alla tavola: tutto inizia infatti quando Adamo ed Eva mangiano del frutto dell’albero, ma anche la liberazione dall’Egitto avviene dopo una cena, e la consegna di Gesù della sua vita, prima che sulla croce, avviene durante una cena.

Ma in tutti questi racconti c’è un punto fondamentale: Dio non ci chiede di andare a caccia, di seminare o di rubare, ci chiede piuttosto di ricevere, di lasciarci nutrire, di accogliere quello che mette nelle nostre mani.

Forse nasce proprio da qui la nostra diffidenza verso Dio, perché stravolge i nostri antichi meccanismi di ricerca del cibo. Lasciarsi nutrire significa infatti tornare bambini, accettare di essere dipendenti, affidarsi. Credo che la questione della relazione con Dio si giochi fondamentalmente su questo.

Forse il pane con cui Dio vuole nutrirci non è quello che istintivamente siamo portati a cercare: molto spesso ci nutriamo di quello che avvelena la nostra vita, ci nutriamo di invidia, di rancore, di lamento, di competizione e di gelosia. Siamo talmente affamati, che prendiamo il pane sbagliato. Ci illudiamo che possa calmare la nostra fame e invece ci ritroviamo malati. Talvolta ci nutriamo invece di quello che non sazia, ci nutriamo di successo, ci nutriamo della nostra immagine, e alla fine ci ritroviamo di nuovo affamati.

Cristo vuole nutrirci invece con la sua carne. Vuole nutrirci con la concretezza della sua parola. Gesù si è fatto parola nella logica del Vangelo. Ed è quello il cibo che sazia veramente e per sempre. E la sua parola ci nutre della logica della piccolezza, dell’umiltà, della mitezza. Ma ancora una volta sono cibi che tendiamo a mettere da parte, pensando che abbiano un apporto calorico insignificante. Ancora una volta ci sbagliamo e seguiamo diete fasulle. Probabilmente occorre tornare a rivedere il nostro piano alimentare, ma soprattutto è urgente deporre il fucile, lasciare la vanga e provare a mangiare di quello che Dio mette sulla tavola della nostra vita.

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CAT: Teologia

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