Isis e l’estetica del terrore
Premessa doverosa: i video presenti in questo post sono sconsigliati ad un pubblico sensibile ma necessari per spiegare come la macchina comunicativa dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria rappresenti a mio parere una novità assoluta nel campo della comunicazione del terrore.
Tutti noi ricordiamo i video-anatema di Osama Bin Laden. Girati con camere VHS o minidv, inquadratura fissa, scenografia spoglia, un punto luce ad illuminare il set improvvisato, colorimetria grigio-verde con tonalità spente tipiche delle transcodifiche dai sistemi ntsc/pal/secam
L’estetica di Isis si presenta in una veste del tutto rinnovata:
Punta a colpire l’immaginario dello spettatore ed è trasversale: muove un sentimento di terrore ed ansia nell’uomo occidentale che diventa vittima e un sentimento di identificazione e partecipazione nel suddito del Califfato che diventa protagonista.
Utilizza una grammatica del linguaggio comunicativo di tipo anglosassone.
Ci sono elementi per poter dire che ci troviamo di fronte ad una forma di storytelling.
Qualche giorno fa Il Giornale pubblicava la confessione di un videomaker che era stato contattato dall’organizzazione terroristica per l’arruolamento tra le fila della loro casa di produzione al-Furqan Media Foundation: 1.500 dollari al mese, una casa a Raqqa e un’auto, questa la proposta economica per filmare esecuzioni e reportage d’informazione. Un miliziano prende solo 400 dollari al mese e una probabile pallottola in mezzo alla fronte.
John Cantlie è un ostaggio britannico “costretto” dall’Isis a fare da inviato per promuovere il Califfato. Inside Aleppo è un reportage di dodici minuti perfettamente realizzato in stile National Geographic nel quale il “povero John” racconta, in lingua inglese con sottotitoli arabi, la vita quotidiana in Aleppo. Il video si apre con il logo della casa di produzione realizzato in un 3D di buona fattura mentre le grafiche che accompagnano l’introduzione e i passaggi di tema inducono a far pensare che siano state realizzate secondo logiche creative occidentali sia per gusto che per impaginazione, la Rai ad esempio fa cose più brutte.
Le inquadrature realizzate con telecamere HD seguono le regole formali del docureportage, l’intervistato è posto a destra o sinistra dell’inquadratura, campi e controcampi sono girati con due camere, si utilizza la quinta dell’interlocutore, le immagini subiscono una leggera color correction utile per apprezzare di più il filmato ma è impressionante notare il contrasto tra la pacatezza del racconto di John e le dichiarazioni dei miliziani da lui intervistati.
Nel passare ad analizzare i prossimi video invito i più sensibili a fermarsi qui. Vedremo tre differenti esecuzioni di ostaggi: decapitazione, rogo e colpo alla nuca. Questi video sono di fatto degli “snuff-movie” e a loro volta sono classificabili in sottocategorie.
La prima esecuzione: la vittima è il giapponese Kenji Goto. Durata del video circa un minuto, girato con due camere, si apre sul titolo “Un messaggio al Governo del Giappone”. Mostra l’ostaggio in ginocchio in una spianata tra le rocce, lo sguardo fisso e rivolto alla camera principale, i suoi occhi si chiudono solo quando il boia incappucciato che sta in piedi alla sua sinistra con un coltello nella mano sinistra, termina il discorso e mette la mano destra sotto il mento di Kenji portando il coltello alla gola poi l’immagine va a nero. Dal fade out vediamo la panoramica sul corpo sdraiato a terra la cui testa poggia sulla schiena dello sfortunato freelance. Nessuna musica o effetto sonoro, solo l’audio della voce del boia in presa diretta. Sicuramente la decapitazione è stata registrata successivamente; impensabile che un coltello possa recidere l’osso del collo ma l’effetto di pulizia formale inscrivibile nel genere documentario del filmato ottiene l’effetto di orrore sui media occidentali.
La seconda esecuzione è da annoverare nel genere action e la grammatica è totalmente diversa. Il video dura otto minuti dilatati in un tempo infinito. La vittima, il pilota giordano Muadh al-Kasasibah è diretto da un regista che lo fa camminare tra le macerie di una città che lui stesso ha bombardato. I flashback che mostrano corpi sepolti dalle macerie si susseguono durante tutta la prima parte del filmato, il pilota arriva davanti ad una sorta di plotone di esecuzione di miliziani in divisa mimetica, niente boia vestito di nero. La sequenza mostra la soggettiva di un palazzo bombardato che “guarda” il pilota, flash rossi ed effetti sonori mostrano il raid aereo giordano, vittime civili sotto le macerie, suoni di sirene, vociare indistinto, musica drammatica che si interrompe sul primissimo piano del pilota che si guarda intorno quasi a voler prendere coscienza del disastro che ha commesso. I miliziani lo osservano muti, la messa in scena è palese. Stacco a nero. La scena si riapre su di lui dentro una gabbia, in piedi e la testa china verso il basso. La divisa arancione che ricorda i prigionieri di Guantanamo è umida, forse di sudore o di acqua. La scena è ripresa da almeno cinque punti macchina, le inquadrature si alternano in un campo e controcampo tra prigioniero e miliziani, tutto si svolge in un silenzio metafisico. Ancora a nero e stacco con zoom rapido sul prigioniero che alza la testa e guarda in camera poi di nuovo nero. Apertura su una torcia tenuta in mano da un miliziano, la musica in sottofondo è quella dell’Isis e fa presagire che l’atto si compia. Con un inquadratura dall’alto e in slow-motion il miliziano accende la torcia, la poggia lungo una linea di fuoco che va verso la gabbia e capiamo che quella divisa arancione non era pregna d’acqua e sudore ma di benzina. Il resto è simile a qualcosa di impensabile nella realtà.
Qualche giorno dopo l’esecuzione è mostrata in piazza su mega schermo alla stregua di una partita di calcio: video
La terza esecuzione è forse ancora più impressionante. E’ un pulp di quattro minuti e mezzo, diviso in tre semplici scene: intervista al soldato siriano / percorso del soldato accompagnato da due miliziani / luogo dell’esecuzione. Dopo il consueto messaggio, al boia viene lanciato un fucile a canne mozze che prende al volo, lo carica e spara alla nuca dell’ostaggio producendo quel sentimento che di solito proviamo comodamente seduti in poltrona quando vediamo un film di marca tarantiniana. L’azione si svolge così velocemente che il montatore decide di fare un rewind, riproporre la scena in slowmotion e mostrare in dettaglio il cranio spappolato del soldato.
Dopo aver visto questi tre video in sequenza la sensazione è opposta rispetto alla visione di 3 fiction pulp o forse no. Riflettendo su questa disamina per certi versi morbosa dei video non sono più così sicuro che rappresentino un’innovazione in ambito comunicativo.
La messa in scena delle esecuzioni è senza sbavature, precisa ed esteticamente “gradevole”, progettata con gli stilemi adatti a un pubblico occidentale, sembra appunto un film. Il mio è un punto di vista privilegiato sulle immagini offerto dal lavoro che faccio, di conseguenza mi interrogo sull’effetto che questa comunicazione produce nello spettatore occidentale.
Prova davvero angoscia guardando le esecuzioni? Fa più paura il video “sgangherato” di Osama Bin Laden o il video “estetizzante” dell’Isis? La tipica spettacolarizzazione all’americana di questi filmati un virus che ha contaminato anche gli jihadisti oppure è un’operazione studiata nei minimi dettagli per diffondere terrore con il linguaggio delle stesse vittime?
A distanza di qualche giorno è stato pubblicato un nuovo contributo: la decapitazione di 21 ostaggi egiziani copti. Anche in questo caso si evince che la scena è stata pensata e diretta. L’introduzione del dolly e di un carrello laterale dimostrano che c’è una volontà di spettacolarizzare l’evento della morte sdoganandola dalle censure a cui è stata sempre assoggettata. Abbiamo sempre visto immagini “post-mortem” dai tempi dei lager nazisti, corpi senza vita ammassati, riprese di maschere di morte in primissimo piano con lo scopo di mostrare al mondo l’orrore nazista ma mai abbiamo assistito allo spettacolo della “morte che sopraggiunge” perchè relegata negli oscuri meandri delle leggende sugli snuff movie che avevano un mercato clandestino e illegale.
Non è finita. La capacità di Isis nel comunicare con un linguaggio sofisticato è confermato anche da questa video propaganda di Boko Haram: la scena mostra la presa di una città africana da parte degli jihadisti, spari di artiglieria pesante fanno da contorno alla situazione ripresa con una steadycam. Dal minuto 4.25 vediamo la classica modalità della camera che da soggettiva diventa oggettiva
Isis ci sta abituando alla visione di quello che per convenzione chiamerei impropriamente “morte in diretta“. La mia convinzione si basa anche sulla visione di un altro terrificante video girato in Messico da sedicenti terroristi chiamati Los Zetas. La sua durata è di sei minuti e mezzo e la visione è senza dubbio peggiore di quelle precedenti perchè viene messo in scena l’orrore in un unico piano sequenza fisso, girato con una telecamera, la definizione è decisamente inferiore rispetto alla pulizia formale dei video di Isis . Quattro donne inginocchiate in un campo con le mani legate dietro la schiena sono minacciate dai fucili di un gruppo composto da 13 uomini incappucciati simili ai poliziotti anti-narcos. Uno di loro per tre lunghi minuti pone continue domande a queste donne che rispondono rassegnate quasi fossero automi. Al termine dell’interrogatorio le donne vengono fatte stendere faccia a terra e la scena assume toni da film horror perchè inizia una decapitazione senza censure e quei corpi assumono le sembianze di manichini. Come per gli animali, i corpi fatti a pezzi vengono sezionati tra le urla di esaltazione dei terroristi.
E’ questo il reale pericolo che corre la società contemporanea ossia vedere continuamente scene di morte volte a desensibilizzare il nostro inconscio, le nostre paure e il nostro senso della morale?
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