Dunque, addio a Pirelli e a un bel pezzo di storia italiana

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23 Marzo 2015

Giovanni Battista Pirelli garibaldino, massone, patriota aveva fondato la sua società nel 1872 molto prima della Fiat dunque e nel 1898, all’epoca dei moti di Milano, telefonò, con uno dei primi telefoni esistenti in città, al prefetto perchè non sparasse sui suoi operai che erano già oltre 3.000, donne e uomini, più donne che uomini. Mentre GB Pirelli telefonava issato sulle spalle di due forzuti operai Filippo Turati cercava con un comizio di indirizzare pacificamente la protesta che stava degenerando. Pochi anni più tardi Alberto figlio di Giovanni Battista concordava con Albertini, direttore del Corriere della Sera, e Mussolini le pressioni interventiste sul governo e poi, durante la guerra frequentava, sempre insieme con Albertini, le retrovie apprendendo via via le maldicenze e i pettegolezzi sui vari generali del comando italiano.

Queste si ripercuotevano nei salotti degli industriali milanesi, dove Giolitti era la bestia nera come sarà, più tardi, nel segno di una decadenza anche in questo, Bettino Craxi. Intanto la Pirelli si espandeva in tutto il mondo e per essere sicuri di avere buoni sostegni lo stesso Alberto Pirelli faceva il Ministro (tecnico) del Duce in uno dei suoi ultimi governi. Ma il 25 aprile del ’45 fu dagli stabilimenti Pirelli che partì la rivolta partigiana dissotterrando le armi nascoste da tempo. La lista dei deportati e dei condannati a morte sarebbe qui troppo lunga da trascrivere. Del resto la sezione di fabbrica del PC della Pirelli era la più grossa d’Italia e quando facevano la loro festa tutte le vie intorno agli stabilimenti erano occupati dai loro tavoli e dalle loro cucine.

Non so se Tronchetti si è reso conto di aver venduto con la Pirelli ai cinesi una grossa parte della storia d’Italia, ma anche lei, come è già è successo alla Fiat, se ne è andata dal nostro Paese ormai deindustrializzato, vicino a diventare una grande e inoperosa Grecia. Ovvero ritornare a quello che diceva Metternich cioè una “espressione geografica”. Le corporazioni rissose che compongono l’Italia di oggi e che esprimono una classe dirigente demente e politicamente ridicola devono sapere che è una nazione non è solo un cumulo di leggi disapplicate e di paesaggi deturpati dalla speculazione edilizia ma è soprattutto “capacità produttiva”. Capacità cioè di costruire, di lavorare e di crescere.

Un cantautore semi dimenticato, Franco Nebbia, aveva composto negli anni ’60 una canzone formata solo, nelle parole, coi titoli di borsa. Chi la sentisse oggi non troverebbe più, tra quei titoli, uno solo ancora quotato. La mia generazione ha avuto la fortuna di vivere nel corso di una lunga fase di pace interna dell’Europa ma ha avuto anche la sfortuna e la responsabilità di assistere all’ineluttabile decadenza del proprio Paese. Decadenza irrimediabile per noi che non ne vedremo la fine. La speranza è quella di diventare una lontana Provincia dell’Europa sfruttata e inoperosa come lo siamo stati per secoli.
Giovanbattista Pirelli garibaldino, massone, patriota e uomo d’azione è stata un’eccezione pura nella nostra storia per ora non si ripeterà.

TAG: Economia
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