Daniela
Manini

bio

Architetto e insegnante di Storia dell'Arte in pensione. Fin dagli anni giovanili si è interessata di studi ebraici, al di fuori del contesto accademico. E' stata membro della redazione di Keshet (rivista di cultura ebraica) dalla fondazione, nel 2001, fino al 2010. Si occupa come volontaria di rifugiati e richiedenti asilo.Vive in Francia.

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Ultimi commenti

Pubblicato il 15/07/2020

in: Velo e autodeterminazione femminile

A prescindere dal fatto che di questo io ho molto parlato con ragazze musulmane che vivono in Italia e insieme alle quali ho offerto assistenza ai profughi siriani,Io ho talmente ascoltato il discorso di Silvia , che ne colgo le contraddizioni interne.In realtà, mentre si rivendica la propria libertà si accusano le altre di non [...] esserlo : " di vestirsi come qualcuno desidera". Quindi è lei ad attribuire arbitrariamente un significato a ciò che indossano le altre donne. Inoltre, nascondersi non può essere una scelta di libertà. Chi si sente obbligato a nascondersi non è , per definizione, libero. Una donna deve avere diritto a non venire mercificata, a non essere considerata un oggetto sessuale, comunque si vesta. Altrimenti, si accetta come "normale" ciò che è profondamente ingiusto nei confronti delle donne. Se avesse detto, mi vesto così, perchè così mi piace, non ci sarebbe nulla da eccepire. Io vesto spesso "pajama" indiani : mi piacciono molto, sono femminili ed eleganti, anche se molto semplici. lo faccio, appunto, perchè mi piace, anche se non è un modo usuale di vestirsi in Europa.

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Pubblicato il 14/07/2020

in: Velo e autodeterminazione femminile

Dissento.Innanzitutto perchè il ragionamento in sè non regge :qui non si tratta della libertà di vestirsi come si vuole,ma di un dichiarato intento di sottrarsi al proporsi come oggetto. Prima, dice lei, era socialmente condizionata (come, secondo lei ,tutte le donne in occidente). Ma non è una battaglia che si vince nascondendosi.Questo si configura come [...] una resa a qualcosa che viene accettato come ineluttabile. Le donne hanno DIRITTO a non essere considerate oggetti (di concupiscenza), comunque decidano di vestirsi. Altrimenti si dà ragione a chi colpevolizza le vittime di stupro perchè avevano la minigonna. Peraltro pare che non si contempli il fatto che una donna possa innanzitutto piacere a se stessa, indipendentemente dai condizionamenti sociali. Io, che sono una anziana signora, ma sono stata un giovane di gradevole aspetto, mi sono sempre vestita secondo il mio gusto e sono sempre riuscita a farmi rispettare, comunque decidessi di abbigliarmi. Mi ritrovo in pieno nelle parole di Simone Weil. Inoltre, nel discorso di Silvia (altre cose dette durante l'intervista) emerge anche un altro elemento inquietante : ritenere che dio l'abbia punita per la sua "sregolatezza" precedente. Questo implica un giudizio pesante su tutte le altre donne , che vestendosi in modo "scoperto", meriterebbero di essere punite. E' , peraltro, quello che mi disse un musulmano osservante (persona istruita) in Marocco : le donne berbere che non si coprono il capo e vanno a viso scoperto, sono delle donne "poco serie". Poi, nel caso di Silvia, molte cose si possono comprendere alla luce della terribile esperienza che ha vissuto, ma fare delle sue parole una legittima rivendicazione di libertà, mi pare del tutto azzardato.

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