Daniele
Girardi

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Vivo nel nord-est di Roma e sono un dottorando in economia politica presso l’Università di Siena. Collaboro con un istituto italiano di ricerca, che si occupa di settore costruzioni, mercato immobiliare e trasformazioni del territorio. Ho un blog: http://www.reconomics.it/.

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Pubblicato il 26/06/2016

in: Cosa ci dice la Brexit di quanto (non) sappiamo prevedere il futuro

Grazie del commento. Vorrei rispondere su alcuni punti. Il fatto che l'evento si sia verificato non ci dice nulla sulla sua probabilità. Questo è pacifico. Infatti nell'articolo mi sono premurato di precisare che "Il fatto che la Brexit sia accaduta non significa necessariamente che avesse una probabilità più alta di quella, molto bassa, che le [...] era assegnata". Il punto che vorrei fare è un altro: a fronte di sondaggi che davano un intenzione di voto vicina al 50-50, i mercati davano una probabilità di vittoria del 'Remain' intorno all'80%, e questo è difficile da spiegare se non con qualche forma di 'cognitive bias' (l'economist in questo articolo propende per una sorta di 'confirmation bias' http://www.economist.com/blogs/graphicdetail/2016/06/polls-versus-prediction-markets, mentre io ho provato ad avanzare un'ipotesi diversa). Insomma non sembra che date le informazioni disponibili le quote dei prediction markets fossero razionali. (Ovviamente non c'è modo di dimostrarlo, quindi mi rendo conto che si tratti di un ipotesi a cui si può obiettare). Non capisco perché i prediction markets non sarebbero mercati finanziari (mi verrebbe da dire che al massimo li si può 'accusare' di essere mercati finanziari con liquidità limitata), ma questa sarà una mia ignoranza, se me lo spiega le sono grato. Però i mercati azionari e valutari hanno avuto un comportamento analogo (come si legge anche nell'articolo dell'Economist che ho citato sopra, "while political-betting markets could conceivably be small enough to demonstrate such inefficiencies, currency markets most certainly are not, and they displayed the same pattern as the bookies."). Non capisco neanche come l'aggiustamento per il rischio potrebbe spiegare questa enorme discrepanza tra i sondaggi e le probabilità di Brexit implicite sui prediction markets. Infine vorrei precisare che dopo il 16 giugno (data dell'assassinio di Cox) le probabilità di Remain implicite sul mercato non sono passate da 70% a qualche altro numero, ma da 44% circa a 20% circa. E non è stato un aggiustamento istantaneo nel giorno dell'assassinio, ma graduale, quindi i sondaggi che menziono hanno probabilmente influito.

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Pubblicato il 28/06/2015

in: Il lento declino degli USA

PS: e ovviamente export=profitti è sufficiente come spiegazione per la ricerca da parte degli USA di mercati di sbocco per la propria produzione, lo è sempre stata.

Pubblicato il 28/06/2015

in: Il lento declino degli USA

Articolo ben scritto, ben documentato e molto interessante. In gran parte lo trovo condivisibile, però andrei molto più cauto nell'assumere che il ruolo del dollaro come valuta di riserva internazionale sia in pericolo nel breve-medio periodo. E' vero, nel lungo periodo sembrerebbe probabile una transizione verso un sistema monetario internazionale multipolare. Ma ci potrebbero volere [...] molti decenni. I paesi emergenti (Cina in primis) sono estremamente riluttanti a percorrere questo cammino con le loro valute, perchè per ora preferiscono cercare di tenere basso il tasso di cambio per sostenere l'export (la c.d. 'guerra delle valute'). L'Euro sarebbe il candidato naturale ad affiancare il dollaro...peccato che nessuno sia in grado di dire se tra due anni esisterà ancora. Penso che gli USA potrebbero continuare a stampare la moneta di riserva internazionale ancora a lungo.

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Pubblicato il 24/01/2015

in: Il banchiere dei ricchi: una critica keynesiana al bazooka di Draghi

Penso che stabilire cosa spetti alla politica monetaria sia un scelta politica. Certamente costruire scuole e ospedali rientra nel dominio della politica fiscale (non vedo come si potrebbe sostenere il contrario, del resto). Ma il sostegno della banca centrale in questa fase sarebbe necessario a rendere un programma di investimenti pubblici sostenibile finanziariamente, senza alzare [...] le tasse. Quindi non voglio affatto sostenere che la politica monetaria sia alternativa e impedisca di fare gli investimenti pubblici. Proprio il contrario: sostengo la necessità di un coordinamento tra politica fiscale e monetaria. Quello che dico, però, è che l'idea di sostenere la crescita solo con una politica monetaria iper-espansiva, in una fase di depressione della domanda privata e di calo della domanda pubblica, mi sembra un illusione che comporta anche dei rischi sociali e finanziari. Dal canto mio riformulerei la domanda: siamo sicuri di poter avviare una crescita sostenibile inondando il settore finanziario di liquidità, mentre scuole e ospedali cadono a pezzi?

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