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Venezia

Cartoline dalla Giudecca – III

di Federico Gnech
24 Novembre 2019

“È Vitucci, lei?”. La signora che come me sta fotografando i resti di un salotto finito sott’acqua mi scambia, curiosamente, per Alberto Vitucci, cronista della “Nuova Venezia”. No, non sono nemmeno giornalista, le spiego, ma sono stato colpito quanto lei da quella che sembra un’installazione di arte concettuale, una sorta di triste monumento alla città colpita dall’acqua alta. La signora si chiama Alberta Foccardi, scrive poesie e ha bisogno di un po’ di promozione, per cui ora i miei diciotto fedelissimi lettori potranno andarsi a cercare i suoi componimenti in rete. Mi racconta di come la sera di martedì 12 fosse uscita proprio da un incontro di poesia, ritrovandosi in mezzo alla peggior acqua alta dal ’66 e venendo infine salvata da un gondoliere che passava di lì. Un’immagine per certi versi opposta me la fornisce un amico la cui madre doveva essere presente allo stesso evento. Bloccata dalla marea sul ponte della Pietà, minacciata dalle gondole disormeggiate e spinte dalle onde verso di lei, animatesi come in un film horror. I racconti di questo tipo si sprecano. Taxi finiti in calle, un’intera edicola, quella delle Zattere, trascinata in acqua con dentro il suo proprietario, Walter Mutti, che ha perso l’attività, ma se non altro è vivo. L’unica vittima, un abitante di Pellestrina morto fulminato mentre cercava di azionare una pompa elettrica, la fine che ha rischiato di fare anche un mio anziano vicino di casa, il quale, nonostante i miei avvertimenti, insisteva nel voler usare un vecchio esemplare, collegato alla rete da un accrocchio di prolunghe e zonte col nastro adesivo, certamente conforme ai più avanzati standard di sicurezza. Come previsto, in mia assenza la pompa è andata in corto tirando una bella fiammata e ora giace assieme ad altri duemilacinquecento metri cubi di mobilio, elettrodomestici, libri e ricordi vari andati sommersi e non più recuperabili. Pensando a chi ha perso davvero tutto, non soltanto gli oggetti ma la casa stessa, resa inagibile, mi posso ritenere fortunato. A me e alla mia compagna è andata piuttosto bene, anche considerando il fatto che meno di due anni fa stavamo per prendere un appartamento al piano terra, provvidenzialmente frenati dalle paturnie della proprietaria. Passata la paura per quell’acqua salita di quasi mezzo metro in meno di un’ora, per la burrasca di scirocco che spingeva e spingeva sulle nostre finestre, mentre la calle era diventata non un canale, ma un torrente in piena, la nostra conta dei danni si è alla fine limitata a una vecchia asse da stiro, un albero di natale IKEA e un paio di scatoloni vuoti. Questo senza ovviamente contare l’azione del sale, che da decenni si mangia piano piano intonaci, malte e mattoni dei “magazzini” (le cantine che, rimaste al grezzo da sessant’anni, grazie al grande spirito collaborativo di quasi tutti i condomini, apparirebbero disastrate anche senza acque alte).

Saluto la signora Foccardi e mi dirigo oltre il Ponte Longo, alla sede giudecchina della libreria Marco Polo, dove aiuto l’amico Flavio ad asciugare libri e fatture. Sono stati fortunati, dovranno buttare soltanto un po’ di usato e uno scatolone di audiolibri. Altri librai hanno perso molto, per non parlare dei danni alle biblioteche e agli archivi, che ci ricordano come una delle antiche capitali del libro a stampa sia costruita sul fondo limaccioso di una laguna, e come quindi – regola n.1 del bibliofilo veneziano – il primo ripiano in basso degli scaffali sia una sorta di anticamera del macero e non vada riservato alle prime edizioni né ai libri del cuore. Se al resto dei commercianti e dei ristoratori è andata certamente peggio – banchi frigo e forni non si possono spostare – è anche vero che le attività economiche avranno giustamente accesso ai risarcimenti pubblici. Già nel 2008, la mia prima acqua alta alla Giudecca (156 cm), che avevo considerato sino ad allora esente dalle acque alte (anzi “esentissima”, come scrivono gli agenti immobiliari negli annunci dei piani rialzati, anzi “rialzatissimi”), rappresentò per alcuni l’occasione di rinnovare gli esercizi e prepararsi così all’esplosione del turismo di massa sull’isola. Questa volta però la botta è stata davvero grossa, e i meno attrezzati finanziariamente o psicologicamente hanno purtroppo già dichiarato che non riapriranno bottega. Anche per alberghi e B&B non sono giorni facili, e la corporazione dei locandieri parla di numerosissime disdette. Si erano abituati a considerare novembre come coda dell’alta stagione, mentre d’ora in poi anche gli irriducibili amanti delle nuotate in piazza e dell’escherichia coli forse ci penseranno due volte prima di prenotare la loro stanza in questo periodo. Oltre a un picco mai raggiunto nell’ultimo mezzo secolo (187 cm, 7 cm sotto quello dell’acqua granda del 1966), ad aver messo a dura prova il carattere naturalmente resiliente dei veneziani è la sostanziale imprevedibilità di questi ultimi eventi, la loro frequenza ravvicinata, che non dà tregua e ti può far passare la voglia di asciugare e pulire, tanto entro due giorni ti toccherà ricominciare da capo. È in questi frangenti che un aiuto come quello degli “angeli del fango” arrivati da tante altre città risulta preziosissimo anche a livello di morale. Certo, Venezia si rialzerà anche stavolta, ma più di altre volte a colpire è la quantità di energia dissipata nel mugugno. Subito dopo la calamità, nei pochi bar aperti, centinaia di veneziani esponevano le loro tesi di fluidodinamica e ingegneria civile. Hanno già deciso che il MOSE non funzionerà, ne sono sicuri, perché la sanno lunga. Io davvero non ne ho idea. Voglio, devo sperare che funzioni, ma soprattutto spero che questo mugugno tutt’attorno a me sia la solita incazzatura e non un terribile cupio dissolvi.

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