«Dagli al sindacalista!»

19 Settembre 2015

Non c’è niente di meglio di una polemica sulla macchina dello Stato – e relativa brutta figura internazionale – per dimenticare guai più grossi (una crisi che non finisce, un’emergenza umanitaria epocale, la minaccia del terrorismo islamista, il risorgere della destra radicale, ecc.) e tentare magari un bilancio parziale dell’esperienza renziana di governo.

L’episodio dell’assemblea dei lavoratori dei Fori, per nulla repentina, ma convocata per tempo, e che il MiBAC non ha provveduto a comunicare ai tour operator romani, ha tutta l’aria di una magnifica operazione mediatica studiata a tavolino. I turisti indignati, i titoli sui giornali, le centomila oche dei social network a starnazzare creano il clima ideale perché l’ineffabile Avv. Franceschini da F’rara (l’ideatore della «biblioteca degli inediti», ricordate?) potesse tirare fuori un decreto già pronto da mesi, quello che equipara musei e aree archeologiche a ferrovie ed ospedali e regolamenta l’attività sindacale di conseguenza.

Se ne sono lette davvero di magnifiche, sulla vicenda dell’assemblea. Si distinguono due sottosegretari: Francesca Barracciu – personaggio non nuovo alle reazioni scomposte – che nientemeno ha definito la convocazione di un’assemblea sindacale «un reato». Al secondo posto Ivan Scalfarotto, che vorrebbe il calendario delle assemblee sindacali pubblicato sul New York Times. In rete, pescando a caso, capita poi di leggere che i lavoratori cui non sono stati pagati gli straordinari dovrebbero smetterla con le assemblee e gli scioperi e semmai andare per avvocati e «chiedere il pignoramento dei beni della Pubblica Amministrazione».

Si ride per non piangere. Sappiamo bene quanto il sindacato sia da riformare – lo sanno gli imprenditori o i dirigenti degli enti pubblici, ma soprattutto lo sanno i precari, i sottoccupati e i disoccupati, cioè tutti quelli di cui il sindacato non si interessa. Sappiamo bene quanto siano antipatici gli scioperi del servizio pubblico, ad esempio nel settore dei trasporti. Sappiamo bene come a questo Paese non resti altro da vendere che le sue antiche rovine, e non sta bene far aspettare chi paga per vederle. Sappiamo bene come i dipendenti pubblici godano di tutele superiori a quelle dei dipendenti privati – situazione questa confermata dal Jobs Act, peraltro.

Sappiamo tutte queste cose, ma crediamo che sia davvero sciocco farne un bel frullato e concludere, secondo la vulgata renziana, che tutti i nostri problemi siano causati dal sindacato. Per quanto frequenti siano, non riesco ad abituarmi alle sparate del leader di un grande partito di sinistra che se la prenda non solo contro sindacati criticabilissimi da ogni punto di vista, ma contro l’idea stessa di rappresentanza dei lavoratori, in nome della famigerata disintermediazione.

Il nodo di tutta la faccenda sta a mio avviso qui, in questa orrenda espressione mutuata dal gergo finanziario. Il grande cavallo di battaglia del renzismo piace molto a ceti e categorie professionali per le quali la competizione senza limiti e la contrattazione individuale sono lo standard, e d’altronde come volete che possano ragionare il consulente finanziario freelance o l’addetto stampa del tal politico o l’artigiano alle prese con la crisi? Oggi il governo ricerca il consenso di queste categorie – che è cosa diversa dal favorire concretamente – anche o soprattutto attraverso l’attacco frontale ai già declinanti sindacati.

Sì, perché è evidente quanto il sindacato sia in crisi, in parte per gravi responsabilità proprie. Nella generazione successiva alla mia è quasi incomprensibile l’idea che gli interessi dei lavoratori possano essere rappresentati collettivamente. A un ventenne di oggi la parola sindacato suona, come dire, antica. Non ci sarebbe bisogno di maramaldeggiare, insomma, ma Matteo Renzi è un po’ fatto così, gli piace vincere facile, magari colpendo per primi i più deboli: il sindacato, prima di Confindustria. I dipendenti privati, prima di quelli pubblici. All’interno del pubblico impiego, i lavoratori del settore culturale, prima che di altri settori più ricchi. I subordinati, prima dei dirigenti, e così via. Dal giorno della “staffetta”, questo modus operandi era del resto già chiarissimo, ed è solo nel confronto coi suoi deprimenti oppositori di sinistra che Renzi poteva – e può ancora, di tanto in tanto – apparire vincente.

Ovviamente la retorica renziana non colpisce mai direttamente i lavoratori – sindacalizzati o meno – che partecipano materialmente allo sciopero, ma soltanto i sindacalisti, una minoranza che terrebbe da decenni in scacco un’intera nazione attraverso il proprio potere di mediazione. Nel teatro della parola della politica renziana, si nega l’esistenza del “vecchio” conflitto capitale-lavoro, ma persino si nega qualunque non corrispondenza di interessi diversi. L’interesse è uno solo, quello nazionale. I conflitti, in questa visione, esisterebbero soltanto perché una minoranza di mediatori professionali – i sindacalisti – ne trarrebbe un vantaggio parassitario.

Eppure è proprio attorno ai conflitti tra le varie categorie produttive che Renzi ha conquistato i maggiori consensi: le partite IVA contro i dipendenti, i dipendenti privati contro quelli pubblici, i precari contro i tutelati. Da tempo sono convinto che non andremo lontano senza che prima si sia concepita una sorta di «conferenza di pace» tra questi mondi, e ingenuamente avevo pensato che il giovane Matteo potesse esserne l’iniziatore. Mi sbagliavo di grosso, e pazienza se avremo preso l’ennesima cantonata con l’ennesimo leader speranza-della-Sinistra-e-dell’Italia. Il problema è che, ridotti ai minimi termini i sindacati, non saranno ridotti ai minimi termini i conflitti sociali. Anzi.

Se Matteo Renzi non riesce proprio a trovare nemmeno una buona ragione per apprezzare il Sindacato, provi a farsi raccontare la storia di Guido Rossa.

* * *

In copertina, il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini

TAG: colosseo, conflitto sociale, dario franceschini, disintermediazione, Francesca Barracciu, guido rossa, ivan scalfarotto, Matteo Renzi, mibac, pubblico impiego, sindacato
CAT: Partiti e politici, Sindacati

3 Commenti

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  1. beniamino-tiburzio 9 anni fa

    Federico Gnech, sei sublime. Sei un sindacalista, non sei un sindacalista, non so. A tutti gli apparatchic di tutti i sindacati italiani suggerisco, comunque di conferirti la presidenza honoris causa. Sul tuo finale strappacore sei ” galattico “, come dicevano i teen-agers oggi dicono ” pazzesco “. Se non trovi una buona ragione per capire cosa è stato il sindacato in Italia, non sperare che to lo dica io.

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  2. alex35 9 anni fa

    Prima di parlare dei sindacati devi avere vissuto una vita lavorativa con loro, meglio ancora se come delegato di reparto. Questa esperienza io l’ho vissuta, e non parlo per sentito dire, visto che la ditta metalmeccanica dove lavoravo aveva 350 dipendenti.
    Tu in quanto eletto dai tuoi compagni di lavoro fai parte del direttivo provinciale, nel quale eleggi il segretario provinciale della tua categoria.
    Amaramente ti accorgi che viene eletto non quello che più stimavi, facente parte della tua categoria, almeno conosceva i problemi comuni, invece no, trovi uno che lavorava si, ma in una categoria diametralmente opposta, la sua referenza, avere in tasca minimo a tessera del partito di appartenenza, per dirla in modo chiaro era un predestinato, perché garantiva le elezioni successive.
    Altrimenti come faresti trovare a livello di governo dei “bravi” sindacalisti?!
    Il pubblico impiego…copriamo con un velo pietoso l’intera categoria per il quieto vivere!!!
    Da vecchio e attento pensionato, continuo a vedere lo stesso modello, vera palla al piede della nostra fragile democrazia.

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  3. beniamino-tiburzio 9 anni fa

    Caro Alex, se tu pensi che i sindacati e i sindacalisti sono stati e sono ancora per un po’ ( visto che sono ” in articulo mortis ” ) la palla al piede non della democrazia, ma dello Stato italiano ( cosa ben più grave ), io concordo con te. Allo stesso tempo ti prego di non fare la ” mosca cocchiera ” dando ad intendere che ” prima di parlare dei sindacati devi aver vissuto una vita lavorativa con loro, meglio ancora se come delegato di reparto “. Tu porti una esperienza personale interessante, ma fuori tema. Detto di brutto e stando al tema : della vita interna del sindacato non ce ne può fregar di meno. E chi ha fatto parte del sindacato non solo è corresponsabile, chi più chi meno, del danno provocato allo Stato, ma a volte è pure rimasto ” fottuto “. E ben gli sta.

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