Bike Sharing: Milano a parte, l’Italia non tiene il passo dell’Europa

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15 Dicembre 2014

L’articolo è stato scritto a quattro mani con Lorenzo Tondi

Oggi il 54% della popolazione mondiale vive in aree urbane, e le Nazioni Unite prevedono che si arrivi al 66% nel 2050. In un simile contesto i centri urbani del mondo cominciano a porsi come priorità la creazione di un sistema integrato di mobilità che inquini sempre meno e permetta a sempre più persone di muoversi. Più metropolitane, dunque, e più trasporto pubblico tradizionale, ma anche la nascita e la crescita rapidissima di nuove modalità di trasporto rese possibili dalla diffusione delle tecnologie digitali.

Car sharing e bike sharing si stanno diffondendo un po’ ovunque, ma è il bike sharing a fare la parte del leone, perché grazie alla sua estrema praticità ed all’impatto ambientale ridottissimo è il mezzo perfetto per città di medie dimensioni ma densamente abitate, cioè in sostanza per molte città europee. Le biciclette in condivisione, in genere riconoscibili grazie alla “divisa” di vernice di cui sono dotate, sono cresciute negli ultimi anni a ritmi forsennati, come segnalato da un report dell’anno scorso dell’Earth Policy Institute.

Nel 2013 ci sono in circolazione ben 517.000 biciclette condivise: probabilmente sono di più, perché non disponiamo di dati aggiornati su molti sistemi di bike sharing cinesi, che sono quelli a maggior tasso di crescita.

bk

Eppure il bike sharing ha soltanto cominciato ad esercitare il suo potenziale come elemento funzionale delle smart city. La crescente digitalizzazione delle attrezzature utilizzate (stalli, stazioni, biciclette) permette di raccogliere, catalogare ed analizzare una quantità enorme di dati e quindi dà la possibilità di congegnare un servizio di trasporto pubblico sempre più personalizzato. Il dialogo continuo e sempre più rapido tra app, biciclette, stazioni e Comune offre un grado di precisione sempre maggiore: la gestione dei dati è sempre più importante ai fini della qualità del servizio. Diversi studi provano a modellizzare la corretta distribuzione delle biciclette per minimizzare il numero delle stazioni problematiche, quelle che sistematicamente sono sovra o sottoutilizzate, ed evidenziano come sia fondamentale una corretta incentivazione dell’utente attraverso campagne informative ben congegnate (ad esempio, con semplici accorgimenti quali riposizionare, al momento della consegna, una bicicletta, scegliendo tra due stazioni quella con meno biciclette) o con una copertura capillare del territorio.

Un articolo pubblicato da Transportation Research nel 2013 mostra lo studio di impatto di una semplice modifica apportata al sistema londinese nel 2012: prima, infatti, l’accesso al bike sharing era soggetto al possesso di una specifica smart card mentre si è preferito favorire l’accesso del casual user, garantendo l’utilizzo a chiunque disponga semplicemente di una carta di debito o credito. E l’effetto è stato marcato in termini di maggiore utilizzo del servizio.

Il bike sharing a Milano ed in Europa

In Europa la bicicletta condivisa si è diffusa prima che altrove ed oggi raggiunge il suo massimo splendore a Parigi, dove il sistema pubblico Velib vanta più di 20.000 biciclette.

biciclette in condivisione

A Milano gli utilizzatori di BikeMi hanno a disposizione tre tipi di abbonamento: quello giornaliero, pensato per gli utilizzatori sporadici, quello settimanale e quello annuale, disponibile al prezzo di 36 euro. Tuttavia recentemente è stata introdotta la possibilità di acquistare in edicola l’abbonamento, un’innovazione positiva perché fa risparmiare tempo ed elimina così un ostacolo alla diffusione di massa del servizio. Ci sono 27mila abbonamenti annuali attivi. Da gennaio a giugno si sono registrati 1.160.000 utilizzi, un dato in crescita del 30% rispetto al 2013, con una media di 10mila utilizzi al giorno.

La qualità di un sistema di bike sharing si misura non soltanto dal numero assoluto di bici a disposizione, ma anche e soprattutto dal rapporto tra questo numero e gli abitanti della città servita, perché in questo modo possiamo avere un’idea più precisa di quanto le bici siano veramente diffuse tra i cittadini.

biciclette condivise

Il grafico qui sopra riporta il numero di biciclette ogni 1.000 abitanti: se ignoriamo il dominio incontrastato di Parigi, cui non resta che inchinarsi, emerge un quadro in cui le città italiane non sfigurano: Milano si trova più o meno al centro della classifica, con 2,6 biciclette ogni 1.000 abitanti. Non si tratta di un dato negativo, ma nemmeno pienamente soddisfacente, a maggior ragione se paragonato a quelli di città simili a Milano per popolazione e estensione territoriale: Bruxelles, Lione e soprattutto Barcellona hanno sistemi più densi del nostro e quindi una maggiore disponibilità di biciclette. Torino, viceversa, si trova in fondo a questa classifica, con 1,3 biciclette ogni 1000 abitanti: nulla di cui stupirsi, visto che là il servizio è partito da poco, bisognerà capire come il sistema evolverà nei prossimi anni e che decisioni di investimento prenderà la giunta guidata da Piero Fassino.

Al di là dell’evidente importanza dell’infrastruttura viaria – quantità e qualità delle piste ciclabili, zone a 30 km/h e pedonali –, affinché il bike sharing possa accrescere il suo ruolo nel sistema integrato di trasporto pubblico è indispensabile concentrarsi su tre aspetti fondamentali del servizio: la sua densità, la gestione dei flussi e gli orari del servizio. Per densità del servizio intendiamo semplicemente la facilità con cui gli utenti possono trovare una bicicletta nella stazione più vicina: come indicato sopra, il criterio del numero di biciclette ogni 1.000 abitanti è un modo utile per “tarare” l’importanza del bike sharing alla grandezza del centro urbano che lo ospita. Un modo forse più immediato è confrontare i servizi di due città simili per popolazione ed area geografica, Villo! a Bruxelles e BikeMi a Milano. Il grafico mostra la distribuzione delle stazioni e una linea disegnata da noi che ricalca grossomodo il confine comunale.

mappa bike sharing milano

Possiamo osservare che il sistema serve praticamente tutta l’area interessata a parte la zona meridionale, che però è coperta da un bosco. Il servizio è in continua espansione e dovrebbe arrivare ad offrire 4.000 biciclette entro la fine del 2014.

Osserviamo ora la mappa del bike sharing milanese. Anche qui abbiamo tracciato in maniera sommaria i confini comunali, giusto per avere un riferimento chiaro.

mappa bike sharing milano

La differenza è evidente: il BikeMi è onnipresente nel centro storico, ma fatica ad uscire dalla circonvallazione esterna e lascia completamente scoperte tutte le zone periferiche, anche punti strategici come Bicocca e Bovisa, sedi di due grandi università, il Cimitero Maggiore, viale Forlanini, la direttrice sud-est che porta a San Donato, Lorenteggio a sud-ovest.

È evidente che per diventare un servizio di massa BikeMi deve espandersi con decisione e rapidità al di fuori del centro. Su questo punto il Comune sembra avere le idee chiare: recentemente è stata annunciata l’installazione graduale di 1000 biciclette elettriche, che porteranno entro l’inizio di Expo il numero totale di biciclette a 4500. Di fronte a questo piano si rimane un po’ perplessi: quanto costa una bicicletta elettrica? In particolare, quanto rispetto ad una bicicletta tradizionale? Milano non è una città enorme, abbiamo veramente bisogno della pedalata assistita? Non sarebbe meglio aggiungere 2.000 biciclette normali invece che 1.000 elettriche?

Uno dei difetti strutturali dei sistemi di bike sharing è l’asimmetria dei flussi: le dinamiche del pendolarismo sono spesso fortemente sbilanciate, alcune stazioni sono utilizzate esclusivamente come punti di prelievo e quindi esauriscono subito le bici a disposizione, altre sono utilizzate come punti di deposito e quindi vengono riempite subito. Per risolvere questo problema la maggior parte dei gestori ogni giorno sposta alcune biciclette dalle stazioni piene a quelle vuote con dei furgoni. Questo ovviamente ha un costo, che ragionevolmente si ripercuote sul prezzo del servizio. A Bruxelles il problema è particolarmente grave, perché la città è collinare e dunque le stazioni più alte sono spesso vuote: la società che gestisce Villo! ha cercato di risolvere il problema regalando minuti aggiuntivi di viaggio agli utenti che lasciano le bici alle stazioni collinari, ma senza grandi risultati. Milano ha il vantaggio di essere una città pianeggiante e forse potrebbe beneficiare dall’introduzione di incentivi di questo tipo.

Il terzo punto dolente è quello degli orari: molti bike sharing europei sono aperti 24 ore su 24: in particolare, sono aperti anche di notte e compensano in parte la mancanza o la bassa frequenza dei mezzi pubblici. Questo è il caso appunto di Parigi, con le sue 1-800 stazioni (una ogni 300 metri nell’area dei 20 arrondissements) e 20mila biciclette disponibili, e di Bruxelles, dove il bike sharing di notte costituisce una valida alternativa ai taxi o alle poche linee notturne attive. BikeMi invece può essere utilizzato solo fino alle 24:00, a parte d’estate, quando è attivo fino alle 2:00. Perché non estendere l’orario estivo a tutto l’anno?

Un BikeMi aperto fino a notte fonda ed esteso almeno fino a parte della periferia farebbe fare il salto di qualità ad un servizio che negli ultimi anni è migliorato costantemente. Sarebbe bello avere, tra due o tre anni, un bike sharing capace di competere con quello di Barcellona. Persino raggiungere Parigi, nel medio periodo, non è impossibile: basta volerlo.

 

L’articolo è stato scritto a quattro mani con Lorenzo Tondi

TAG: bike sharing
CAT: Bruxelles, Milano, Parigi, Smart city

7 Commenti

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  1. lorenzo.grande 9 anni fa

    ottimo articolo. Sullo sbilanciamento dei flussi, esistono soluzioni mutuate dalla gestione della rete elettrica (demand-side management). Ci sono dei ragazzi a Città del Messico che li stanno implementando nel loro servizio di e-scooter sharing (www.econduce.mx). In sostanza, gli utenti hanno la possibilità di guidare gratis o a prezzi ridotti se la loro destinazione è una colonnina in una zona sguarnita. In questo modo i gestori hanno minori costi connessi alla ridistribuzione della flotta e chi vuole può farsi un giro a prezzo scontato.

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    1. lorenzo.tondi 9 anni fa

      Ciao Lorenzo, grazie! L’idea dei ragazzi messicani è interessante e non è troppo diversa da ciò che si fa a Bruxelles con “Villo!”. Temo però che ciò che funziona per lo scooter sharing non funzioni per il bike sharing. La struttura della politica di prezzo è molto diversa: nel programma di Città del Messico i costi variabili, legati all’utilizzo effettivo, sono molto più alti di quelli del bike sharing. con lo scooter paghi 40 dollari per la prima mezz’ora di utilizzo e 30 per la seconda, con il bike sharing la prima mezz’ora è quasi sempre gratuita e paghi 1 o 2 euro per ogni mezz’ora aggiuntiva. è quindi evidente che fare sconti su un prezzo iniziale di 40 dollari è un’offerta più attrattiva che fare sconti su 1 euro.

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      1. lorenzo.grande 9 anni fa

        giusto ragionamento, in ogni caso 30-40 pesos messicani sono meno di 2 euro. Probabilmente con sconti sull’abbonamento la cosa potrebbe diventare economicamente fattibile anche da noi.

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  2. marco-parigi 9 anni fa

    Interessante che non compaiono Amsterdam e Copenhagen, no? Le due città dove in termini di modal split la bici prende la fetta più grossa rispetto a tutte le altre, 38% ad Amsterdam, dove è anche il mezzo di trasporto più utilizzato. In ogni caso, per parte mia, due osservazioni che vengono da alcune letture e dall’aver vissuto di recente ad Amsterdam e Barcellona, a) nelle città olandese ad un certo punto commissionarono un’analisi costi-benefici in merito, concludendo che fossero preferibili forme di tax credit (che oggi infatti esistono) alla creazione e gestione di costosi sistemi di bike sharing, anche tenendo in considerazione aspetti quali il noto problema della tragedia dei commons (che a Parigi ha dato qualche bel problemino, portando alla necessità di sostituire l’80% del parco bici dopo solo due anni dall’introduzione del servizio – http://mjperry.blogspot.nl/2009/10/tradegy-of-commons.html -, ed è un problema verificatosi anche in esperimenti controllati fatti nei campus americani) e appunto la necessità di muovere con dei camion le bici da una postazione all’altra per una gestione più efficace; b) i dati – in cui facilmente ci si può imbattere se ci si diletta di urban planning – dicono che, per usare la bici, la cosa più importante che la gente chiede è sentirsi sicura e che il modo migliore per rendere la bici sicura è quello di creare bike lane separate rispetto al resto del traffico. Ed è qui che la faccenda diventa davvero politica, che si separano le belle parole dalla sostanza. Se si vuole essere seri, va ridisegnata, seppur con gradualità, l’intera viabilità di città nate principalmente per le auto, come Amsterdam ha fatto a partire dagli anni ’70, come Barcellona ha preso a fare più di recente, con interventi molto profondi (ad esempio, rendere molte strade a senso unico per riservare parte di esse ad ampie corsie ciclabili). In tutto il mondo è una lotta, per ragioni anche piuttosto ovvie (Brent Toderian, urban planner di una certa fama, qui racconta il caso di Vancouver, http://www.huffingtonpost.ca/brent-toderian/bike-lanes-car-commuting-vancouver-toronto_b_1940979.html). Dunque, o si è disposti ad ingaggiarla fino in fondo, questa battaglia o moltiplicare i punti bici alla fine servirà davvero a ben poco. Onestamente, non mi pare nulla di tutto ciò sia nelle corde della pavida amministrazione milanese (ma in generale, della maggior parte delle amministrazioni comunali delle grandi città italiane).

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    1. marco-parigi 9 anni fa

      *non compaiano

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    2. lorenzo.tondi 9 anni fa

      Dici bene, è molto interessante, non compaiono perché lì la bicicletta è così diffusa che ognuno utilizza la propria. Hai ragione sulla viabilità e sulle piste ciclabili, che sono il requisito per un’adozione di massa della bicicletta. Fra l’altro cambiare la viabilità e creare una città a misura di bici significa anche eliminare il pavé; a Milano in molti non sono d’accordo nemmeno su questo.

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  3. marcorecorder 9 anni fa

    Ottimo articolo davvero ma il titolo è fuorviante. L’Europa non è solo Francia, Germania, Inghilterra, Olanda, Danimarca, Belgio e Spagna. Dove mettiamo gli altri 20 paesi UE?
    Oltretutto il bike-sharing nelle località turistiche del nord d’Italia (vedi Liguria o Romagna) è già presente da anni. Semmai bisognerebbe dire, “Bike-Sharing: Italia tra le prime nell’UE”

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