Tutta la verità sui sacchetti di plastica biodegradabili

3 Gennaio 2018

Il nuovo anno si è aperto già con una nuova polemica: quella sui sacchetti biodegradabili per il reparto ortofrutta, che hanno infervorato accesi dibattiti nelle famiglie e portato in top trend di Twitter gli hashtag #Sacchetti e #sacchettibiodegredabili. Se discutere è legittimo, non è invece proficuo discutere sulla base di alcuni dati e informazioni che sono state veicolate in questi giorni. Affermazioni a volte lacunose, altre completamente distorte. Facciamo quindi il riassunto, in 5 punti.

La questione della plastica

Secondo il rapporto “L’impatto della plastica e dei sacchetti sull’ambiente marino” realizzato da Arpa Toscana e dalla struttura oceanografica Daphne di Arpa Emilia Romagna la plastica rappresenta il principale rifiuto rinvenuto nei mari: è di plastica il 60%-80% del totale dell’immondizia trovata nelle acque. Secondo l’International Coastal Cleanup, nel Mediterraneo tra il 2002 e il 2006 i sacchetti di plastica sono risultati il quarto rifiuto più abbondante dopo sigarette, mozziconi e bottiglie. Questo inquinamento ha delle conseguenze: di 115 specie di mammiferi marini, 49 sono a rischio di intrappolamento o ingestione di rifiuti marini. In particolare, delfini, elefanti marini, capodogli, lamantini sono attratti da questi materiali; le tartarughe li scambiano per meduse e rimangono soffocate.

Non solo: tra i 700.000 e un milione di uccelli marini rimangono ogni anno uccisi per soffocamento o intrappolamento. Intanto gli scienziati hanno iniziato a studiare quali sono gli effetti sulla catena alimentare, non solo sulle creature che vivono i mari, ma anche sull’uomo.

E sì, tra i maggiori responsabili ci siamo proprio noi: sempre secondo il rapporto Arpat-Arpae, l’Italia è il primo paese europeo per consumo di sacchetti di plastica usa e getta. Nel Bel Paese si consuma infatti il 25% degli shopper commercializzati in tutta Europa.

Catia Bastioli non è “un’amica di Renzi”

“Ha contribuito a creare una cultura industriale particolarmente sensibile ai problemi di impatto ambientale”: questa è la motivazione con cui l’Università di Genova le ha conferito la Laurea Honoris Causa in Chimica Industriale alla dott.ssa Catia Bastioli, già laureata in Chimica Pura presso l’Università di Perugia. È amministratore delegato di Novamont e presidente di Terna, Cavaliere Al Merito della Repubblica Italiana, “Premio Eureka” per l’innovazione tecnologica nel 2013, premio “Inventore europeo dell’anno” nel 2007, una delle protagoniste della trasformazione industriale verso l’economia circolare in Italia.

Sì, Catia Bastioli ha partecipato con un intervento alla Leopolda del 2011: indovinate di cosa ha parlato? Di sviluppo sostenibile, di come riconvertire l’economia verso le materie prime rinnovabili, rapporto tra industria che crea innovazione e lavoro sul territorio, di imprese che mirano alla crescita in Italia e sul territorio. Il riassunto del suo intervento è disponibile a questo link.

Catia Bastioli è anche un inventore: ha depositato 90 brevetti base e 900 brevetti internazionali, tra cui il Mater-Bi, il materiale di origine vegetale innovativo che sta rivoluzionando il mondo.

Il fatto che sia stata un’italiana, in un’azienda italiana, a fare tutto questo, a creare innovazioni amiche dell’ambiente, con un sistema produttivo sul nostro territorio, creando posti di lavoro, dovrebbe essere motivo di vanto, non di insinuazioni.

Perché e quanto costano i sacchetti biodegradabili

Secondo i dati Gfk-Eurisko, ogni famiglia consuma una media di 417 sacchetti all’anno. Il costo per famiglia sarà di 4,17 -12,51 Euro a famiglia; considerando un costo di 2 centesimi, dovrebbe ammontare a circa 8 Euro a famiglia.

In realtà il divieto alla commercializzazione dei sacchetti per la spesa monouso in plastica è stato introdotto con l’articolo 1, comma 1130, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006); poi, nel 2014, è stato sbloccato il sistema sanzionatorio, che prevede multe fino a 100mila euro. Ma si sa, in Italia fatta la legge, scoperto l’inganno: le buste del reparto ortofrutta sono state definite “a uso interno” e perciò sono continuate a circolare le buste di plastica. Che i clienti a volte usano non solo per il reparto ortofrutta, ma per fare la spesa; o per imbustare la carne o il pesce; o per separare la farina.

La nuova norma entrata in vigore, quindi, non fa che estendere la normativa già in vigore, andando a coprire anche le buste di plastica che prima, con un escamotage, erano rimaste fuori dal bando: adesso anche questo tipo di buste devono essere biodegradabili e compostabili secondo la norma Uni En 13432, con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile di almeno il 40%.

Sulla scelta del governo di rendere a pagamento i sacchetti, questa riprende una direttiva europea (2015/720). Sui sacchetti di plastica era già stata aperta una procedura di infrazione europea (20170127), da cui era scaturita l’ “esortazione” della Commissione Europea, che ci ha invitati a “completare l’attuazione della legislazione UE sui rifiuti nelle loro leggi nazionali. Per far fronte agli sprechi di risorse e ai rifiuti, gli Stati membri hanno dovuto adottare misure per ridurre il consumo di sacchetti di plastica leggeri come richiesto dalla direttiva sui sacchetti di plastica entro il 27 novembre 2016. La direttiva obbliga gli Stati membri per raggiungere questo obiettivo ponendo un prezzo su borse di plastica leggera e / o introducendo obiettivi di riduzione nazionali. I governi nazionali possono scegliere tra una lista di misure per raggiungere gli obiettivi concordati. Questi includono strumenti economici, come tasse o imposte”.

È chiaro, comunque, che i sacchetti di plastica del reparto ortofrutta venivano pagati anche prima dagli utenti: come remunerazione dei costi operativi dei supermercati, che chiaramente viene scaricato sul costo finale. La differenza è che è un costo diventato visibile.

I sacchetti sono utilizzabili per l’organico?

La legge stabilisce che:

Art. 226-ter. (Riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero). – 1. Al fine di conseguire, in attuazione della direttiva (UE) 2015/720, una riduzione sostenuta dell’utilizzo di borse di plastica, è avviata la progressiva riduzione della commercializzazione delle borse di plastica in materiale ultraleggero diverse da quelle aventi entrambe le seguenti caratteristiche, attestate da certificazioni rilasciate da organismi accreditati:

a) biodegradabilità e compostabilità secondo la norma armonizzata UNI EN 13432:2002;

b) contenuto minimo di materia prima rinnovabile secondo le percentuali di cui al comma 2, lettere a), b) e c), determinato sulla base dello standard di cui al comma 4.

I sacchetti, di per sé sono quindi assolutamente biodegradabili e compostabili – quindi sicuramente costituiscono un vantaggio per l’ambiente. Tutte le misure che ci consentono di ridurre l’uso della plastica nell’usa e getta vanno nella direzione di un’economia più rispettosa dell’ambiente.

Un problema invece persiste e può creare una criticità in fase di raccolta differenziata: l’etichetta

Fake news: la campagna elettorale è iniziata

Nelle ultime settimane sono circolati messaggi Whatsapp con notizie false, tipo che il costo dei nuovi sacchetti sarebbe di 7 centesimi l’uno (è invece intorno ai 2 centesimi), che i nuovi sacchetti non aiutano l’ambiente, che le “autorità” possono ignorarla. Questi messaggi viaggiano nutrendosi della buona fede di persone che hanno perso ogni fiducia nelle istituzioni e non hanno gli strumenti informativi per verificare le notizie. Persino un successo italiano come quello dell’industria delle bioplastiche, che dovrebbe essere un orgoglio nazionale, viene additato con sospetto.

Il modo in cui questa notizia è stata divulgata, veicolata, amplificata fino a farla diventare un caso, mentre vengono ignorate altre notizie ben più gravose per i cittadini, come gli aumenti su gas ed elettricità, è uno specchio del sistema informativo: che non ha punti di riferimento, martoriato da siti spazzatura, articoli mordi e fuggi, mancanza di verifica e approfondimento.

La campagna elettorale è aperta, senza esclusione di colpi.

Nemmeno per i cittadini, nemmeno per l’informazione pubblica.

TAG: Catia Bastioli, sacchetti a pagamento
CAT: Inquinamento

17 Commenti

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  1. era-tutto-scritto 6 anni fa

    la difesa a spada tratta di questa storia dei sacchetti biodegradabili mi ha insospettito per cui sono andato a fare un ricerca su di Lei. Dal Suo sito, http://www.veronicaclima.it/, si presenta come “Lavoro come free lance, seguo la comunicazione web di alcune aziende (social network, blog aziendali, etc), “. Sarebbe interessante sapere se tra le aziende con cui collabora ci siano anche quelle interessate alla nuova legge.

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  2. marco-bellarmi 6 anni fa

    Sarebbe interessante sapere perchè un’agente di questi “banditi del biodegradabile” sia così stupida da aprire un sito internet.
    E chi mi dice che “era-tutto-scritto” non sia a libro paga dei petrolieri? Quanti dollari vale smaltire uno scarto della lavorazione del petrolio producendo sacchetti di cancro “ottimi per alimenti”?

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  3. karel-krpan 6 anni fa

    qui è spiegato tutto ed in maniera imparziale : https://www.polimerica.it/articolo.asp?id=19186

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  4. evoque 6 anni fa

    Articolo interessante documentato verificabile. Rara avis, di questi tempi.

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  5. feder-1 6 anni fa

    Tutto perfetto.
    Come al solito in Italia si blocca la pulce è si lascia passare gli elefanti.
    Com’è che ogni tanto un capannone pieno zeppo di plastica e scarti piglia fuoco.? Non ho ancora sentito un indagato per questi scempi .mi sa che le assicurazioni li risarciscono pure .Hahaha.
    E non mi vengano a dire che si tratta di autoconbustione.

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  6. era-tutto-scritto 6 anni fa

    #marco-bellarmi
    non contesto l’uso di materiali più ecosostenibili ma la legge (e la difesa della legge della Caciagli nello specifico) che impedisce il riuso delle buste o l’uso di sacchetti alternativi (in Svizzera pare usino retine). La possibilità di riutilizzare le buste avrebbe danneggiato le industrie del settore ed ecco la furbata di obbligare il sacchetto monouso. Se sei davvero attento all’ambiente ti battevi per il riuso anche a danno delle aziende, questo è il punto. Poi leggendo l’articolo sul FQ su come si è arrivati a questa legge…

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  7. evoque 6 anni fa

    era-tutto- scritto

    Sì, certo, il Fatto quotidiano, un giornale, anzi, giornalino proprio credibile, specialmente su certi argomenti. Quanto al riuso è una cosa non fattibile, visto che le etichette che si applicano dopo avere pesato la merce non possono più essere staccate pena la lacerazione del sacchetto stesso. E poi, siccome in Italia siamo tutti furbi, o almeno pensiamo di esserlo…

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  8. marco-baudino 6 anni fa

    Riporto l’attenzione sulla direttiva europea 2008/98 sulla Waste Hierarchy che suggerisce di risolvere il problema partendo dalla prevenzione della produzione dei rifiuti, ovvero “tornare” al tradizionale riuso, al vuoto per pieno, al riutilizzo di soluzioni che tra l’altro aprirebbero la strada ad un bel regime di concorrenza tra soluzioni più intelligenti, con materiali diversi, compresa la fibra di canapa, di antica (neanche tanto) memoria. Invece siamo in regime di monopolio, imposto su un unico materiale di base. Che comunque riempie i cassonetti e i sacchi della raccolta dei rifiuti. Senza abbassare la massa degli stessi da conferire ai vari smaltimenti. Credo sia necessaria una seria rianalisi del problema. Cercate la direttiva 2008/98 e leggetela. Poi ditemi. Grazie MB

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  9. era-tutto-scritto 6 anni fa

    #evoque – parrebbe, secondo legambiente citata dal corriere (visto che il FQ è poco attendibile), che sia sufficiente una circolare del ministero per poterci portare al supermercato un sacchetto in rete. Così tutti contenti, o quasi…

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  10. andrea-principi 6 anni fa

    Questi sacchetti non sono compostabili né riutilizzabili per il semplice fatto che la stragrande maggioranza degli esercizi pubblici vi applica un’etichetta plastificata con inchiostri al piombo che non è biodegradabile.

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