Le conseguenze del suicidio sugli altri

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21 Maggio 2019

Parliamo di un tema delicatissimo: il suicidio. E lo facciamo da un punto di vista diverso, ma importante, quello delle persone che subiscono impotenti la decisione di chi si toglie la vita.

Paradossalmente chi vuole uccidersi sostiene spesso che il mondo senza di lui (o lei) sarebbe un posto migliore e nessuno sentirebbe la sua mancanza. Ma è davvero così? E se invece suicidarsi fosse un atto estremamente egoista? Un gesto che non tiene conto dell’impatto devastante non solo sulle persone che ci amano, come i familiari e gli amici, e di quelle che sono sempre accanto a noi, come i colleghi, ma anche su perfetti sconosciuti. Proprio così: estranei, che non hanno alcuna colpa se non quella classica di trovarsi al momento sbagliato nel luogo sbagliato.

Il caso più eclatante è quello di Andreas Lubitz (nella foto), il pilota della Germanwings che, depresso e con gravi problemi di salute, decise di togliersi la vita portando con sé nella tomba altre 150 persone che volavano con lui sull’aereo da lui stesso pilotato e fatto schiantare. Una scelta consapevole e scioccante, che ha distrutto molte vite in nessun modo collegate direttamente a quella del suicida. Ma ci sono altri esempi che potremmo fare, meno eclatanti e però più frequenti. Chi si toglie la vita fuori dalla propria casa, ad esempio, non mette in conto i traumi psicologici gravissimi che può causare nello sconosciuto che per puro caso assiste alla scena o trova i resti del suicida stesso.

Secondo Emanuela Mazzoni, psicologa specializzata in counseling relazionale, darsi la morte può essere un gesto altruista ed egoista allo stesso tempo: «L’altruismo è legato a tutti coloro che sono arrivati a credere che con il loro gesto estremo faranno un favore a qualcun altro a cui tengono, ma non riescono a vedere che forse possono esservi soluzioni ancora non pensate. L’egoismo è connesso, invece, all’essere talmente concentrati e coinvolti dal proprio dolore, dalle proprie convinzioni o comunque da se stessi, da non vedere più le conseguenze a largo spettro o a lungo termine del proprio gesto».

Per la psicologa, chi rimane coinvolto nel suicidio di qualcun altro, per superare il proprio trauma, deve cercare di capire le ragioni del suicida: «È importante conoscere i fatti e cercare di comprendere i perché di un gesto estremo per renderne possibile la contestualizzazione in campo relazionale, sociale, sanitario, ambientale in cui esso è avvenuto.

Il senso di contestualizzare l’evento, di provare ad ascoltare senza giudicare è quello di innescare il vero passaggio relazionale tra esseri umani, che è la compassione. Quest’ultima – la cui etimologia ci fa risalire al significato “patire, soffrire con” qualcuno – può essere il luogo della rielaborazione sociale dell’estremo gesto. La strada da percorrere è quella dell’empatia, evitando l’identificazione con il dolore dell’altro, ma bensì avvicinandosi ad esso e accompagnandolo». Secondo Mazzoni, quindi, ricostruire la storia del suicida, camminando a ritroso, come in un labirinto interiore, consente di trovare «un’altra possibile via di uscita».

«Una cara amica e collega counselor ha vissuto nella sua vita proprio l’essere spettatrice di un suicidio – racconta la dottoressa – Ogni volta che ne ha parlato in mia presenza, ho empatizzato il suo grande sgomento, la bruttura dell’immagine che le è rimasta impressa per tanto tempo e soprattutto il grande dolore legato all’impotenza di essere stata vittima della scelta di un altro, peraltro sconosciuto. Lei con grande forza, coraggio e compassione è riuscita a emergere nel viaggio di rielaborazione di questo evento».

Dove e come chiedere aiuto

Parlare di suicidio non è semplice. Se stai vivendo una situazione di emergenza puoi chiamare il 112. Se sei in pericolo o conosci qualcuno che lo sia puoi chiamare il Telefono Amico allo 199.284.284. Se sei un minore o pensi che un minore sia in pericolo, puoi contattare il Telefono Azzurro allo 1.96.96.

TAG: conseguenze del suicidio, Germanwings, psicologia, Suicidio
CAT: Psicologia, salute e benessere

2 Commenti

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  1. dionysos41 5 anni fa

    Forse il tema meritava un maggiore approfondimento e anche una terminologia meno moralistica. Avrei evitato per esempio di parlare di egoismo e altruismo. Le ragioni sono talmente complesse che non possono essere racchiuse in qualche giudizio semplificatore. Non basta dire che altruismo ed egoismo convivono nel gesto. I “moralisti” antichi erano molto più cauti. Per esempio Seneca. Ma capisco che il tema è delicato. Forse, spostare la prospettiva sulla sofferenza, di chi si congeda e di chi resta, potrebbe aiutare di più a capire.

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  2. gmajorino 5 anni fa

    Sono purtroppo d’accordo con la replica. Anzitutto vi è un’eterogeneità dei suicidi. Vi sono ,per esempio dei suicidi come unica via di scampo per situazioni dolorosissime sia psichiche che fisiche. Poi suicidi reali mascherati da “atti eroici”:la Storia è piena di questi esempi. Infine vi è tutta l’ampia varietà di quelli che,freddamente,noi del mestiere, chiamiamo TS cioè tentati suicidi che spesso sono forme ricattatorie per chiedere l’intervento di altri (però c’è un problema tecnico e cioè che magari il suicidio riesca davvero,ovviamente contro la volontà dei soggetti). Ma c’è anche il suicidio (mi si perdoni il termine) più “autentico” cioè quello che è motivato da una disperazione così profonda che rende vani , purtroppo, gli sforzi sia di noi del mestiere che di quelli che sono affettivamente vicini a chi non puo’ fare altro che togliersi la vita. Vi sono cioè delle disperazioni (etichettiamole pure come depressive) che fanno scomparire tutto il mondo attorno. Starei attento però a considerarle come “esistenziali”. La seduzione di un termine come questo può paradossalmente dare un contentino a chi fa un gesto così tragico. Come al solito le parole sono “pericolose”. Per noi,del mestiere, queste disperazioni sono forse un confine tra lo psichico (inteso come storia reale e immaginaria della persona) e il suo stato neurofisiologico.

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