Stiamo vivendo la prova generale per la crisi climatica

26 Aprile 2020

Continua il dialogo a distanza con il regista e autore Milo Rau. Al centro del nuovo intervento di oggi, una riflessione sulla tragedia di Sofocle, la “tragedia perfetta”, ovvero Edipo Re. Un pensiero ancora aperto, tra politica e teatro. Intanto, vale la pena segnalare che ieri, il 25 aprile, in occasione del 150 anniversario della nascita di Lenin (avvenuta il 22 aprile 1870), la Schaubühne di Berlino ha reso disponibile online il Lenin, diretto da Rau, con sottotitoli inglesi, e con una prefazione di Wajdi Mouawad. Con grande piacere pubblico questo articolo, nella traduzione di Giacomo Bisordi (Andrea Porcheddu)

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(di Milo Rau)

Circa un mese fa, ho scritto in un articolo, senza essere particolarmente inventivo, che i testi più discussi nella prossima primavera sarebbero stati La Peste di Camus e Il Decamerone di Boccaccio. E così è andata, sebbene il più antico e inquietante testo sulla peste della letteratura occidentale sia stato finora ignorato: Edipo Re di Sofocle. Probabilmente perché è piuttosto cupo. Mentre Camus ha scritto una parabola di solidarietà, e anche ne Il Decamerone al finale il gruppo di nobili ritorni pentito nella Firenze ancora contaminata, Edipo Re è una pura allegoria pessimistica sul fallimento delle élite e di un’intera civiltà.

Di cosa parla? Quando la peste scoppia a Tebe, il re Edipo chiama a raccolta tutti i suoi più fidati consiglieri: esploratori, sua moglie Giocasta, il fratello di lei Creonte, l’indovino Tiresia. Poco a poco, Edipo deve imparare che lui stesso è la causa dell’epidemia; perché è colpevole di aver ucciso suo padre, il precedente re, e sposato Giocasta, sua madre. Il pubblico antico conosceva quel mito, e anche noi lo conosciamo – almeno dai tempi di Sigmund Freud. Ma ciò che è interessante è come Edipo reagisce alla progressiva scoperta: dapprima con il sospetto, poi con la rimozione, quindi con la rabbia e infine con l’odio verso di sé. Edipo Re è la patologia della negazione.

Naturalmente questa storia, qualche giorno dopo che Jair Bolsonaro ha rimosso il suo ministro della salute e Donald Trump ha tagliato i finanziamenti all’OMS, potremmo leggerla come una traduzione poetica dei loro tweet: come se qualcuno per evitare un disastro accusasse tutti quello che lo combattono di essere dei bugiardi. Ma Edipo non è un populista pazzo. È un governante estremamente razionale e con le migliori intenzioni. E proprio perché lui vorrebbe essere buono, non può accettare che il suo governo sia perverso alle fondamenta.

L’etimo di “Edipo” è: “dai piedi gonfi” ma anche “colui che conosce tutto”. E dal primo verso della tragedia, a Edipo viene ripetutamente detto quello che ha già capito da tempo: la sua colpa per quella che gli piacerebbe interpretare come una disgrazia immeritata. E qui, la tragedia di Sofocle diventa un’allegoria per tutti noi: dato che anche noi abbiamo compreso che il Coronavirus non è un evento “assurdo” come la peste nel romanzo di Camus, non un’immeritata “guerra” dei virus contro l’umanità, come dichiarano i nostri capi di governo – ma le conseguenze di un modo di vivere distruttivo. “I più grandi dolori sono quelli di cui noi stessi siamo la causa” come dice Sofocle.

E come va a finire? Edipo, moralista fino alle estreme conseguenze, si acceca e abbandona la città. Non è molto probabile con le nostre élite, ma questo è solo l’inizio della trilogia di Sofocle: il re potrà anche aver chiuso con il suo passato, ma il passato non ha chiuso con la sua città. Tebe sprofonda nella guerra civile. E non sarà finita neanche per noi in autunno. Quello che stiamo vivendo adesso è semplicemente la prova generale per la crisi climatica. E sembra che, come Edipo, noi non siamo la soluzione, qualunque cosa facciamo – ma il problema.

 

(Traduzione: Giacomo Bisordi. Nella foto di copertina: un momento di Orestes in Mosul, di Milo Rau, produzione  NTGENT, foto di Fred Debrok)

TAG: albert camus, Camus, coronavirus, Decamerone, Donald Trump, Edipo re, Jair Bolsonaro, Milo Rau
CAT: Teatro

Un commento

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  1. roberto-biselli 4 anni fa

    Mi sembra che nel ragionamento manchi un punto sostanziale. Edipo è vittima del suo destino, dal quale aveva tentato di fuggire trasgredendo alla legge imposta dagli dei e dagli dei sarà punito. I più grandi dolori di oggi nascono dalla nostra inettitudine, non dalla cecità a cui Edipo è sottoposto dalla volontà quasi perversa del pantheon greco divino. La nostra pandemia ci deve far riflettere sua nostra corresponsabilità. Se il sistema teatro in Italia ha commesso vari incesti intorbidandosi su se stesso, la responsabilità è esclusivamente nostra, cioè di noi che ci siamo accecati per non vedere e spartirci come sciacalli gli ultimi brandelli della città di Tebe. Ora questa condizione è da un certo punto di vista auspicabile. quando mai avremo un’occasione così eretica per eliminare tutto il marco in Danimarca nell’intero comparto del sistema spettacolo dal vivo in Italia e rifondarlo da zero. Partendo da una nuove e corretta legge di riforma del comparto, ridisegnando a livello politico il SENSO di un paese A TRAZIONE culturale, ridisegnando quindi politiche culturali, e giù a cascata, creare una tavolo di consulenza per il Mibact reale, composto di chi rappresenta realmente i lavoratori dello spettacolo in Italia. Quindi ripensare tutto, il ruoli degli grandi istituzioni pubbliche della lirica e del teatro, lo stato giuridico professionale dei lavoratori, un sistema di clientele e favori personali da abolire, un’osservatorio che sappia cogliere le profonde trasformazioni di questo paese, un rafforzamento del Fus come strumento che consenta una visione di più ampia della progettazione culturale dal vivo, limando gli eccessi di costi produttivi. Ma chi deve chiedere queste cose? queste utopie? non certo chi il potere ce l’ha, poiché non ha alcun interessa a ribaltare le stato delle cose, che è a sua modesto vantaggio. Siamo noi, tutti e 250.000 lavoratori che dovranno assaltare il Palazzo d’inverno, per far luce agli occhi ormai totalmente ciechi del tiranno, per riprenderci in mano un tempo e un luogo, quello dell’arte e dell’intrattenimento di qualità, bloccato da lacci e laccioli della burocrazia, da regolamenti antiquati, da servi e lacchè che su questo sistema hanno speculato consociativi per costruire carriere, riconoscimenti, false credibilità, che in fin dei conti sempre noi siamo andati a cercare mendicando.

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