Italia: Baby Boomer tra un bicchiere di vino e una visita dal dottore

5 Giugno 2021

Sono partito da Berlino una settimana fa. Per farlo ho fatto un tampone, ho scaricato un’APP, ho compilato due documenti. Nessuno mi ha mai controllato i documenti. Nessuno. Arrivato a Milano ho apprezzato il cielo, qualche sviluppo architettonico e due alberi in croce.

Il giorno dopo è iniziata una settimana di lavoro (e famiglia) in Italia, dove ho trovato una società demoralizzata e rallentata, forse non solo per la pandemia. Siamo tutti storditi, quindi niente di strano, mi dico.

Noto però le possibilità economiche dei pensionati e i loro ritmi al supermercato o per le strade delle città. Rendono lento il pagamento come il deflusso. Si paga in contanti ovunque. Mi chiedo se abbia senso con la pandemia, ma poi ritorno a guardare.

Pensionati affollano bar e ristoranti nel nord Italia in questi giorni di riaperture, sono loro quelli che guidano le macchine nuove, sono loro che hanno assistenza anche per le mansioni più semplici.

Negli ultimi 15 anni ho vissuto a Londra, dove i Londoner non possono rimanere dopo il retirement. Ho vissuto a Bruxelles e ad Amsterdam, dove i pensionati vivono normalmente in quartieri periferici. Sono ora a Berlino, dove i pensionati sembrano essere le parti deboli della società. Borbottano, ma sono deboli. Hanno superato bene l’inverno, con le loro psicosi periodiche, comunque gestite in solitudine.

A Milano, a Torino, in Val di Susa ci sono invece per lo più loro ai tavoli all’aperto. Pensionati. Lo stacco, la differenza rispetto a Berlino, Londra, Bruxelles e Amsterdam sono impressionanti. Non so quanto possa essere positivo.

La cosa peggiore, dal mio punto di vista, è che molti italiani che vivono in Italia sono arrivati a pensare, alcuni a rassegnarsi, che questo peso economico della generazione silenziosa (persone nate tra il 1928 e il 1946), ma soprattutto della fascia più anziana dei Baby Boomer (generazione di persone nate tra il 1946 e il 1964) sia normale. No. Non lo è. 

Il rispetto per generazioni improduttive (detto con un filo d’astio e con parziale superficialità) è sensato e deve essere promosso, ma il riconoscimento incondizionato del loro ruolo nella società non dovrebbe essere dovuto.

Gli interessi delle nuove generazioni non devono essere sottovalutati, sicuramente non taciuti con il solito cavallo di battaglia. L’esperienza in un momento di novità assoluta e di cambiamenti globali non serve poi a troppo. Anzi.

 

Davanti alla TV

Guardando Otto e Mezzo una settimana fa gli ospiti di Lilli Gruber commentavano la mancanza di interesse per offerte di lavoro nella ristorazione da parte delle nuove generazioni. Padroni di ristoranti non trovano personale. Scandalo.

Nessuno ha detto però quello che, secondo me, è lampante: perché mai qualcuno dovrebbe lavorare a condizioni peggiori di quelle che può trovare a due ore di volo? Il mercato del lavoro adesso è europeo, soprattutto per le mansioni meno appetibili. Per le nuove generazioni, a differenza delle persone più sedimentate, andarsene a vivere in posti ben più vitali è una possibilità, anche piuttosto facile da realizzare, anche durante la pandemia.

Ho trovato la retorica degli ospiti di Lilli Gruber triste. Perché quella dettata dagli anziani. Perché quella inermemente accettata dai più giovani. Perché quella non messa in discussione se non dagli italiani che tornano “a casa” per una settimana a salutare genitori e nonni, o quelli che sono tornati da privilegiati dopo carriere fulminanti all’estero (e magari si stanno chiedendo se sia stato sensato).

Il punto è che i giornalisti italiani, di un gruppo editoriale o dell’altro, non stavano discutendo di lavori importanti. Non si parla di offrire a un giovane la posizione di Lilli Gruber. Si parla di mancato interesse per lavoretti. Per così dire.

Se non si dovesse mai trovare neanche un giornalista italiano trentenne interessato a ricoprire la dirigenza di un giornale importante sarebbe un problema, sarebbe giusto gridare allo scandalo. Se non si dovesse trovare un ventenne pronto ad assumersi responsabilità per lavori da 50K (inglesismo voluto) con ottime possibilità di crescita sarebbe preoccupante. Parliamo invece di manovalanza. Manovalanza mal pagata.

Magari le nuove generazioni stanno preferendo passare del tempo a capire cosa vogliano essere. Magari stanno guardando i salari minimi in altri Paesi (dove, tra l’altro, gli straordinari vengono pagati). O magari si stanno solo adattando al sistema italiano, smettendo di pensare. E si capisce perché. 

In Italia ho notato in questi giorni parecchi titoli, manifestazioni del potere e del patriarcato, ripetuti come fossero cantilene: “Il Presidente” – “Il Dottore” – “La Dottoressa” – “Il Direttore”. Titoli onorifici nonostante le disfatte, nonostante le pensioni. Titoli che però hanno spesso una scadenza.

A questi titoli onorifici gli onorati di turno sono arrivati sicuramente con sforzi notevoli, ma anche con l’accettazione di un sistema di potere che non sta portando a grandi risultati sociali ed economici.

Incontrando amici di lunga data sento il fastidio dovuto all’obbligo di accettare questa mentalità, regole non scritte, oltre che a condizioni lavorative difficili. Sono infastiditi e stanchi.

La frustrazione che noto nei miei compagni di liceo e università è lavorativa e societaria, senza escludere l’elemento politico. Vuoi o non vuoi i nuovi governi vengono e verrano decisi da una popolazione che sta perdendo le forze, ma non l’influenza.

La generazione dei Baby Boomers è la più numerosa in Italia, seguita a ruota dalla Generazione X (1965-1980) e 30% più numerosa della Generazione Y (1980-2000). Questo significa voti. Questo significherà forse un governo Salvini-Meloni-Berlusconi.

 

Ritorno a Berlino

Ieri dovevo tornare a Berlino. Il personale dell’aeroporto di Bergamo è stato questa volta estremamente scrupoloso. In uscita, non in entrata.

Mi hanno chiesto un tampone che non avevo, perché non ho trovato un posto in val di Susa per farlo. Volevo farlo in aeroporto. Ma non era possibile. Ero in ritardo di quattro ore per farlo. La farmacia di Orio al Serio chiude alle 15. Perso il volo, rimango a Milano. Imprecazioni. Niente di totalmente inaspettato, mi dico.

Penso al mercato immobiliare, così, come diversivo alle imprecazioni. I prezzi delle case a Berlino sono duplicati in tre anni (la città è giovane e alternativa), quelli in Germania aumentano moderatamente (è comunque un Paese con problemi demografici simili a quelli italiani), ma i prezzi della “periferia italiana” (sinonimo di aree normali, non di lusso) crollano come le vecchie infrastrutture. Altro che diversivo. Continuo a imprecare.

Secondo l’ex sindaco di un comune in Val di Susa il collasso del real estate è quantificabile: intorno al 50% negli ultimi tre-quattro anni. Forse perché i giovani se ne vanno? Forse perché molti si sentono bloccati e non vedono l’ora di farsi un tampone e prendere il primo aereo?

Oggi ho dovuto trovare, non senza difficoltà, una farmacia a Milano con un’infermiera specializzata per il mio certificato per la partenza. Ecco qua un’altra differenza: documenti cartacei su documenti cartacei da compilare da una super espertissima per poi pagare un tampone 30 euro.

In Germania il tampone è gratuito per i residenti, il risultato arriva direttamente via mail e lo puoi fare in uno dei tanti negozi che hanno cambiato attività per qualche mese, giusto per tirare su due soldi. Per capirci. Il carpentiere e/o il venditore di magliette e/o il parrucchiere può metterti il tampone nel naso e tutti liberi. Un, due, tre, stella. Può sembrare un esempio stupido, ma è una prova di dinamismo e di adattamento. L’infermiera specializzata a Milano e il carpentiere/parrucchiere a Berlino. Trova la differenza.

Questo per dire che il mondo italico è fantastico per alcune generazioni conservatrici e interessate a mantenere i propri privilegi; è invece da incubo per altre generazioni che non sanno da dove iniziare per cambiare un po’ le cose, per poi trovarsi inevitabilmente avvilite, appesantite e forse anche insultate.

Fortunatamente a volte trovano delle gioie. Nella maternità. Nella paternità. Nell’ironia. O nel cibo. O nelle ore passate su Amazon per controllare il prezzo dei giochi che avevi da bambino. O nelle sostanze in un certo senso stupefacenti. O in un mix di tutto questo.

Poi arrivo a Berlino e la follia è di casa, un ragazzo cammina per la stazione con una bottiglia d’acqua sulla testa. Nessuno ha controllato i documenti neanche qua, gli stessi documenti per cui ho perso un volo ieri. Prima impreco, poi mi guardo intorno: alla fine c’è da sorridere. Niente più lockdown, niente più coprifuoco in Germania. Da oggi. Le cose stanno cambiando. Siamo in un momento di cambiamento; l’esperienza e i parametri di giudizio abituali, come detto, servono a poco.

 

Conclusioni banali

Oggi riapre Berlino. Oggi riapre la città dove vivo. Arrivo ad Alexanderplatz, vedo le persone felici nelle strade. Di tutte le età. E sono un po’ intristito: ritorno alla città dei “giovani” internazionali (anche a 38 anni – a bit of a stretch), ma penso che questa vacanza di lavoro in Italia appena conclusa sia alquanto triste. Perché una generazione non centrale viene schiacciata più delle altre. E si sta abituando. E si sta avvilendo. E si sta imbruttendo.

Intanto cerco di capire le regole in vigore qua a Berlino. Le persone che usciranno da questa pandemia al meglio sono quelle che si adatteranno meglio e più velocemente. Meglio tornare a fare il giovane flessibile.

Nel frattempo un ultimo pensiero sull’Italia. Vedo questo. Un velo sottile tra la rassegnazione e l’istinto naturale di chiedere un po’ di spazio nella società. Alcuni ci riescono. Ma la maggioranza soffre. Per un modo o nell’altro. In un verso o nell’altro. Alcuni esponenti delle nuove generazioni ci stanno provando però, cercano di avere un po’ di voce, perfino qualche opinione. Ed è da apprezzare. Forse anche da incoraggiare.

TAG: Baby Boomer, Berlino, coronavirus, generazione Y, lilli gruber, milano, otto e mezzo, pandemia, Patriarcato, pensionati, Ristoranti, scontro generazionale, società italiana, val di susa
CAT: costumi sociali, Occupazione

Un commento

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  1. Vivo a Milano, una città ricca, dove di conseguenza sono ricchi anche gli anziani. Il pensionato agiato milanese (esiste, per carità) si confonde sullo sfondo delle sciurette con le borse di Prada. Ma ho visto tavolate di pensionati felici al ristorante (anche nei bar e a mangiare certi gelati enormi) nei piccoli centri dell’Italia del Nord e del Centro , dove in effetti i pensionati felici (spesso anche un po’ sovrappeso) sono tantissimi.
    Ecco, molti di loro sono figli dello stato italiano e delle forze dell’ordine (pensionati giovanissimi e a condizioni favorevolissime), mentre invece i pensionati del futuro (a età molto più avanzata dei loro pingui colleghi e con ben altri sistemi di ricalcolo della pensione) potrebbero finire a frugare nei cassonetti.
    Aggiungo poi che la spinta al sussidio – purchessia – sta comunque travolgendo anche l’italica gioventù, prontissima a preferire una mancetta (bonus, redditi di cittadinanza, eccetera) pur di non finire sfracellata da contratti di lavoro indegni di un paese civile.
    Il dramma italiano (perdonami la banalità lessicale) è che invece di riformare la legislazione sul mercato del lavoro (per togliere di mezzo le leggi che consentono lo sfruttamento) si preferisce promettere mance e sussidi. A tutti, anche a chi una volta era considerato troppo GIOVANE per ricevere un sussidio (“Ma vai a lavurà” ti direbbero a Milano).
    Ed ecco quindi che verso il pingue pensionato (del presente e del passato, ma non certo del futuro) scatta l’invidia, rincorsa a mani basse da chi cerca voti: sussidi per tutti, insomma, chiù pilu pi tutti, e poi se per caso ti trovi un lavoro, te la prendi in c**o.

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