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Cure clickbait: L’enorme truffa internazionale degli annunci online di rimedi miracolosi
Un intero ecosistema di credibilità parallela, fatto di medici inventati, testimonianze false e siti riciclati, alimenta una delle più sofisticate truffe sanitarie del web.
Sarà ormai capitato a chiunque di navigare sui social o leggere una notizia online e imbattersi in banner pubblicitari che promettono cure miracolose con toni sensazionalistici. “Soffri di cistite? Risolvi il problema in 3 ore”, “Erezione forte anche a 85 anni!”, o ancora “Ci nascondono la verità. C’è un metodo che cura il diabete in 4 settimane!”. Dietro questo slogan si nasconde un’enorme truffa internazionale che promuove farmaci e integratori falsi – nel migliore dei casi inefficaci, ma nel peggiore potenzialmente dannosi. A denunciarlo è stata mesi fa l’organizzazione Reset Tech, che continua ad indagare su questa campagna attiva da almeno tre anni.
Anche se ignorare queste inserzioni sembrerebbe la reazione più ovvia, moltissimi utenti – soprattutto persone vulnerabili alla ricerca di una soluzione ai propri problemi di salute – finiscono per cadere nella trappola. Non a caso, Facebook, largamente frequentato da un pubblico più anziano, è uno dei principali canali di adescamento.
Tutto inizia con un annuncio che promette rimedi casalinghi, rapidi e naturali (abbondano le immagini di spicchi d’aglio) o i riconoscibili loghi delle maggiori case farmaceutiche. Un’ulteriore parvenza di legittimità è data dall’uso illecito del volto di medici famosi seppure estranei all’ambito del trattamento pubblicizzato. È il caso di Matteo Bassetti o Massimo Galli, infettivologi diventati volti noti durante la pandemia, presentati falsamente come esperti di urologia o diabete.
Ma l’imbroglio va ben oltre, perché i truffatori hanno costruito un vero e proprio ecosistema di credibilità parallela. Basta un clic sull’inserzione e l’utente viene indirizzato a siti di vendita costruiti a regola d’arte, popolati da testimonianze fittizie di pazienti guariti e da interviste false a medici ed altri enti. Recentemente, Altroconsumo denunciava l’uso illegale del proprio nome a tal fine. I prodotti, disponibili solo online, sono presentati come offerte imperdibili, sempre in sconto e con scorte limitate, per generare un senso d’urgenza ad acquistare.
I nomi dei farmaci venduti ricalcano quelli di prodotti realmente esistenti per confondere ulteriormente i consumatori: “Cardiol” invece di “Cardiol Forte” (un vero integratore per il colesterolo), “Femixal” al posto di “Feminax” (prodotto da banco per alleviare i dolori mestruali) o “Prostanol” e che differisce di una sola lettera dal vero “Prostamol”.
Per posizionarsi efficacemente sui motori di ricerca, gli autori del raggiro si appropriano di vecchi domini ormai scaduti ma appartenenti in precedenza ad entità legittime, come “melanoma-day.com”, che nel 2014 ospitava una campagna di sensibilizzazione sul cancro della pelle promossa dall’Associazione Slovena di Dermatologi in collaborazione con La Roche-Posay. Il sito, messo in vendita nel 2020, oggi è parte dello schema.
Questa macchina della truffa sfrutta il vuoto informativo per spingere il potenziale cliente in una spirale di false conferme e si diffonde su decine di piattaforme – alcune insospettabili come Pinterest o SoundCloud. La ricercatrice Aleksandra Atanasova spiega che solo su Facebook sono state rilevate oltre 125.000 inserzioni in più di 30 lingue. Eppure, si tratta di una piccola parte di una campagna impossibile da quantificare: gli ad spesso scompaiono dalla Meta Ad Library, mentre il Google Ad Transparency Center non consente la ricerca per parole chiave complicando qualsiasi mappatura. Nessuna piattaforma fornisce informazioni adeguate sul budget investito o sugli inserzionisti che operano sotto falsi nomi, come P. H. Redivivo de Araujo che pubblica Google ad in ungherese, slovacco e ceco, o V. Tavares de Sousa, attivo in italiano, greco e polacco.
Le oltre 7.200 pagine Facebook identificate mostrano evidenti segnali di coordinamento: nomi simili, date di creazione sincronizzate e messaggi identici tradotti in decine di lingue. Tutto fa pensare ad un’attività automatizzata, con pagine create in massa e lasciate dormienti fino all’attivazione programmata. Si tratta di tattiche già viste nella campagna di interferenza russa Doppelgänger e nella rete di investimenti ingannevoli nota come Facebook Hustles. Le somiglianze tra le diverse operazioni fanno pensare ad un’unica regia, un network che utilizza domini registrati soprattutto in Russia e nell’Europa orientale – a riprova di una strategia transnazionale condivisa da più attori.
Il gruppo Meta sta rimuovendo silenziosamente molte di queste pubblicità ma lascia inspiegabilmente attivi i profili degli inserzionisti, che così continuano ad operare indisturbati. Eppure, il social vieta esplicitamente “frodi, truffe e pratiche ingannevoli” (specie in ambito sanitario) proibisce il cosiddetto “comportamento non autentico” con account falsi e ribadisce l’obbligo di verificare chi ci sia realmente dietro ogni contenuto sponsorizzato. È evidente la violazione del Digital Services Act, la normativa europea che obbliga le grandi piattaforme digitali a identificare, valutare e ridurre i rischi sistemici derivanti dall’uso dei loro servizi. In altre parole, le piattaforme non devono limitarsi a rimuove i contenuti illeciti, ma anche adottare misure strutturali per prevenire che fenomeni come le truffe sanitarie o la disinformazione si diffondano attraverso i loro sistemi.
A maggior ragione, l’attuale risposta delle piattaforme risulta inadeguata e si somma all’opacità dei complessi sistemi ad tech, che impediscono a molti mezzi di informazioni di avere il controllo diretto degli annunci visualizzati sui loro siti. Prosegue così una truffa internazionale che, almeno per ora, appare inarrestabile, rivelando come la disinformazione online possa trasformarsi in una minaccia concreta alla salute pubblica.
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