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La bioetica del superuomo
La bioetica che si racconta oggi non è più il luogo della cura. È il laboratorio della selezione.
Non si tratta di salvare la vita. Si tratta di scegliere quale vita vale la pena salvare.
Si tratta di stabilire, in silenzio, che il disabile è una deviazione. Che il malato terminale è un errore di sistema. Che il bambino imperfetto è un investimento sbagliato.
Abbiamo trasformato la medicina in ingegneria. La cura in controllo. Il corpo in merce difettosa da riparare o scartare.
Il superuomo di cui parlava Nietzsche è tornato. Ma non nella forza dello spirito. Nella perfezione del corpo. Nell’efficienza della performance. Nella scomparsa della fragilità come valore.
La bioetica oggi chiede fedeltà al mercato, non alla compassione.
Chiede di ottimizzare, di calcolare, di eliminare il difetto.
Non c’è più spazio per il bambino che nasce diverso. Non c’è più spazio per l’anziano che rallenta il sistema. Non c’è più spazio per chi non produce, per chi non migliora, per chi non serve.
E così ci stiamo preparando a costruire un mondo di superuomini, tutti uguali, tutti sani, tutti soli.
Perché il prezzo della perfezione è la solitudine assoluta.
Nessuno è più fragile. Nessuno è più accolto. Nessuno è più salvato.
Tutti sono semplicemente funzionali. O scartati.
Questa è la nuova bioetica. Non più una frontiera della cura.
Una frontiera della selezione.
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