Se soltanto le tragedie ci spingono ad agire, ci sveglieremo sempre troppo tardi

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4 Settembre 2015

Per smuovere le coscienze, non è una novità, nulla funziona meglio degli eventi drammatici.

Ma nel mondo ormai saturo di cinismo e disillusione in cui viviamo oggi, sembrano non bastare più nemmeno quelli. Di tragedie che si potevano evitare ne accadono quasi ogni giorno, eppure la maggior parte di noi dorme comunque sonni tranquilli: chi per un umano e comprensibile meccanismo di difesa, chi per semplice disinteresse, e chi perché è intimamente convinto di possedere un qualche merito morale che giustifichi la sua condizione agiata, lontana da fame e guerra.

 

No, per smuovere davvero le nostre coscienze addormentate, narcotizzate dalla routine e dal benessere, serve molto di più. Per arrivarci dritta al cuore e farci riflettere, una tragedia deve rispondere a due condizioni essenziali. La prima, fondamentale, è che essa deve avvenire a casa nostra. Dentro i nostri confini, o almeno sufficientemente vicino ad essi affinché possa essere percepita come un qualcosa di reale, che può arrivare a toccare anche noi.
La seconda condizione è che quella stessa tragedia riesca a trovare un’espressione penetrante ed immediata, vendibile sui nostri mezzi di informazione. In altre parole, nel mondo della comunicazione moderna, serve un’immagine che possa raccontarla nella sua interezza.

 

È esattamente quello che è successo ieri.
A faccia in giù, appena lambito dall’acqua, le braccia abbandonate, immobile nella morte: la foto del corpicino del piccolo profugo siriano annegato davanti alla spiaggia di Bodrum, paradiso turistico della Turchia, ha fatto il giro del web, diventando immediatamente il simbolo della tragedia dei migranti e scatenando forti reazioni in tutto il continente. Ed è riuscita, nella sua tragica e cruda immediatezza, a smuovere molte più coscienze europee di quello che i continui appelli di paesi come Italia, Grecia e Malta avevano potuto.

 

Prendiamo l’esempio emblematico della Gran Bretagna.
È stata proprio la stampa d’oltremanica a pubblicare per prima la foto del bambino annegato.
“È troppo facile dimenticare la realtà di una situazione disperata che molti rifugiati devono affrontare”, scriveva ieri l’Indipendent a margine del fotogramma. “Se queste immagini straordinariamente potenti di un bimbo siriano morto su una spiaggia di casa nostra non cambiano l’atteggiamento dell’Europa nei confronti dei rifugiati, cosa può farlo?”
Una posizione che è stata ripresa dalla grande maggioranza delle testate giornalistiche inglesi e non solo. Ed una chiarissima stoccata, quella della stampa, alla posizione intransigente del premier britannico David Cameron, paladino della chiusura ad ogni tipo di accoglienza.
Un Cameron che infatti, sotto il fuoco incrociato della stampa di mezza Europa, ieri si è detto “profondamente commosso, soprattutto come padre” dalla morte del piccolo Aylin (sì, perché quel bambino non è solo un’immagine, ma aveva anche un nome) e si è detto pronto ad assumersi le sue responsabilità e a lavorare per migliorare la sua politica estera al fine di evitare nuove tragedie come questa.
Tutto grazie ad una semplice fotografia.

 

Inutile ovviamente farsi troppe illusioni. È facile indovinare che, nel migliore dei casi, l’onda di sdegno durerà ancora per qualche tempo, e magari passerà ancora qualche altro giorno prima che sciacalli e sostenitori di muri e del fil di ferro escano nuovamente fuori dalle tane in cui si sono rintanati nelle ultime ore (esclusi quelli senza ritegno, ovviamente, come Matteo Salvini, che anche stamani non ha perso occasione per fare campagna elettorale sugli immigrati morti).
Ma se anche l’immagine perfetta e terribile di questa ennesima tragedia dell’immigrazione produrrà effettivamente una qualche reazione di lungo termine, come è lecito sperare, ci sarà davvero, in tutto il continente, qualcuno che potrà dirsi soddisfatto?

 

I morti ormai sono già stati troppi, così come troppa è stata la sofferenza di chi è scampato. E se anche questa ecatombe per un qualche miracolo finisse domani, le colpe dell’Europa sono ormai incancellabili, e le sue debolezze, i suoi egoismi nazionali sempre pronti a riaffiorare sotto la facciata di un’unione oggi più debole che mai, rimarranno inchiodati nei libri di storia e non potranno non incidere anche sul nostro futuro.
Ma d’altronde, in questa Europa tutta vincoli economici e così priva di anima, non poteva che andare così. Perché se sono soltanto le tragedie a spingerci ad agire, e non una coscienza collettiva che si ponga il dovere di prevenirle, allora quando ci sveglieremo sarà sempre troppo tardi.

TAG: cameron, europa, immigrazione
CAT: Politiche comunitarie

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