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Commercio

L’educazione all’Amore, una materia da scartare o da insegnare?

di Titti Ferrante
9 Gennaio 2024

“La vuoi una notizia una fresca che fa scalpore
Sono stanca di essere sempre lo scarpone di qualcuno, il mascarpone che ho messo sulla tartina sapeva di rancido. Sarà per tutti i calci che ho preso
Pretendere rispetto é doveroso
Ciò che é vero fa male brucia più di una lama che ti trafigge la carne
Ed io di lame e suture me ne intendo. Quando mi chiedono se sono rifatta rispondo che a me i pezzi li tolgono non li aggiungono. Su di me il tempo lavora per sottrazione, trazione e botulino non sono i miei sieri del tempo preferiti. Le ferite fanno male, anche se ci passi su lacrime. L’acredine é come l’acme che deturpa il viso in gioventù, acrimonia, facciamo una bella cerimonia alle belle intenzioni. Che poi si tramutato in pigotte malfatte. Perché il male sa bene dove rovistare. Sembra stare nel fondo dell’anima, ma basta niente che ritorna a galla!”

Parto da una parola che mi piace tanto, tanto osannata nel periodo natalizio: Amore. A Natale l’amore è nell’aria, la respiri con la stessa intensità con cui si accendono ad intermittenza le luci che addobbato le vetrine natalizie. Quanto dura? Quei 15 giorni in cui, sospese le lezioni scolastiche, tutto sembra tingersi di un ben augurante rosso? O da molto prima, da quando i primi panettoni cominciano a comparire tra gli scaffali dei supermercati. La scelta é vasta, anche questo è l’economia neoliberista, no? Un vasto mercato di scelta e prezzi competitivi. Sulla qualità poniamoci un bel punto interrogativo, ma in tempi di recessione economica possiamo permetterci di scegliere anche badando alla qualità degli ingredienti? Anche ai più poveri è offerta l’occasione speciale di sentirsi meno poveri e così si può anche pensare di vivere in uno stato democratico che concede tutto a tutti.
Ritorno alla parola Amore, quello che pur essendo romantico è anche fisico e te ne accorgi quando ti batte il cuore perché devi incontrarlo, o se i minuti di attesa di un pò di ritardo ti sembrano ore o se le ore passate insieme sembravano volare. L’amore quello che non conosce confini di tempo e spazio. E anche quello, purtroppo, é finito negli scaffali dell’offerta speciale, perché diversamente da come propongono quei classiconi romantici e fuori moda di “Harry ti presento Sally”, é finito il tempo in cui cerchi qualcuno che riempia le tue serate solo perché non è Capodanno.
Dove è finito l’amore? Nel tempo della competizione a tutti i costi, si è smarrito persino tra i banchi dove un tempo nascevano gli amori. Un tempo li si trovava nei libri, in quegli amori di cui si leggeva e in cui ci si rivedeva. Oggi ci si rivede nell’eroe del videogioco quello che riesce a superare le prove e passa di livello in livello, è competitivo pure lui.
Il social ha sostituito la nostra voglia di confronto, di poter trovare una parola di conforto in un amico. Dov’è l’amore per l’amico che stava delle ore ad ascoltarti con bollette telefoniche che inducevano i nostri genitori a porre catenacci ad una tastiera? Eppure oggi non ci chiamiamo più. Sappiamo dal social cosa capita se andiamo a ricercare la pagina di una persona che ci starebbe a cuore. Questa spersonalizzazione, questa futilità del sentire, questa sovrabbondanza di emozioni dove trova canalizzazione? Da nessuna parte. Lo psicoterapeuta é l’unico che, per mestiere e per vocazione, raccoglie le tue lacrime, i tuoi dissapori, le tue tristezze e incomprensioni.
La scuola educa più al sentire? La scuola è un’azienda, diversamente dalle aziende però che godono di benefit, la scuola non ne ha nessuno, segue un trend e siccome per essere al passo coi tempi bisogna essere dei maghi dell’informatica, la scuola- dotata ancora di sedie che anche per chi ha una schiena sana, sono deleterie e poche ergonomiche, ambienti mal arieggiati, o troppo freddi o troppo caldi- viene dotata di attrezzature informatiche. Credete che schermi e pupazzi animati -evoluzioni delle preistoriche gift- serviranno a formare un sentire comune? Il metaverso, dal mio antiquato punto di vista, è un’esperienza che paragonerei all’uso di droghe, sebbene non ne abbia mai fatto uso, una realtà defraudata dell’anima. Un’esposizione continua ad uno schermo, riproduce la realtà del sentire? O per sentire hai bisogno di un altro umano, di una pacca sulla spalla, di una battuta estemporanea, di un ammiccamento simpatico per esprimere condivisione o, al contrario, un broncio per esprimere disapprovazione? Purtroppo, chi non digerisce il fatto che le macchine non possono sostituire il lavoro umano, chi considera la collaborazione e l’ apertura qualcosa di cui disfarsi, chi considera la competizione a tutti i costi il fine ultimo di una scuola, altera, stravolge, mortifica il significato di scuola. Una scuola dovrebbe distinguersi per interventi mirati allo sviluppo di qualità che significa non considerare la robotica un espediente per interessare poiché nell’epoca in cui le immagini scorrono veloci sugli schermi, e dimentichiamo dopo qualche minuto l’orrore appena trasmesso, il lavoro di chi ha armi potenti dovrebbe essere quello di credere che la scuola sia una comunità che si erge su pilastri imprescindibili quali la solidarietà sociale e la profondità che non possono nascere se non da una comunicazione che esclude l’uso della tastiera.

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