Letteratura

“La cena delle anime”: tra storia e miti di una Sardegna sconosciuta

“La cena delle anime” di Maria Laura Berlinguer (HarperCollins) è un affascinante viaggio nel tempo e nello spazio, nella Sardegna odierna così legata a quella passata, colta ed elegante. Un viaggio attraverso la storia di due donne, tra tradizioni, leggende e segreti.

25 Ottobre 2025

La cena delle anime – Sa chena pro sos mortos (HarperCollins, 2025, pp. 352) è il romanzo d’esordio di Maria Laura Berlinguer.

Di solito chi scrive una recensione lo fa cercando di tenere un certo distacco, o perlomeno una parvenza di neutralità che serve ad analizzare un libro senza necessariamente tesserne le lodi o criticarlo brutalmente. Di solito, non sempre sia ben chiaro.

In questa occasione voglio palesemente fugare ogni dubbio in chi leggerà queste mie righe: il libro è stupendo.

Ora che il mio parere è chiaro proverò a raccontare il libro e a motivare la mia valutazione.

La cena delle anime” è un affascinante viaggio nel tempo e nello spazio, nella Sardegna odierna così legata a quella passata, colta, elegante e finalmente lontana da certi stereotipi. Un viaggio attraverso la storia di due donne, tra tradizioni, leggende e segreti.

Ma partiamo dall’inizio: cos’è “Sa chena pro sos mortos” ?

“Sa chena pro sos mortos” (ho molto apprezzato l’utilizzo della Lingua Sarda nel sottotitolo e all’interno di alcuni passaggi), ossia la cena per i morti, e più propriamente per le anime, è un’antica usanza sarda, che si celebra nella notte tra il 1° e il 2 novembre, durante la quale si apparecchia la tavola come se dovessero arrivare degli ospiti (molto speciali). Si prepara pane, formaggio, vino, dolci tipici e qualsiasi piatto abbia un legame speciale con le anime che ci sono care.

Chi non c’è più, attirato dagli aromi di cui potrà nutrirsi, tornerà nella casa in cui ha vissuto o nelle case dei propri cari, approfittando di un unico momento nel quale il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottiglia e permette un passaggio spirituale.

 

“Nei freddi autunni davanti al focolare, gli anziani raccontavano ai bambini che la morte non segnava la fine della vita, ma l’inizio di un viaggio nel quale le anime dei cari continuavano a esistere. Quando le giornate si accorciavano e la terra era pronta per la semina, il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliava, permettendo alle anime di tornare nelle loro case.”

 

Da questa tradizione prende le mosse la storia di due donne, di due epoche, di un amore impossibile e di un segreto sepolto.

La trama de “La cena delle anime”

La storia, o meglio le due storie intrecciate, si svolgono a Padria, un piccolo paese del Meilogu, non lontano da Sassari.

Iride Dessì quel paesino lo ha abbandonato da anni, ma alla morte del padre Vincenzo deve tornare per il funerale e per alcuni adempimenti burocratici. Un ritorno accompagnato da un senso di non appartenenza, di un distacco voluto forse più dagli altri che da lei, e di cui ancora non conosce il motivo.

Il senso di casa, di un minimo di appartenenza, torna grazie alla presenza di Piero, l’amico d’infanzia, e di Tata, la donna che è stata madre di una bambina orfana e che l’ha amata e accudita come fosse figlia sua (una situazione diversa dalla filiazione d’anima, ma che mi ha riportato ai racconti di Michela Murgia).

Il ritorno nella grande villa dei Dessì, nobili e possidenti, suscita emozioni contrastanti, ma porta alla riscoperta di una storia dimenticata.

I racconti di Tata, che lentamente si prende il compito di svelare vecchi misteri nascosti dal padre di Iride, parlano di una donna la cui foto, insieme ad altre, orna i muri della casa.

Mimì Oppes, trisavola di Iride, è una giovane donna condannata a un matrimonio (imposto e infelice) con Augusto Dessì, e ad una “prigionia” in una casa di cui non riesce ad essere padrona, schiacciata da leggi e tradizioni che non le appartengono.

Un matrimonio da cui la salvano l’amicizia con Elisabeth Hope, un’archeologa inglese arrivata in Sardegna per delle ricerche, e l’amore per Emanuele Manca, un famoso bandito, simbolo di ribellione e libertà.

Le storia di Iride e di Mimì si intrecciano tra loro, ma anche e soprattutto con un mistero da risolvere, con la storia di una famiglia e di una terra, di amori tormentati o impossibili, di tradizioni e compiti, di cimeli archeologici e miti, di credenze e pozzi sacri.

La Sardegna e la sua storia

Nell’Ottocento la Sardegna era una terra capace di affascinare studiosi ed esploratori italiani ed europei. I viaggiatori e gli esperti arrivavano grazie all’attrazione per una civiltà e una cultura antichissima, rappresentata dai pozzi sacri (come quello di Santa Cristina a Paulilatino), le “domus de janas” e i nuraghi.

Una terra tutt’altro che arretrata, capace di possedere una cultura e una raffinatezza che portava le famiglie benestanti ad acquistare abiti e tessuti a Torino e Parigi, e a discutere di filosofia, astronomia e archeologia.

Proprio queste scienze, insieme alla psicogenealogia, sono centrali nel romanzo.

Iride, archeologa, e Piero, psichiatra specializzato in psicoterapia trans-generazionale, accompagnano il lettore in un’indagine familiare e storica.

Un percorso di ricerca anche interiore, che porta a capire quanto le omissioni di una famiglia possano creare dolore nelle generazioni successive.

 

“Ogni famiglia ha i suoi segreti. Sono come fardelli. Qualcuno li porta nella tomba, altri rimangono sospesi, in attesa di essere svelati. E finché non lo sono le ombre non spariscono, non possono andarsene”

 

Presentazione a Sassari con l’autrice e Danilo Contu

L’autrice

Nata a Sassari, Maria Laura Berlinguer vive a Roma. Laureata in Giurisprudenza, ha presto lasciato la carriera forense per dedicarsi alla comunicazione e alle relazioni istituzionali. Nel 2016 fonda il sito che porta il suo nome, e oggi è ambasciatrice della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte.

La sua vocazione è dare vita a storie, luoghi e leggende meno noti, restituire autenticità alle radici della sua terra, di cui porta sempre con sé il colore del mare, il profumo dell’elicriso e del mirto. La Sardegna non è solo il suo punto d’origine, ma un universo di tradizioni, voci e immagini che si riflettono nei suoi racconti.

Ne “La cena delle anime” è presente un personaggio omonimo ispirato al bisnonno dell’autrice.

Vincenzo Dessì (1858-1908) è stato un archeologo e collezionista, al quale il Museo nazionale archeologico ed etnografico “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari, ha dedicato un’intera ala. Le sue ricerche hanno consegnato alla storia reperti straordinari, tra cui le tre spade votive nuragiche di Padria: oggetti di raffinata fattura e centrali nel romanzo.

“Inadatte al combattimento, la loro presenza nei luoghi di culto ne rivela il valore religioso o spirituale. E io, discendente di Dessì, sono cresciuta ascoltando da nonno Aldo la leggenda di quelle spade. Da bambina le immaginavo scintillare alla luce della luna, come in un racconto mitico che unisce scienza e magia.”

 

Non posso e non voglio dire altro, il lettore non perdonerebbe spoiler.
E d’altronde il fiato sospeso sino all’ultimo mistero risolto, merita di essere nutrito con la curiosità, e non smorzato dall’entusiasmo di chi conosce il finale.
Buona lettura e grazie a Danilo Contu per avermi fatto conoscere il libro e l’autrice.
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