Meno fumi e meno fatica: così le stufe intelligenti aiutano le donne africane

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23 Ottobre 2015

Nell’anno dell’Esposizione Universale si è scritto e parlato molto di cibo in termini di sicurezza alimentare, sostenibilità ambientale e biodiversità; meno, invece, dei vari metodi di cottura nel mondo e di come essi impattino le condizioni di vita delle persone e l’ambiente circostante. Tale aspetto assume un’importanza vitale nei paesi in via di sviluppo e, in particolare, nelle aree rurali.

La Global Alliance for Clean Cookstoves, una partnership pubblico-privata lanciata nel 2010 dall’allora Segretario di Stato americano Hillary Clinton, riprendendo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dichiara che ogni anno, nei paesi in via di sviluppo, sarebbero 4.3 milioni le morti premature per malattie dovute a inquinamento domestico, un numero maggiore di quelle attribuite a malaria e tubercolosi.

Donne e bambini sono le vittime principali della eccessiva esposizione ai fumi provenienti dai vari sistemi di cottura tradizionali o dai semplici focolari a cielo aperto che, sempre secondo l’OMS, rilascerebbero nell’aria una quantità di monossido di carbonio e altre particelle nocive fino a 100 volte superiore al limite raccomandato. Ai gravi rischi per la salute dell’uomo e dell’ambiente – la raccolta della legna, ad esempio, avviene sovente in maniera incontrollata, contribuendo all’impoverimento dei terreni agricoli -, si aggiungono poi pesanti ricadute sociali. Spetta infatti a donne e bambini reperire legna, cibo e acqua ogni giorno percorrendo spesso lunghe distanze, sottraendo così tempo allo studio nel caso dei più piccoli e negando alle donne la possibilità di dedicarsi ad attività imprenditoriali.

Con lo scopo di eliminare gli effetti negativi dell’utilizzo di metodi di cottura non sostenibili, in anni recenti, sono nate numerose iniziative che vedono coinvolti in programmi congiunti organizzazioni internazionali e non governative (ONG) da un lato e settore privato dall’altro. In molti casi, si tratta di promuovere la creazione e la distribuzione di nuovi sistemi di cottura migliorati (improved stoves) che tengano conto delle tradizioni locali e della reperibilità dei materiali per la costruzione nei vari contesti rurali nel mondo.
L’Italia è impegnata su questo fronte in modi diversi. Eni, in collaborazione con il dipartimento energia del Politecnico di Milano, ha appena reso noti i lavori di uno studio dal titolo “Sistemi di cottura migliorati: salute e sviluppo nelle comunità locali in Congo”. Obiettivo finale: creare un prototipo di stufa migliorata da adattare e commercializzare in diversi contesti rurali dell’Africa Sub-Sahariana, a partire dalla Repubblica del Congo, paese in cui l’azienda è presente nell’area onshore di M’boundi con il Progetto Integrato Hinda.


Dopo aver passato in rassegna i principali sistemi di cottura in commercio e open source nell’ Africa Sub-Sahariana, il team del Politecnico di cui è parte il dottorando camerunense e professore all’Università Cattolica del Camerun Jerome Ndam Mungwe, da anni impegnato nel settore della sostenibilità energetica, ha ideato una nuova soluzione tecnologica per la cottura domestica da realizzare con materiali locali e di semplice utilizzo, alimentata a legna e dotata di un sistema addizionale di recupero del calore per la produzione di energia termoelettrica con cui ricaricare il cellulare, strumento multi-funzionale indispensabile specie nelle aree più remote del Continente.

Progetto analoghi di distribuzione delle stufe sono stati promossi, tra gli altri, dalla Fondazione AVSI e tuttora in corso nella municipalità di Maputo, Mozambico. In questo caso, la promozione e la diffusione di 15.000 fornelli da cucina a basso impatto ambientale a 7500 famiglie delle baraccopoli di Chamanculo C e Xipamamine è affidata a una cooperativa locale radicata nella zona di intervento, la quale vende i fornelli a un prezzo sussidiato a fronte del ritiro della vecchia strumentazione.
Nonostante gli sforzi volti ad annullare le conseguenze ambientali e sociali negative dell’utilizzo dei sistemi di cottura tradizionali in ambito rurale siano crescenti e diffusi a livello globale, restano aperte numerose questioni non di poco conto. Queste riguardano aspetti come: il coinvolgimento delle popolazioni locali nella fase di ideazione e produzione dei manufatti e il conseguente sviluppo del settore manifatturiero in territori svantaggiati; la necessità di trasferire know-how per far fronte alle esigenze di manutenzione; il grado di supporto dei governi locali attraverso l’istituzione di una tassazione favorevole e di un meccanismo virtuoso di controlli di qualità.

(In collaborazione con Eni)

TAG: Fondazione AVSI, Global Alliance for Clean Cookstoves, Progetto Integrato Hinda
CAT: Africa

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