L’Angola, il Congo, la Cina e le città fantasma

27 Ottobre 2022

La necessità di migliorare le reti logistiche del pianeta continua a crescere, specie con l’aumento dell’incertezza sulla pace e la disponibilità di energia e risorse minerarie. Specie sul territorio africano, che è quello che offre le maggiori possibilità ed è quello più arretrato, si è scatenata una vera corsa tra europei, russi, arabi e (soprattutto) cinesi. Questi ultimi, infatti, investono da anni in Africa – miliardi di dollari, senza porre condizioni politiche o umanitarie, disinteressandosi della corruzione e del progresso delle popolazioni locali: l’importante è vincere la corsa ed assicurarsi il controllo della più grande parte possibile del continente.

Questo progetto gigantesco viene realizzato senza badare alle profonde differenze culturali che esistono tra cinesi ed africani, e porta a volte a situazioni paradossali, come la creazione di città modernissime (nella foto quella di Quilembe, in Angola) che restano vuote: gli operai cinesi, di cui si prevedeva l’arrivo a migliaia, sono rimasti a casa, e non solo per la pandemia, e gli abitanti del posto non possono permettersi di traslocare in questi quartieri modello. Sono ora città fantasma, con aziende cinesi che lottano per mantenerle funzionali, nel caso in cui il vento dovesse cambiare.

Un fatto certo: il vento deve cambiare, l’Africa non è solo terra di conquista, ma anche e soprattutto terra di emancipazione. Le organizzazioni interafricane si sono svegliate, sono più solide e più indipendenti, e stanno faticosamente imparando a giocare con gli interessi degli squali che vengono dall’estero. Squali che hanno i soldi ed il progetto, ma che hanno bisogno di stabilità politica e militare per poterlo realizzare e poi, successivamente, amministrare. Perché senza i governi africani, il continente resterà vittima della miseria e della violenza.

Le relazioni tra Cina e Angola

17 novembre 2020: sulla strada che attraversa il centro di Luanda, i bambini angolani salutano la visita dei leaders cinesi in visita d’affari[1]

L’Angola è uno dei Paesi che ha maggiormente beneficiato dell’espansione commerciale del mercato cinese. I primi fondi di Pechino arrivano nel 2002, dopo la fine della guerra civile angolana, e Luanda li aveva accettati senza discutere i dettagli perché il Fondo Monetario Internazionale (FMI), per la stessa cifra, voleva imporre condizioni rigide sulla trasparenza e sulle riforme[2]. La mancanza di trasparenza sull’utilizzo effettivo dei finanziamenti frena i Paesi occidentali[3], ma non la Cina, che coglie l’opportunità di mettere le mani sulle materie prime del Paese e trovare nuovi mercati su cui vendere la propria merce[4], concordando a non disturbare il sistema nepotistico e clientelare dell’ex Presidente José Eduardo Dos Santos[5].

Dopo mesi di negoziati, nel 2004, la EXIM Bank of China si accorda per 2 miliardi di dollari in prestiti garantiti dal petrolio per finanziare la ricostruzione del Paese: ne deriva un boom delle infrastrutture, delle nuove abitazioni, strade e centrali elettriche. I crediti vengono ceduti dalla Banca direttamente alle società cinesi incaricate della costruzione delle infrastrutture, evitando così intermediari angolani[6]. Secondo le stime della School of Advanced International Studies-China Africa Research Initiative, tra il 2000 e il 2018 l’Angola ha ricevuto 43 miliardi di dollari cinesi per le infrastrutture[7] (a fronte di 400 miliardi di dollari del totale degli investimenti cinesi dal 2009 al 2021 in tutta l’Africa[8]).

I prestiti cinesi sono vincolati all’utilizzo di manodopera e appaltatori cinesi (al 70%) e all’accettazione della “politica della Cina unica” (One-China Policy), che considera Hong-Kong e Taiwan province ribelli e non Stati indipendenti[9]. La politica cinese di non-interferenza negli affari interni dell’Angola permette all’economia di crescere dell’11% annui tra il 2001 e il 2010 sotto la guida della famiglia Dos Santos e del Movimento per la Liberazione dell’Angola (MPLA)[10]: la produzione di petrolio raddoppia e Cina ne diventa il principale importatore, sostituendo gli USA[11] che avevano permesso al MPLA di vincere la guerra civile[12]: “Dal 2004 in poi, l’MPLA è stato in grado di diversificare le relazioni estere, prendere le distanze dalle pressioni straniere e massimizzare le risorse esterne destinate al programma di ricostruzione, per accreditarsi come principale fautore della rinascita del Paese”[13].

Il “modello Angola” (“Angola Mode”, lo scambio di risorse naturali con progetti infrastrutturali su larga scala[14]) ha avuto successo fino a metà del 2014, quando i prezzi del petrolio sono crollati, costringendo Luanda a pompare più petrolio per pagare i debiti. Quando i prezzi globali del petrolio sono crollati al di sotto dei 50 dollari al barile (rispetto ai 115 di pochi mesi prima), l’economia angolana è entrata in recessione (2016) e ha subito una contrazione per cinque anni consecutivi – a causa della pandemia, che ha ulteriormente aggravato il problema, il Paese è riuscito solo per un pelo a evitare il default del debito[15]. Non aiuta neanche la mancanza di trasparenza sui flussi di investimenti tra Pechino e Luanda: storicamente, la Cina è molto evasiva sugli aiuti ai paesi africani, almeno fino al 2019[16].

Nel settembre del 2017 João Manuel Gonçalves Lourenço diventa il nuovo presidente e inizia a combattere la corruzione, diversificare l’economia[17] e ridurre la dipendenza dalla Cina, che chiama “la questione di vita o di morte”[18]. Le imprese cinesi (la maggior parte edili) iniziano a lasciare il Paese, visto che i grandi progetti di edilizia popolare sono conclusi, e il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale consigliano all’Angola di interrompere la pratica dei prestiti garantiti dal petrolio, visto che l’Angola deve ancora alla Cina più di 23 miliardi di dollari[19]. In ogni caso, la maggior parte della produzione dell’Angola per i prossimi anni è destinata alla Cina, mettendo il Paese in trappola (debt-trap diplomacy[20]), perché gli impedisce di vendere la sua principale fonte di reddito sul libero mercato[21]. I debiti legano i governi dei paesi africani alla Cina, e il loro peso rischia di diventare insopportabile, come è successo con la Repubblica Democratica del Congo[22]. Dall’elezione di Lourenço in poi, il numero di cinesi che vive in Angola è sceso da oltre 300’000 a meno di 20’000[23].

Petrolio in cambio di alloggi

Sinopec, il gruppo petrolifero da quasi vent’anni socio del governo angolano nello sfruttamento dei giacimenti offshore situati vicino alla costa settentrionale del paese[24]

Dopo gli accordi del 2004, le società cinesi hanno importato decine di migliaia di lavoratori per la ricostruzione del Paese[25]: nel 2010 più di 400 imprese statali e private cinesi operavano in Angola[26]. La maggior parte dei crediti cinesi sono stati affidati ad alcune delle maggiori imprese, come CRBC China Road Bridge Cooperation, China Railway Corporation, Huawei Technologies Co Ltd o CITIC Group Corporation Ltd. Gli accordi tra Luanda e Pechino prevedono che le imprese cinesi ricevano il 70% di tutti i contratti infrastrutturali angolani. In più, il 50% dei materiali, tecnologie e attrezzature devono provenire dalla Cina, e queste non sono obbligate ad usare manodopera angolana, perché mancano operai locali specializzati e le barriere linguistiche sono spesso insuperabili[27].

Uno dei simboli dell’impegno cinese in Angola è la pletora di nuove città e quartieri residenziali costruiti vicino alle principali città angolane. Solo nei dintorni di Luanda, sono cresciute cinque nuove città: Kilamba Kiaxi, Cacuaco, Zango, Km 44 e Capari[28]. Il risultato è che interi quartieri, come Cidade de Kilamba, sono composti da 750 edifici a otto piani per ospitare 500’000 persone, e rimangono vuoti. Il progetto è costato 3,5 miliardi di dollari ed è stato costruito da China International Trust and Investment. Nessuno compra gli appartamenti perché costano troppo: dai 120’000 ai 200’000 dollari l’uno. A causa dei molti dipendenti di multinazionali operanti in Angola, Luanda è una delle città più care al mondo, soprattutto per il costo degli appartamenti[29].

Non solo quartieri residenziali: ferrovie, ponti, strade, dighe, stadi, porti, scuole, aeroporti – cresce tutto dal nulla in tempi record. La stessa sede dell’Unione Africana, una torre di venti piani inaugurata otto anni fa ad Addis Abeba, è un “regalo” della Cina. Secondo Le Monde, Pechino avrebbe fatto un regalo a sé stessa, collegando la rete informatica del palazzo a una centrale di spionaggio a Shanghai (affermazione ovviamente smentita da Pechino). I Cinesi creano migliaia di posti di lavoro in miniere, piantagioni, magazzini e società di export-import. Sono una salvezza per la classe media africana ed importano beni di consumo poco costosi, dai cellulari alle biciclette[30].

La pandemia ha cambiato la situazione: in 2021 la relazione commerciale tra due paesi raggiunge il suo picco crescendo del 35% rispetto all’anno precedente (254 miliardi di dollari, soprattutto grazie all’aumento delle esportazioni cinesi di beni essenziali per combattere la pandemia), per cui Angola è il terzo più grande partner commerciale della Cina in Africa (dopo Sudafrica e Nigeria)[31].

One Belt, One Road, l’invasione militare pacifica

Il Piano “One Belt, One Road”, deciso dal Presidente Xi Jinping nel 2013, mira a rafforzare la connettività della Cina con il mondo[32]

Nel 2018 Hongkong Mortgage Corporation (HKMC) firma un accordo con il governo cinese per acquistare quasi 30 miliardi di crediti concessi ai vari Paesi africani: “L’iniziativa ha come obiettivo quello di convogliare parte del capitale delle banche private nella partecipazione allo sviluppo delle infrastrutture in Africa, partecipando al piano di sviluppo globale della Via della Seta” afferma Helen Wong, Direttrice Esecutiva di HKMC, che cerca di coinvolgere altri istituti finanziari nell’operazione. Il piano funziona: circa 90 banche, assicurazioni e istituzioni finanziarie sono interessate ad aggregarsi a HKMC[33]. L’accordo arriva in momento delicato: il governo cinese è sotto pressione dal Comitato Centrale del Partito Comunista che nutre forti dubbi sull’attuale politica di prestiti all’Africa, a causa dei quali la Cina rischia una bolla finanziaria.

La prestigiosa compagnia assicurativa statale Sinosure è molto cauta sui prestiti dopo la perdita di 1 miliardo di dollari subita per aver assicurato un progetto ferroviario per collegare il porto di Gibuti[34] con l’Etiopia, e chiede più prudenza nell’analisi dei rischi[35]. L’accordo sembra un tentativo del governo cinese di scaricare i rischi degli investimenti in Africa alle istituzioni finanziarie private. Assorbendo così i debiti dei Paesi africani, le banche permetteranno al governo cinese di stanziare nuovi investimenti per completare il progetto Africano della Via della Seta. Questo progetto è di importanza geopolitica cruciale perché permette di isolare le potenze occidentali[36].

Dal 2012 in poi, più di 200’000 lavoratori Cinesi si sono trasferiti in Africa per lavorare al progetto One Belt One Road, portando il numero di immigrati cinesi nel continente a un milione. Ci sono più di 10’000 società cinesi presenti in Africa, di cui almeno 2000 sono imprese statali. Nel 2019 Pechino annuncia un fondo di sviluppo infrastrutturale Belt and Road Africa da 1 miliardo di dollari[37] e un anno prima, nel 2018, ha già stanziato un enorme pacchetto di aiuti[38] da 60 miliardi di dollari[39].

Nell’ottobre del 2019, il piano coinvolgeva 138 Paesi (nel 2021 il Botswana è diventato il 46esimo Paese africano a firmarlo[40]) con un prodotto interno lordo combinato di 29’000 miliardi di dollari e un bacino di consumatori di circa 4,6 miliardi di persone[41]. Il progetto si propone in particolare di collegare la Cina al Medio Oriente, all’Africa e all’Europa (via terra, via mare e per via aerea), allo scopo di promuovere una più vasta circolazione dei prodotti cinesi e stimolare gli investimenti cinesi all’estero[42]. La Cina non investe solo nelle infrastrutture africane, ma vi trasferisce anche attività produttive: 128 progetti industriali in Nigeria, 80 in Etiopia, 77 in Sudafrica, 48 in Tanzania e 44 in Ghana. Sembra che sviluppare l’Africa sia più facile che sviluppare i territori nord-occidentali della Cina, e questa tendenza è destinata a continuare in linea con l’aumento del costo del lavoro in Cina[43].

Ai leader africani piace il progetto[44] come alternativa agli incerti piani di investimento a lungo termine proposti da americani e europei[45]; i russi invece piacciono perché offrono addestramento militare e armamenti. Così l’offerta di Pechino è stata accolta a braccia aperte, concedendo lo sfruttamento delle risorse e una quota nei progetti infrastrutturali realizzati, in cambio di denaro e senza l’interferenza nella politica interna del Paese, che è la prima condizione che pongono da sempre gli Occidentali[46]. Rovescio della medaglia: il sostegno della Cina ai partiti al potere mina la sua capacità di essere arbitro imparziale nella risoluzione dei conflitti nel Corno dell’Africa[47].

I Paesi africani che hanno firmato il Memorandum d’intesa per il progetto Belt and Road[48]

Non ci sono i dubbi che la Cina persegua i propri interessi: accede a risorse naturali e minerarie cruciali (come il cobalto e il rame del Congo), usufruisce delle terre fertili, promuove i propri prodotti su nuovi mercati, permette alle imprese di abbattere i costi di manodopera e stringe alleanze militari che consolidano la sua influenza. Quella cinese è sicuramente una nuova forma di colonialismo, che porta con sé le solite cose: danni ambientali, atteggiamento razzista, sfruttamento dei lavoratori, qualità scadente dei prodotti[49]. Ciò non di meno, la lista di investimenti importanti è davvero impressionante:

●      Algeria: l’autostrada e il porto di Cherchell che collegano strategicamente il Mediterraneo con il Niger, la Nigeria e il Ciad, accedendo a un mercato di 275 milioni di persone che vivono senza sbocco sul mare. A ciò si aggiunge l’enorme opera (3,3 miliardi di dollari) di riqualificazione del porto di El Hamdania[50];

●      Etiopia: la ferrovia da Addis-Ababa a Gibuti che è stata inaugurata il 1° gennaio del 2018, e che fornisce all’Etiopia, un Paese di 110 milioni di abitanti senza sbocco sul mare, un collegamento con Gibuti e il porto di Doraleh – un collegamento fondamentale, visto che oltre il 95% degli scambi commerciali dell’Etiopia passa per Gibuti e rappresenta il 70% delle attività del porto[51];

●      East African Railway Master Plan – è una proposta per ringiovanire le ferrovie che servono Tanzania, Kenya, Etiopia e Uganda e di aggiungere tratti ferroviari per servire Burundi e Ruanda. L’obiettivo è di favorire lo sviluppo economico dell’Africa orientale, aumentando l’efficienza e la velocità (e riducendo i costi) del trasporto di merci tra i principali porti della costa dell’Oceano Indiano e l’interno[52];

●      Mozambico: Maputo-Katembe Bridge – si tratta del ponte sospeso più lungo dell’Africa: attraversa la baia di Maputo e collega la capitale mozambicana con il sobborgo di Katembe. Il ponte è stato inaugurato il 10 novembre 2018, i lavori di costruzione (costati 785 milioni di dollari) sono stati eseguiti dalla China Road and Bridge Corporation e gran parte del progetto è stata finanziata dalla Chinese Exim Bank. Con il ponte l’intera costa meridionale (ancora non sviluppata) sarà urbanizzata e l’estensione della strada verso Ponta do Ouro e Kwa-Zulu Natal (Sudafrica) è destinata ad accorciare notevolmente i tempi di percorrenza e di attirare il turismo in zona[53];

La lista potrebbe allungarsi ancora: la ferrovia Mombassa-Nairobi, che collega le due capitali ai porti[54], oppure la ferrovia Lagos-Kano, che attraversa la Nigeria dal porto di Lagos sull’Oceano Atlantico a Kano, vicino al confine con il Niger[55], e altri ancora.

Porti e basi militari a Gibuti[56]

I porti dell’Africa subsahariana svolgono un ruolo fondamentale nella Belt and Road Initiative. Acquistando i debiti africani, la Cina sta prendendo il controllo dei porti strategici, come Doraleh Multipurpose Port (di cui China Merchants Group possiede quasi un quarto delle azioni[57]), un porto all’ingresso del Mar Rosso. Nel 2021 l’82% del debito di Gibuti, con la sua posizione strategica e la connessione con l’Etiopia, era nelle mani di Pechino, che in caso di inadempienza prenderà il porto[58]. Nel 2017 la Cina ha costruito, nella prossimità del Porto, una base militare[59] con 2000 soldati di stanza[60]. Il governo cinese la giustifica la sua struttura militare con “la volontà di contribuire agli aiuti umanitari, alla pace e alla stabilità in Africa”[61]. Ovvero: la vicinanza alla pirateria e il terrorismo marittimo di origine somala.

Dal 2008 la Cina partecipa alle operazioni internazionali antipirateria nel Golfo di Aden. In realtà, Pechino è irremovibile nel definire la base una “struttura di supporto” per il rifornimento della marina cinese, sminuendo l’aspetto militare. Anche se non è la prima potenza straniera a basarsi a Gibuti (il Paese ha ospitato forze francesi fin dal XIX secolo, ma anche le forze armate italiane, spagnole, giapponesi e tedesche sono attive nella zona, soprattutto per le operazioni di antipirateria nel Golfo di Aden e per gli sforzi di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Africa[62]), la Cina contribuisce al 10% del bilancio delle Nazione Unite per il mantenimento della pace e ha addestrato 8000 soldati “per servire come milizia permanente di riserva per le operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite”[63].

La “Belt and Road Initiative” ha esteso la Via della Seta, attraverso l’Oceano Indiano all’Africa, giustificando la presenza di un’impresa di sicurezza cinese per proteggere gli interessi economici e mantenere aperti i canali commerciali[64]. Inoltre, la base militare a Gibuti consente alla Marina cinese di attuare una politica militare nei mari lontani[65]. Un altro esempio è il porto di Mombasa in Kenya, tra i più importanti nell’Africa orientale, che è la garanzia del prestito di 3,2 miliardi di dollari per la linea che lo collega a Nairobi. Se il Kenya non paga, la Exim Bank of China ne assume il controllo[66], anche se si tratta di un accordo controverso[67]: Nel maggio del 2022, i membri del Parlamento keniota hanno richiesto che una delle clausole del prestito con la Cina per la Standard Gauge Railway (SGR), del valore di 364 miliardi di scudi, venga rivista[68].

Per evitare di trovarsi isolata a contrastare i piani occidentali, dal 2018 Pechino è alleata con la Russia, che mantiene la propria influenza sulla Libia, il Mali e la Repubblica Centroafricana, mentre la Cina si allarga all’Eritrea, l’Etiopia, il Sudan e lo Zimbabwe. Questa lista è destinata ad aumentare in base al piano comune di Mosca e Pechino di privare Stati Uniti e Unione Europea l’accesso alle risorse naturali africane. Un’alleanza resa ancora più strategica nel contesto delle tensioni internazionali causate dal conflitto in Ucraina e dalla disputa su Taiwan[69]. Dal 2021 la Cina sta aumentando la presenza militare in Africa. Ci sono le voci secondo cui Pechino aprirà la sua seconda base navale in Africa, sulla costa atlantica: le località più gettonate includono la Guinea Equatoriale, l’Angola e la Namibia[70].

La Cina ha prodotto nuovi cacciatorpediniere, fregate, aerei da caccia, navi anfibie, elicotteri e aerei senza pilota per attacchi e ricognizioni a lungo raggio. Molte nuove armi e piattaforme sono state testate e impiegate nelle acque africane durante le missioni antipirateria nel Golfo di Aden iniziate nel 2008 – i primi dispiegamenti della Cina al di fuori del Pacifico occidentale. In poche parole, l’Africa è un banco di prova per le operazioni militari cinesi in “mari lontani”[71].

Inutile dire che l’Esercito cinese ha un’ampia gamma di opzioni: fino al 2019, 46 porti africani sono stati costruiti, finanziati o sono gestiti da spedizionieri statali cinesi, e il 90% del export africano dipende dai porti[72]. Costituendo la spina dorsale della “Via della Seta marittima” cinese, gli investimenti nei porti africani rappresentano una porta d’accesso al commercio e allo sviluppo economico della regione, ma soprattutto conferiscono alla Cina un preoccupante punto d’appoggio per le attività della Marina Militare[73].

Bollorè in Congo

Il porto di Matadi prima dell’inizio dei lavori del gruppo Bolloré che lo trasformeranno nel più grande porto fluviale del mondo[74]

Pochi chilometri più a nord, i fondi di sviluppo internazionali stanno spingendo il governo della Repubblica Democratica del Congo a privatizzare il settore dei trasporti, che è parzialmente controllato dalle società statali: le reti portuali e ferroviarie sono interconnesse ma inefficienti. Gli importanti porti di Matadi, Boma e Banana soffrono della concorrenza del porto di Pointe Noire (nel Congo), che assorbe il 60% del volume di merci import/export della Repubblica Democratica del Congo.

Il porto di Matadi è il più importante porto marittimo della RDC, con il 90% di traffico marittimo (escluse le petroliere)[75]. Bolloré Africa Logistics (BAL) vi ha effettuato massicci investimenti: l’ampliamento del porto in acque profonde, un nuovo terminal per container, la riabilitazione dei binari ferroviari fino a Brazzaville, l’autostrada e il nuovo porto a Brazzaville[76]. Entro il primo trimestre del 2023, Mediterranean Shipping Company (MSC), il gruppo dell’armatore italiano Gianluigi Aponte, rileverà tutte le attività di Bolloré Africa Logistics nei porti, negli hinterland, nella logistica e nel trasporto marittimo del continente nero per una somma di 5,7 miliardi di euro[77]. Le due aziende, insieme, tra un anno costituiranno un vero e proprio oligopolio continentale.

Sembra che BAL abbia fatto un’offerta alla SCTP per gestire il porto di Kinshasa e la linea ferroviaria Matadi-Kinshasa. I sindacati della SCTP si oppongono perché temono una riduzione del personale. Se l’accordo ci dovesse essere, BAL controllerebbe il trasporto multimodale dall’Atlantico a Brazzaville e Kinshasa, e da lì potrebbe arrivare, via fiume, agli altri paesi dell’area economica del Rio Congo[78].

Non solo. Dietro l’investimento, apparentemente temerario, osato da Bollorè a Matadi, si nascondono tutta una serie di progetti coordinati, alla cui base c’è un’idea semplice quanto temeraria: collegare in modo efficiente il Mar Rosso con l’Oceano Atlantico, all’altezza di Matadi, allo scopo di dimezzare i costi ed il tempo del trasporto delle risorse naturali congolesi ed angolane con l’Oceano Indiano ed i grandi mercati arabi, cinesi, indocinesi e giapponesi. Progetti del genere esistono da oltre un secolo[79], sono stati immaginati dal potere coloniale europeo, e sono falliti di fronte ai problemi tecnologici, finanziari, militari e di impegno industriale del passato[80].

All’inizio del XXI secolo sono state le organizzazioni panafricane a revitalizzare il progetto, ed alcune tratte sono state effettivamente realizzate[81]. Ma questi progetti considerano rilevante solo il collegamento di Kinshasa e Brazzaville con il Nord ed il Sud del Continente. L’idea di Bollorè di investire in Matadi prima e nel porto di Kisangani (oltre 2000 chilometri di fiume più a monte, attualmente in decadenza ed amministrato dall’azienda di trasporti statali congolesi STCP[82]) fa parte di un progetto molto più importante, che è quello di costruire una strada camionale, difesa militarmente e dotata di stazioni intermedie per il rifornimento di carburante, acqua e viveri, di pezzi di ricambio e di trattamento medico, che parta da Kisangani e, attraverso l’Uganda e l’Eritrea, arrivi fino al porto di Berbera[83], nel Somaliland, che appartiene al gruppo DCP (Emirati Arabi Uniti), partner importante di Bollorè Logistics in tutto il mondo[84].

Il Rio Congo, il fiume più profondo del mondo, è in grado di fornire una rete logistica alternativa al camion ed all’aereo per la Repubblica Democratica del Congo ed i suoi vicini: Zambia, Uganda, Ruanda, Burundi e Tanzania[85]

L’unica alternativa a questo progetto: i porti già costruiti dai cinesi nello Zimbabwe, in Mozambico, in Namibia, nelle Seychelles, nello Zambia ed in Tanzania, che ricevono più del 90% dei loro trasferimenti di armi dalla Cina[86]. Parliamo solo dell’armamento portuale, perché la quantità d’armi cinesi che circola in Africa è spaventosa, e Kenya e Ghana ne riceve più della metà, come parte di una rete che, nel 2014, l’Istituto di ricerca navale cinese definiva chiaramente: Gibuti, Seychelles, Tanzania, Myanmar, Pakistan, Cambogia e Sri Lanka. Il Kenya, con Indonesia, Myanmar, Pakistan, Sri Lanka, Singapore ed Emirati Arabi Uniti è parte di un rapporto analogo sull’impiego militare terrestre pubblicato nel 2018[87].

La pandemia ha aumentato le tensioni: quando i paesi del G-20 hanno proposto di sospendere il debito africano, Pechino ha osteggiato la decisione. La Cina è il principale creditore del continente, superando anche la Banca mondiale, e non accetta flessibilità. I grandi progetti infrastrutturali sono fermi da mesi a causa del coronavirus. Le notizie di discriminazioni e maltrattamenti degli africani a Guangzhou, accusati di essere portatori di covid, aggravano ulteriormente la situazione[88]. La maggior parte degli africani vede l’influenza della Cina come positiva[89], grazie agli investimenti in infrastrutture, agricoltura, istruzione e formazione professionale. La situazione potrebbe cambiare se la Cina iniziasse a essere vista come una potenza militare che mostra i muscoli, anziché come un partner per lo sviluppo[90].

Tradizionalmente, la Cina non usa le proprie forze armate per proteggere i propri interessi economici all’estero, affidandosi a compagnie di sicurezza private, non armate, in collaborazione con le forze locali. Attacchi di matrice criminale e terroristica hanno ultimamente spinto il governo cinese ad armare le proprie società private: con l’avvio degli ambiziosi progetti della “Belt & Road Initiative”, Pechino ha incoraggiato la costituzione di nuove compagnie di sicurezza private, che forniscono servizi di raccolta di informazioni, valutazione dei rischi e prevenzione delle crisi, oltre che di protezione del personale da possibili sequestri e rapimenti[91]. La promessa di investimenti per 60 miliardi di dollari, fatta nel 2019, richiede che le società di sicurezza cinesi siano anche in grado di scegliere partners locali affidabili[92].

La nuova paura

Militari cinesi di stanza in Africa[93]

Ci sono 5000 imprese di sicurezza registrate in Cina (tutte controllate dallo Stato), che impiegano 4,3 milioni di ex militari e poliziotti. Venti di queste sono autorizzate a operare all’estero e impiegano ufficialmente 3200 contractor, un numero già superiore a quello dei dispiegamenti di pace dell’esercito, ma il numero reale è senza dubbio molto più alto[94]. Ciò crea nervosismo tra le popolazioni e i governi africani, indecisi se sia meglio avere meno sicurezza di fronte a possibili attacchi da parte di organizzazioni criminali, o la concessione del controllo del proprio territorio ad una potenza straniera[95].

La maggiore capacità operativa delle compagnie di sicurezza cinesi e la costante crescita di progetti economici e infrastrutturali, nonché l’aumento significativo di lavoratori cinesi nel continente, hanno contribuito a instillare il sospetto che dietro l’apparente natura privata di queste società di sicurezza vi sia invece una velata ambizione da parte di Pechino di esercitare un controllo, anche politico, nelle varie aree interessate. Molte organizzazioni non governative africane e internazionali, così come piattaforme panafricane indipendenti, ritengono che questi presidi di protezione siano in realtà costituiti da reparti dell’Esercito o della Polizia, sotto l’egida diretta del Partito comunista cinese. Ha contribuito sicuramente a rafforzare tale opinione la presenza di ex funzionari di tali forze di sicurezza governative all’interno delle compagnie di sicurezza private[96].

L’opinione pubblica africana è influenzata tanto dal passato coloniale e dalla memoria collettiva delle azioni condotte da molti mercenari durante i conflitti post-coloniali; inoltre, i cambiamenti in seno alle compagnie di sicurezza cinesi assomigliano a quelli dei loro corrispettivi russi. La popolazione ha paura che ci sia il rischio che i governi africani sottostiano alle disposizioni cinesi, dato il potere economico di Pechino, negoziando gli accordi commerciali a proprio svantaggio e senza alcun controllo e capacità decisionale[97].

Molte organizzazioni africane hanno avviato delle campagne di contro lo sfruttamento illecito delle risorse e i tentativi di truffa ai danni delle popolazioni locali. Nel marzo 2020, la Zimbabwe Environmental Law Association (ZELA) ha chiesto al governo un rapporto dettagliato circa le disposizioni contrattuali e le attività inerenti alla centrale a carbone di Sengwa, un progetto da 3 miliardi di dollari, finanziato dal gruppo cinese Gezhouba Group Co, la cui sicurezza è coordinata dal China Security Technology Group[98]. La Kenya Law Society si è battuta fieramente affinché nel giugno 2020 l’Alta Corte del Kenya dichiarasse illegale il contratto della Standard Gauge Railway tra il governo kenyota e la China Roads and Bridges Corporation, il principale cliente di DeWe (società di sicurezza privata cinese) nel Paese[99].

In Ghana, alcuni attivisti ambientali hanno fatto causa al governo per bloccare un accordo che vede Sinohydro Corporation Ltd, il gigante cinese dell’energia idroelettrica e delle costruzioni, finanziare reti ferroviarie, stradali e di ponti in Ghana per un valore di 2 miliardi di dollari, in cambio del 5% delle riserve di bauxite del Paese, sebbene il valore della risorsa mineraria potrebbe rivelarsi di molto maggiore[100]. Un’azione simile è stata condotta da gruppi della società civile in Guinea, i quali hanno lanciato una petizione contro un accordo da 20 miliardi di dollari che fornirebbe alla Cina l’accesso alle sue riserve di bauxite[101]: un dato interessante, dal momento che Pechino importa la metà del proprio fabbisogno di bauxite da questo Paese[102].

Si tratta di una situazione che si evolve a grandissima velocità, anche se si parla di miliardi come se fossero noccioline. Gli interessi in gioco sono giganteschi, almeno quanto i progetti ed i pericoli a loro collegati. Una situazione che è la più grande sfida della storia del continente africano: o è capace di prendere in mano il proprio destino, ora, o rischia una nuova ondata di colonialismo, più feroce e duratura delle precedenti.

 

[1] https://plataformamedia.com/en/2020/11/18/china-wants-to-invest-more-in-angola/
[2]https://www.geopolitica.info/china-angola-honeymoon-over/ ; http://worldcat.org/title/1018163324 ; https://www.cesi-italia.org/en/articles/il-ruolo-dell-angola-mode-nelle-relazioni-tra-cina-e-luanda
[3] https://www.cesi-italia.org/en/articles/il-ruolo-dell-angola-mode-nelle-relazioni-tra-cina-e-luanda
[4] https://www.africarivista.it/la-famosa-invasione-dei-cinesi-in-africa/186594/
[5] https://www.makaangola.org/2012/01/presidente-jose-eduardo-dos-santos-nepotismo-corrupcao-e-propaganda-na-cnn/ ; https://sol.sapo.pt/artigo/592705/dos-santos-defende-nepotismo
[6] https://www.cesi-italia.org/en/articles/il-ruolo-dell-angola-mode-nelle-relazioni-tra-cina-e-luanda
[7] https://www.geopolitica.info/china-angola-honeymoon-over/
[8] https://www.africarivista.it/la-famosa-invasione-dei-cinesi-in-africa/186594/
[9] https://www.bbc.com/news/world-asia-china-38285354
[10] https://www.cesi-italia.org/en/articles/il-ruolo-dell-angola-mode-nelle-relazioni-tra-cina-e-luanda
[11] https://www.geopolitica.info/china-angola-honeymoon-over/
[12] Microsoft Word – Angola Report 13. Draft.doc (ibiworld.eu), pages 114-135
[13] https://www.cesi-italia.org/en/articles/il-ruolo-dell-angola-mode-nelle-relazioni-tra-cina-e-luanda
[14] https://www.cesi-italia.org/en/articles/il-ruolo-dell-angola-mode-nelle-relazioni-tra-cina-e-luanda
[15] https://www.geopolitica.info/china-angola-honeymoon-over/
[16] https://www.cesi-italia.org/en/articles/il-ruolo-dell-angola-mode-nelle-relazioni-tra-cina-e-luanda
[17] https://www.reuters.com/article/us-angola-politics/angolas-first-new-president-in-38-years-vows-to-fight-graft-idUSKCN1C12G0?il=0 ; https://www.notiziegeopolitiche.net/angola-joao-lourenco-ha-prestato-giuramento-per-un-secondo-mandato/
[18] https://www.africarivista.it/la-famosa-invasione-dei-cinesi-in-africa/186594/ ; https://www.imf.org/-/media/Files/Publications/CR/2022/English/1COGEA2022001.ashx
[19] https://www.africarivista.it/la-famosa-invasione-dei-cinesi-in-africa/186594/ ; https://www.imf.org/-/media/Files/Publications/CR/2022/English/1COGEA2022001.ashx
[20] https://go.gale.com/ps/i.do?p=AONE&sw=w&issn=2056564X&v=2.1&it=r&id=GALE%7CA692711086&sid=googleScholar&linkaccess=abs&userGroupName=anon%7Ea016c01b
[21] https://www.geopolitica.info/china-angola-honeymoon-over/
[22] https://www.africarivista.it/la-famosa-invasione-dei-cinesi-in-africa/186594/ ; https://www.imf.org/-/media/Files/Publications/CR/2022/English/1COGEA2022001.ashx
[23] https://www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/3183912/end-angola-model-sees-number-chinese-oil-rich-african-country
[24] https://castelvetranonews.it/notizie/attualita/italia/se-la-cina-colonizza-lafrica-senza-dare-lavoro-ma-favorendo-lespansione-cinese-e-la-fuga-degli-africani/
[25] https://www.cesi-italia.org/en/articles/il-ruolo-dell-angola-mode-nelle-relazioni-tra-cina-e-luanda
[26] https://anthrosource.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/aman.13558
[27] https://www.cesi-italia.org/en/articles/il-ruolo-dell-angola-mode-nelle-relazioni-tra-cina-e-luanda
[28] Oil for Housing: Chinese-built new towns in Angola. David Benazeraf & Ana Alves. Global Powers and Africa Programme, SAIIA, April 2014: https://saiia.org.za/wp-content/uploads/2014/04/Policy-Briefing-88.pdf
[29] https://www.internazionale.it/foto/2012/07/13/la-citta-fantasma
[30] https://www.africarivista.it/la-famosa-invasione-dei-cinesi-in-africa/186594/
[31] https://qz.com/africa/2123474/china-africa-trade-reached-an-all-time-high-in-2021/
[32] https://asiasociety.org/texas/events/chinas-belt-and-road-initiative-examining-its-economic-and-military-implications
[33] https://lindro.it/la-cina-privatizza-il-debito-africano/
[34] https://www.notiziegeopolitiche.net/gibuti-primo-porto-detiopia-e-dellafrica/
[35] https://lindro.it/la-cina-privatizza-il-debito-africano/
[36] https://lindro.it/la-cina-privatizza-il-debito-africano/
[37] https://www.silkroadbriefing.com/news/2019/07/04/us-1-billion-belt-road-africa-fund-launched/
[38] https://www.brookings.edu/blog/africa-in-focus/2018/09/06/figures-of-the-week-chinese-investment-in-africa/
[39] https://africacenter.org/spotlight/chinese-security-firms-spread-african-belt-road/
[40] https://www.silkroadbriefing.com/news/2021/01/12/chinas-2021-progress-across-the-african-belt-road-initiative/
[41] https://chinapower.csis.org/china-belt-and-road-initiative/
[42] https://www.africarivista.it/la-namibia-si-avvia-ad-aderire-alla-nuova-via-della-seta-cinese/128247/
[43] https://www.silkroadbriefing.com/news/2021/01/12/chinas-2021-progress-across-the-african-belt-road-initiative/
[44] https://www.africarivista.it/la-namibia-si-avvia-ad-aderire-alla-nuova-via-della-seta-cinese/128247/
[45] https://www.farodiroma.it/lespansione-militare-della-cina-in-africa-basi-navali-per-il-controllo-delle-rotte-marittime-f-beltrami/
[46] https://www.africarivista.it/la-famosa-invasione-dei-cinesi-in-africa/186594/
[47] https://africacenter.org/spotlight/china-diplomacy-horn-conflict-mediation-power-politics/
[48] https://www.silkroadbriefing.com/news/2019/07/04/us-1-billion-belt-road-africa-fund-launched/
[49] https://www.africarivista.it/la-famosa-invasione-dei-cinesi-in-africa/186594/
[50] https://www.africaintelligence.com/north-africa/2021/05/24/cherchell-port-link-to-motorway-to-cost-e150m,109668186-bre ; https://www.africanews.com/2016/01/20/algeria-and-china-sign-33-billion-port-deal/
[51] https://www.globaltimes.cn/page/202207/1270556.shtml ; https://www.mei.edu/publications/djibouti-needs-plan-b-post-guelleh-era#:~:text=Djibouti’s%20port%20handles%2095%25%20of,player%20in%20the%20Red%20Sea.
[52] https://www.pinsentmasons.com/out-law/analysis/east-african-rail-planning-investment ; https://www.theafricareport.com/185378/railways-tracking-east-africas-trade-renaissance/
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[55] https://constructionreviewonline.com/project-timelines/lagos-kano-sgr-project-timeline-and-what-you-need-to-know/
[56] https://sgp.fas.org/crs/row/IF11304.pdf
[57] https://www.cfr.org/blog/chinas-strategy-djibouti-mixing-commercial-and-military-inter ests
[58] https://www.africarivista.it/la-famosa-invasione-dei-cinesi-in-africa/186594/
[59] https://sgp.fas.org/crs/row/IF11304.pdf
[60] https://africacenter.org/spotlight/considerations-prospective-chinese-naval-base-africa/
[61] https://www.cfr.org/blog/chinas-strategy-djibouti-mixing-commercial-and-military-interests
[62] https://www.cfr.org/blog/chinas-strategy-djibouti-mixing-commercial-and-military-interests
[63] Logan Pauley, “China Takes the Lead in UN Peacekeeping,” Diplomat, April 17, 2018, https://thediplomat.com/2018/04/china-takes-the-lead-in-un-peacekeeping/
[64] https://www.cfr.org/blog/chinas-strategy-djibouti-mixing-commercial-and-military-interests
[65] Erica Downs, Jeffrey Becker, and Patrick deGategno, “China’s Military Support Facility in Djibouti: The Economic and Security Dimensions of China’s First Overseas Base,” CNA, July 2017, vii.
[66] https://www.africarivista.it/la-famosa-invasione-dei-cinesi-in-africa/186594/
[67] https://theconversation.com/mombasa-port-how-kenyas-auditor-general-misread-chinas-standard-gauge-railway-contracts-182610 ; https://maritime-executive.com/article/report-port-of-mombasa-is-not-collateral-for-kenya-s-chinese-loans
[68] https://www.businessdailyafrica.com/bd/economy/mps-want-deal-mortgaging-mombasa-port-to-china-reviewed-3836418
[69] https://www.farodiroma.it/lespansione-militare-della-cina-in-africa-basi-navali-per-il-controllo-delle-rotte-marittime-f-beltrami/
[70] https://africacenter.org/spotlight/considerations-prospective-chinese-naval-base-africa/
[71] https://www.farodiroma.it/lespansione-militare-della-cina-in-africa-basi-navali-per-il-controllo-delle-rotte-marittime-f-beltrami/
[72] https://www.csis.org/analysis/assessing-risks-chinese-investments-sub-saharan-african-ports
[73] https://www.csis.org/analysis/assessing-risks-chinese-investments-sub-saharan-african-ports
[74] https://interkinois.net/kongo-central-signature-dun-protocole-pour-la-rehabilitation-du-port-de-matadi/
[75] https://dlca.logcluster.org/display/public/DLCA/2.1.1+Democratic+Republic+of+Congo+Port+of+Matadi
[76] https://dlca.logcluster.org/display/public/DLCA/2.1+Democratic+Republic+of+Congo+Port+Assessment
[77] https://www.shippingitaly.it/2022/03/31/affare-fatto-msc-acquisira-anche-bollore-africa-logistics/ ; https://www.startmag.it/smartcity/bollore-msc/
[78] https://dlca.logcluster.org/display/public/DLCA/2.1+Democratic+Republic+of+Congo+Port+Assessment
[79] https://en.wikipedia.org/wiki/Trans-African_Highway_network#/media/File:Map_of_Trans-African_Highways.PNG
[80] Guy Arnold, Ruth Weiß, “Strategic Highways of Africa”, Julian Friedman, London 1977
[81] https://en.wikipedia.org/wiki/Trans-African_Highway_network
[82] https://dlca.logcluster.org/display/public/DLCA/2.6+Democratic+Republic+of+Congo+Storage+Assessment
[83] https://www.africaintelligence.com/central-africa/2022/02/09/dp-world-qatar-and-abu-dhabi-ports-set-to-lock-horns-over-matadi-site,109732787-art
[84] https://www.thenationalnews.com/business/somaliland-project-opens-up-africa-for-dp-world-1.195002
[85] https://www.fundacionaquae.org/el-agua-del-rio-congo/ ; https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/cb/Rio_Congo.png
[86] https://www.piie.com/blogs/realtime-economic-issues-watch/arms-and-influence-chinese-arms-transfers-africa-context
[87] https://africacenter.org/spotlight/considerations-prospective-chinese-naval-base-africa/
[88] https://www.africarivista.it/la-famosa-invasione-dei-cinesi-in-africa/186594/
[89] https://www.afrobarometer.org/publication/ad489-africans-welcome-chinas-influence-maintain-democratic-aspirations/
[90] https://africacenter.org/spotlight/considerations-prospective-chinese-naval-base-africa/
[91] https://www.africarivista.it/la-sicurezza-privata-cinese-in-africa-un-nuovo-tipo-di-colonialismo/186041/
[92] China’s Xi Pledges $60 Billion in Financing for Africa,” Associated Press, September 3, 2018, https://www.abqjournal.com/1216399/chinas-xi-pledges-60-billion-in-financing-for-africa.html
[93] https://www.nbr.org/wp-content/uploads/pdfs/publications/sr80_securing_the_belt_and_road_sep2019.pdf
[94] https://africacenter.org/spotlight/chinese-security-firms-spread-african-belt-road/
[95] https://www.africarivista.it/la-sicurezza-privata-cinese-in-africa-un-nuovo-tipo-di-colonialismo/186041/
[96] https://www.africarivista.it/la-sicurezza-privata-cinese-in-africa-un-nuovo-tipo-di-colonialismo/186041/
[97] https://www.africarivista.it/la-sicurezza-privata-cinese-in-africa-un-nuovo-tipo-di-colonialismo/186041/
[98] https://www.orfonline.org/expert-speak/china-green-promise-africa-case-zimbabwe-sengwa-coal-power-plant-67578/
[99] http://kenyalaw.org/caselaw/cases/view/228 ; https://www.business-humanrights.org/en/latest-news/kenya-china-road-bridge-says-its-community-projects-including-roads-boreholes-positively-impacting-lives/ ; https://www.business-humanrights.org/en/latest-news/kenya-activists-move-to-court-to-compel-government-to-publish-standard-gauge-railway-contracts/
[100] https://www.africarivista.it/la-sicurezza-privata-cinese-in-africa-un-nuovo-tipo-di-colonialismo/186041/
[101] https://www.globaltimes.cn/page/202204/1259631.shtml
[102] https://www.alcircle.com/news/chinas-bauxite-imports-in-june22-decline-21-m-o-m-as-supplies-from-guinea-australia-dip-due-to-bad-weather-82139

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