Sudan: Quante sfide si nascondono dietro il conflitto?

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9 Giugno 2023

La violenza in corso in Sudan ha ucciso centinaia di persone, ferito altre migliaia e gettato milioni di persone in una grave crisi umanitaria. I combattimenti hanno già provocato lo sfollamento di oltre 840.000 persone. Più di 220.000 rifugiati e profughi rimpatriati sono fuggiti dal paese, con molti sudanesi in fuga verso il Ciad e l’Egitto, e rifugiati del Sud Sudan tornati a casa in condizioni difficili. Senza una risoluzione urgente, molti altri saranno costrette a fuggire.

“Quella alla quale stiamo assistendo è la distruzione di un paese, fatta in un modo disumanizzante per la sua gente”, ha detto Radhouane Nouicer, nominato alla fine dello scorso anno dall’Alto Commissario per i Diritti Umani Volker Türk su richiesta del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite per documentare e stendere un rapporto sulle violazioni dei diritti umani commesse in Sudan a partire dal colpo di stato del 25 ottobre 2021. “Quello che sta accadendo è terribile come qualsiasi cosa abbia visto nelle zone di conflitto nel corso della mia lunga carriera. È orribile, tragico, brutale e completamente inutile. L’intera gamma dei diritti umani – economici, sociali e culturali, nonché civili e politici – viene violata ed entrambe le parti hanno singolarmente mancato di adempiere ai propri obblighi ai sensi del diritto umanitario internazionale”.

L’esperto, il cui mandato è stato recentemente rafforzato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite durante una sessione speciale per coprire le violazioni derivanti direttamente dal conflitto in corso, nelle ultime tre settimane ha tenuto incontri settimanali a distanza con rappresentanti della società civile, che si trovano ancora in Sudan e altri che sono fuggiti nei paesi vicini.

Ha sentito racconti strazianti di medici che muoiono di fame negli ospedali mentre cercano di curare i pazienti, senza farmaci adeguati o carburante per far funzionare le attrezzature mediche, lo sfollamento di civili, il saccheggio delle case da parte dei combattenti, la separazione dei membri delle stesse famiglie, le persone colpite mentre cercano di fuggire nel caos delle aree di confine. È stato anche informato delle crescenti denunce di stupri e di altre forme di violenza sessuale da parte di uomini in uniforme e di corpi lasciati per strada per giorni, con i parenti che temono di essere fucilati se provano a raccoglierli.

“Le persone si sentono sole e abbandonate tra carenze croniche di cibo e acqua pulita, case distrutte, attacchi indiscriminati alle aree residenziali e saccheggi diffusi: l’intero paese è preso in ostaggio”, ha detto Nouicer.

Più di 850 civili sono stati uccisi, più di 3.500 feriti e centinaia di migliaia sono gli sfollati nelle cinque settimane dall’inizio dei combattimenti.

 

Una crisi che non emerge dall’oggi al domani

La crisi che sta devastando il Sudan e che ha fatto notizia in tutto il mondo non è emersa dall’oggi al domani, ma è la continuazione di una serie di eventi che hanno destabilizzato il paese negli ultimi due anni.

Dall’espulsione dell’ex presidente Omar Hassan El-Bashir, nell’aprile 2019, il Sudan ha subito una turbolenta transizione verso un governo civile. Questo governo di transizione è stato istituito nello stesso anno, attraverso un accordo di condivisione del potere tra leader militari e civili, ma è stato rovesciato da un colpo di stato militare nell’ottobre 2021. Da allora il paese è rimasto senza un governo effettivo.

Un successivo processo politico facilitato congiuntamente dalle Nazioni Unite, dall’Unione africana e dall’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD) nel dicembre 2022 ha portato alla firma di un accordo tra i militari e alcuni attori politici civili chiave, dando impulso agli sforzi per ripristinare una democrazia e un governo civile.

La continua crisi politica ha esacerbato l’emarginazione e le contestazioni politiche, così come i conflitti irrisolti sulla proprietà della terra: un fenomeno che ha luogo nel terzo paese dell’Africa con 48 milioni di abitanti.

Parallelamente l’economia del paese ha sofferto e sono aumentati gli scontri intercomunali e altri atti di violenza armata, con la popolazione civile che ha pagato un prezzo elevato: molte vite perse e case distrutte nella regione del Darfur e negli Stati meridionali del Kordofan.

 

Interessi economici?

Il Sudan, come dicevamo, è il terzo paese africano per grandezza, è situato a cavallo del fiume Nilo e condivide, coi relativi problemi, le sue acque con due paesi della regione, l’Egitto e l’Etiopia. L’Egitto, infatti, dipende dal Nilo, di cui ha bisogno per mantenere la sua popolazione di oltre 100 milioni di persone, mentre l’Etiopia sta costruendo una massiccia diga a monte degli altri due paesi, scelta che ha allarmato sia il Cairo che Khartoum.

L’economia del Sudan, fondata sulle sue risorse, in particolare materie prime, potrebbe offrire ai paesi occidentali la possibilità di utilizzare delle sanzioni economiche per fare pressione su entrambe le parti del conflitto con l’obiettivo di restaurare una pace forse più duratura, ma, purtroppo, come in altre nazioni africane ricche di risorse, quegli stessi paesi occidentali che potrebbero favorire la fine del conflitto, sono più interessati alla sua prosecuzione: più che sanzionare i gruppi armati attraverso sanzioni come quelle comminate al Venezuela o a Cuba, preferiscono commerciare coi soggetti belligeranti, alimentare il conflitto, fornire loro delle armi in cambio dello sfruttamento delle loro risorse.

Mohamed Hamdan Dagalo, diventato vicepresidente del Consiglio Militare di Transizione (TMC) in seguito al colpo di stato in Sudan del 2019, un tempo pastore di cammelli del Darfur, possiede vasti allevamenti di bestiame e attività di estrazione dell’oro. Si ritiene inoltre che sia stato ben pagato dai paesi del Golfo Persico per i servizi resi dalle Rapide Support Forces, un tempo controllate dal governo sudanese, di cui abbiamo già ampiamente parlato in questa newsletter (PuntoCritico050523e190523) nel conflitto in Yemen contro i ribelli alleati con l’Iran.

Le forze armate controllano gran parte dell’economia e possono contare anche su uomini d’affari attivi a Khartoum e lungo le rive del Nilo. Questi personaggi si sono arricchiti durante il lungo dominio di al Bashir e vedono le RSF come rozzi guerrieri delle aree interne al paese.

Nel frattempo l’enorme numero di potenziali mediatori, inclusi gli Stati Uniti, le Nazioni Unite, l’Unione Europea, l’Egitto, i paesi del Golfo Persico, l’Unione Africana e il blocco dell’Africa orientale di otto nazioni noto come IGAD, cercano di raggiungere un accordo, che porti benefici anche a loro stessi oltre che al popolo sudanese.

 

Articolo pubblicato nella newsletter di PuntoCritico.info del 6 giugno 2023.

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CAT: Africa, Geopolitica

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