Le startup che stanno cambiando l’Africa
“Lo sviluppo dell’Africa non potrà mai farsi senza l’economia digitale”. Così parlò Amadou Mathar Ba, cofondatore nel 1999 di Allafrica.com, il motore di ricerca del continente nero. Ba, pioniere di Internet nell’area più povera del pianeta, è stato considerato da Forbes una delle 10 personalità africane più influenti nel 2014. Così come il magnate nigeriano Tony Elumelu, 26esimo uomo più ricco dell’Africa, che pochi giorni fa ha annunciato la lista dei 1.000 imprenditori che riceveranno finanziamenti dalla sua fondazione. Secondo VC4Africa, nel 2014 i capitali investiti in startup africane sono più che raddoppiati rispetto al 2013: da 12 a quasi 27 milioni di dollari.
Ancora pochi forse, ma già abbastanza per favorire la diffusione di innovazione attraverso lo sviluppo di incubatori, piattaforme web e applicazioni che già stanno cambiando il volto del continente nero, creando lavoro e migliorando la vita a milioni di persone. Ma quali sono i casi di maggior successo? Il Paese più all’avanguardia è sicuramente il Kenya, che già da 10 anni con M-Pesa ha portato i pagamenti elettronici via telefonino a 12 milioni di cittadini in collaborazione con Vodafone, e dove nel 2008 quattro amici (e un socio americano) hanno lanciato la piattaforma no-profit Ushahidi.com, utile a combattere le violenze urbane segnalando in tempo reale i luoghi pericolosi. Ushahidi, che in lingua swahili significa “testimonianza”, è ormai utilizzata in 154 Paesi nel mondo, dove 22mila cittadini contribuiscono a lanciare l’allarme attraverso sms, video o email.
Altro progetto a forte carattere sociale, nato però in America, è quello di MapKibera, la piattaforma alternativa a Google Maps che coinvolge gli abitanti della bidonville di Kibera, in Kenya, al fine di “rendere visibili gli invisibili”. Come Ushahidi, l’iniziativa di cartografia partecipata attira l’attenzione internazionale, tant’è che nel 2010 il progetto decolla grazie ai fondi dell’Unicef e ora una delle zone più disagiate del pianeta ha una mappatura che segnala informazioni, scuole, punti dove trovare acqua. “Siamo arrivati a questo partendo da un gruppo di 13 ragazzi del posto, che non avevano mai toccato un pc in vita loro”, ricorda la fondatrice Erika Hagen.
Kenya significa anche M-Kopa, la startup che due mesi fa ha raccolto 12,4 milioni di dollari e che ogni giorno fornisce energia a 500 case in più in tutta l’Africa. Come? Installando un piccolo convertitore di energia solare sul tetto delle abitazioni, e consentendo il pagamento digitale (proprio tramite M-Pesa) al costo di 43 cent al giorno. Dalla sua fondazione, nel 2012, M-Kopa ha già totalizzato 3 milioni di micro-transazioni e dato lavoro a 1.500 persone tra Kenya, Tanzania e Uganda. Ma soprattutto sta risolvendo un grave problema: in Kenya, ad oggi, 30 milioni di persone non hanno accesso alla rete elettrica e utilizzano pericolose lampade a cherosene, oltretutto altrettanto costose (200 dollari l’anno).
Ma l’Africa non è solo il Kenya. La recente epidemia di Ebola ha suggerito all’Ong Ehealth Africa la creazione dell’app Sense Ebola Follow up, utilizzata dalle autorità sanitarie della Nigeria sin dall’agosto 2014 per monitorare le segnalazioni sui sintomi della malattia. La tempestiva comunicazione di casi sospetti ha così consentito ai medici di reperire i pazienti nel giro di 72 ore e di isolarli, limitando la diffusione del virus. Contribuisce a salvare vite umane anche un tablet ideato da un ingegnere di 24 anni in Camerun: si chiama Cardiopad e permette a chiunque, in un Paese che conta solo 50 cardiologi su 20 milioni di abitanti, di monitorare le proprie frequenze cardiache e di trasmetterle in tempo reale a un centro specializzato per la diagnosi. Il progetto del giovanissimo Artur Zang è ambizioso e infatti non ottiene molti finanziamenti: ma alcune migliaia di dollari bastano per il lancio, poche settimane fa, dei primi esemplari sul mercato.
Anche il Ghana ha lanciato il suo salva-vita digitale. Si chiama M-Pedigree e nasce per sopperire a un problema purtroppo molto diffuso in Africa: il consumo di falsi farmaci. Il costo dei prodotti farmaceutici ha infatti scatenato il proliferare di venditori abusivi nelle strade delle zone più povere. Ma l’app, grazie al riconoscimento di un codice presente sulle scatole di tutti i medicinali, consente di distinguere un prodotto ufficiale da uno taroccato: basta inviare il codice via sms e si riceverà una risposta positiva o negativa. L’ultima operazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, a giugno 2014, ha portato all’intercettazione, in 14 Paesi africani, di 113 milioni di falsi farmaci: di che provocare, secondo le stime, 100mila decessi l’anno nel continente.
In Egitto invece si è trovato il modo di usare la tecnologia per combattere le violenze sessuali. Del resto le statistiche sono impressionanti: nella capitale, Il Cairo, il 95,3% delle donne, che siano egiziane o straniere, sono state vittime di approcci di carattere sessuale in luoghi pubblici. Palpeggiamenti, frasi oscene rivolte sia per strada (nell’81,4% dei casi) sia – persino – sui mezzi di trasporto pubblici (quasi il 15% dei casi). Quasi nessuna di queste donne vessate riesce a trovare forza e sostegno per sporgere denuncia, mentre è appurato che l’82% di loro si sente “sconvolta e disgustata” dopo aver subito l’umiliante approccio. Dal 2010 ci pensa l’app Harass Map, che raccoglie le testimonianze e segnala i luoghi da evitare.
Le startup africane, al di là dei progetti sociali, sostengono anche lo sviluppo scientifico. Come in Togo, dove la comunità Woelab ha concepito una stampante 3D realizzata riciclando rifiuti elettronici. L’iniziativa, capitanata dall’architetto Sénamé Agbodjinou, ha ricevuto le attenzioni persino della NASA: del resto, secondo uno studio dell’Onu, da qui al 2017 si formeranno nel mondo 65,4 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, pari a 200 volte la massa dell’Empire State Building. E così la “repubblica digitale, primo spazio africano di democrazia tecnologica”, come si definisce Woelab sul proprio sito, ha già pensato a una soluzione.
Una generazione di scienziati va tuttavia formata, e in questo senso ha lavorato un progetto in Sudafrica. Il Paese di Nelson Mandela occupa infatti, secondo il World Economic Forum, la 143esima posizione su 144 per l’insegnamento della matematica e delle materie scientifiche ai propri ragazzi. La sfida è stata così raccolta nel 2009 dalla piattaforma Obami: praticamente un social network dell’insegnamento, un’agorà digitale che mette in contatto insegnanti, alunni e genitori. Il sito, tra i vari servizi, offre lezioni video gratuite ai ragazzi tra gli 8 e i 12 anni.
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