Da qualche settimana a Milano è molto facile imbattersi nei manifesti che annunciano Live Wine 2015, il Salone Internazionale del Vino Artigianale, che dal 21 al 23 Febbraio aprirà le porte del Palazzo del Ghiaccio a tutti gli appassionati dei cosiddetti vini “naturali”. La manifestazione – un’evoluzione di Vini di Vignaioli, fiera nata a Fornovo ma già l’anno scorso tenutasi anche a Milano – riunirà più di 140 produttori artigianali provenienti dall’Italia e dall’estero, che per tre giorni metteranno i loro vini a portata di assaggio. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Lorenzo de’ Grassi, da anni impegnato nella divulgazione di questo tipo di vini (suo ad esempio è il sito ilvinobuono.com) e oggi organizzatore di Live Wine insieme a Christine Cogez-Marzani.
Iniziamo a chiarirci le idee sulle parole, che sono un terreno piuttosto scivoloso: cosa si intende per vino artigianale?
Un vino artigianale è un vino che viene seguito personalmente dal produttore a partire dal lavoro in vigna fino all’imbottigliamento. Poi certo uno può fare vino artigianale in tanti modi, ad esempio usando la chimica oppure no.
E a Live Wine che vini artigianali troveremo?
Ci saranno solo vini artigianali di produttori naturali, cioè produttori che lavorano senza chimica di sintesi in vigna e senza additivi. L’unico additivo che trovi in questi vini è, in dosi molto più basse del consentito, la solforosa, che è anche l’unico che la legge obbliga a segnalare (la scritta “contiene solfiti”, ndr). Anche qui, quello che fa la differenza è la quantità di solforosa che aggiungi, ma la legge non obbliga a precisare la quantità e quindi a fare chiarezza. Comunque a Live Wine avremo anche molti vini senza solforosa aggiunta e in ogni caso saranno tutti vini che non contengono gli additivi che si trovano abitualmente nei vini convenzionali.
Perché allora non chiamarlo salone dei vini naturali?
Perché in Italia, e non solo, se usi la parola “naturale” legata ai vini rischi delle sanzioni pesanti, ci sono stati già dei casi. Un paio d’anni fa Stefano Bellotti* ha subìto una multa di 10.000 euro e il sequestro delle bottiglie per uso illegale del termine “naturale” in etichetta. Una cosa simile è successa a un’enoteca romana (Enoteca Bulzoni, ndr) che aveva esposto delle bottiglie accanto a un cartello che li definiva “naturali” e si è vista comparire in negozio due funzionari del Ministero delle Politiche Agricole con un’accusa di frode in commercio legata proprio da quel cartello. Il vero mistero è che passeggiando per le corsie dei supermercati si può incappare in decine di prodotti di grandi aziende che si definiscono naturali in etichetta e che a quanto pare non ricevono lo stesso trattamento da parte delle autorità. È una cosa che fa rabbia perché all’apparenza si applicano due pesi e due misure.
Ok, vada per artigianali che non si sa mai.
Che poi tutto questo bisticciarsi sui termini nasce da un grande equivoco, pensaci: se tu fai un vino pieno di additivi non sei tenuto a dire che il tuo vino contiene degli additivi, il tuo si chiama vino e basta. Per cui se lo fai senza chimica e senza additivi devi inventarti una parola in più per cercare di distinguerti, per dire che lo fai in modo più genuino.
Quindi è l’industria del vino che in qualche modo detta il linguaggio e chi si differenzia dal processo industriale deve trovarsi un’altra definizione.
Esatto, l’industria del vino, come anche più in generale quella dell’agricoltura, è forte abbastanza da essere in grado di dire: il mio è vino, se tu lo fai diversamente trovati un’altra identità e definiscitela. E poi però sulla definizione alternativa nascono incomprensioni.
Guardando il logo di Live Wine mi viene da pensare che ne berremo di tutti i colori…
Con il logo abbiamo voluto rappresentare la caratteristica principale di questi vini, che è la diversità. Nei vini “convenzionali” vengono usate delle tecniche che appiattiscono le diversità e avvicinano il gusto finale a quello che si sa che piace al grande pubblico, in modo da non spaventarlo. Invece in questi vini no, e il risultato è spesso sorprendente: ogni vino è un mondo a parte. Poi certo troverai il vino che ti fa impazzire e quello che ti lascia perplesso, ma non è che uno sia meglio dell’altro a prescindere: anche questa è la loro bellezza. Il mondo del vino convenzionale tende a giudicare come errore tutto quello che si discosta dal canone prestabilito, cioè decide a priori cosa è buono e cosa non lo è, questo fa sì che più o meno sai cosa aspettarti da ogni bottiglia, a cominciare dal colore del vino. Nei vini artigianali invece ogni assaggio è una scoperta.
Una critica che ho sentito muovere varie volte ai vini naturali riguarda l’assenza di regolamentazione dal punto di vista della produzione, che forse è in qualche modo connessa a questa irregolarità del gusto. Come ti sentiresti di rispondere a queste critiche?
Ma guarda, penso che regolarizzare può significare anche appiattire. Mi spiego: se nelle mie regole inserisco che tutti i vini naturali non devono avere solfiti aggiunti in nessuna fase della produzione, per alcuni faccio una cosa sacrosanta, ma inevitabilmente elimino un’enorme gamma di tipologie di vini che invece è molto interessante, magari perché può invecchiare più a lungo o perché semplicemente ha dei profumi più freschi (i solfiti sono dei conservanti che preservano il vino da eventuali ossidazioni). Lo dico da amante dei vini senza solfiti aggiunti.
È possibile immaginarsi un futuro con l’obbligo di esporre la lista degli ingredienti sulle etichette delle bottiglie?
Non succederà a breve ma secondo sì, perché credo che l’interesse verso questo tema continuerà a crescere. Del resto qualsiasi alimento ha la lista ingredienti sull’etichetta e questo ti permette di decidere consapevolmente di volta in volta se vuoi o puoi consumarlo. Nel vino non c’è questo privilegio, che in realtà non è un privilegio ma un diritto. Bisogna precisare che nel vino quello che fa male non sono gli additivi, almeno non più dell’alcol, ma andrebbero esposti per trasparenza e per rispettare le scelte di tutti. Per farti un esempio: se io seguo un regime alimentare vegano devo essere in grado di sapere se in un vino è stata aggiunta colla di pesce che deriva da ossa di animali oppure è stato chiarificato con le uova, altrimenti non potrò scegliere il vino in modo coerente ai miei principi. In questo momento non abbiamo il diritto di sapere cosa c’è nei vini che beviamo.
La dimensione della vigna è un fattore discriminante per produrre vino artigianale? Mi spiego, è possibile secondo te immaginare un vino artigianale prodotto da grandi aziende, che lo rendano quindi un prodotto di massa?
È una domanda difficile ed esce un po’ dalle mie competenze…no, io direi che una produzione artigianale è gestibile fino ai 50/60 ettari di vigna. A Live Wine la maggioranza delle cantine ha sotto i 20 ettari, qualcuna 30 e forse qualcuna 50, ma sono casi isolati. Sopra i 60 ettari credo sia difficile lavorare in modo artigianale. Però attenzione io non voglio che il vino artigianale rimpiazzi quello industriale. Certo, mi auguro che quello industriale usi sempre meno chimica in vigna, ma anche il vino “convenzionale” ha un suo ruolo nella società: non tutti vogliono bere vino artigianale ed è giusto così, come non tutti amano il pane fatto in maniera artigianale e preferiscono quello industriale. Non credo che una cosa debba cancellare l’altra.
Però l’attenzione delle persone verso la genuinità di quello che mangiano è cresciuta molto negli ultimi anni: boom del biologico, crescita dei gruppi d’acquisto solidali…
Sì, e la crescita d’interesse verso i vini artigianali si inserisce in questo solco. Secondo me dopo qualche decennio di industrializzazione dei prodotti alimentari, che sicuramente ha reso la vita più comoda a molte persone, ci siamo accorti che non ci davano poi così tanta soddisfazione, per non dire qualche disagio fisico. Adesso chi si avvicina a un pane o un formaggio o un vino artigianale difficilmente poi riesce a tornare indietro a quelli industriali.
Live Wine è in collaborazione anche con Ais Lombardia (Associazione Italiana Sommelier): un attore istituzionale del mondo del vino che patrocina una manifestazione di vini naturali, mi è sembrata una cosa abbastanza inedita. Che significato ha?
Sì, l’Associazione Italiana Sommelier e soprattutto la sezione lombarda è molto sensibile a questo tema ed è consapevole che all’interno di questi movimenti esistono tanti vini veramente speciali ed è desiderosa di farli conoscere. Credo che il fatto che abbiano deciso di appoggiarci senza interferire, lasciandoci totale autonomia, sia un segnale molto positivo. Inoltre in qualche modo sdogana questi vini che per molto tempo sono stati considerati dei vini un po’ per fanatici.
E invece, visto che siamo a Milano, avete qualche sinergia con Expo?
No, devo dire che siamo stati anche noi a non cercare nessuna sinergia, più che altro per un fatto di coerenza. Il tema dell’Expo è il cibo, ma non si annuncia come una manifestazione particolarmente sensibile ai temi della sostenibilità e dell’artigianalità. Mi sembra che la scelta del tema sia fatta più per convenienza che per una valenza etica. Noi stiamo cercando di fare una fiera divulgativa, per allargare il pubblico dei vini artigianali, ma ci teniamo a rimanere fedeli ad alcuni principi di trasparenza e di selezione, cosa che non vediamo in Expo, per cui è importante che le due manifestazioni rimangano ben distinte.
Al di là di Expo, cosa viene fatto e cosa si può fare a livello locale o nazionale per valorizzare questo patrimonio emergente dei vini artigianali?
Direi una grande opera di divulgazione: il patrimonio c’è già, va solo fatto conoscere. Ad esempio le associazioni hanno un ruolo cruciale. Per citare le tre più importanti in Italia: Vin Natur, che ogni anno analizza i vini dei produttori per certificare che non ci siano tracce di chimica; il ramo italiano di Renaissance des Appellations, che promuove i vantaggi dell’agricoltura biodinamica; Vini Veri, un consorzio che aggrega viticoltori in base alla condivisione di una serie di norme di produzione. Tutte queste associazioni, ognuna a suo modo e con sue priorità, fa un grande lavoro di divulgazione di questa cultura del vino. Sul cosa si può fare ti confesso che il mio sogno è che in qualsiasi bar o ristorante ci sia sempre qualche etichetta di vini fatti in maniera artigianale e naturale. Oggi succede in pochi locali, spesso di livello alto, e chi si avvicina a questo tipo di vini poi finisce per dover andare sempre nei soliti tre posti. Sarebbe bello, ed è forse la cosa migliore che può sperare di ottenere una manifestazione come Live Wine, che un domani in ogni ristorante o enoteca si possa scegliere se bere un vino convenzionale oppure uno artigianale.
*Stefano Bellotti è uno dei più conosciuti produttori di vino biodinamico in Italia e protagonista, insieme ad altri vignaioli, dell’ultimo film di Jonathan Nossiter “Resistenza Naturale”.
La foto di copertina è di Michela Scibilia.
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