“La terra non vota, la gente sì”: sembra ovvio, e invece dobbiamo parlarne

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6 Novembre 2020

Oggi, mentre aspettavo di finire la quarantena, ho passato la giornata a guardare aggiornamenti di una mappa sempre inesorabilmente ferma sul 253-214 e ad aggiornare Twitter. A un certo punto ho visto questo. Una breve animazione in cui una mappa degli Stati Uniti suddivisa in tante (e grandi) contee rosse e poche (e piccole) contee blu si trasforma in un insieme di puntini rossi con alcuni vistosi grappoli di punti blu. Sopra c’è scritto “Land doesn’t vote. People do.” (la terra non vota, la gente sì). Il messaggio è chiaro: la mappa è rossa, ma i punti sono blu. Se guardiamo oltre la banalità della mappa, con le sue inutili estensioni di territorio, possiamo riuscire a vedere le persone, e le persone hanno votato chiaramente. Uno vale uno; la maggioranza è netta. Per altri quattro anni possiamo non chiederci perché così tante persone, soprattutto in alcuni luoghi, hanno votato un presidente impresentabile, non alieno al razzismo, capace di pronunciare serenamente discorsi eversivi a spoglio in corso, come Donald Trump.

L’ovvietà dell’analisi (la terra non vota, la gente sì) viene ribadita ad ogni giro. Io ad esempio vedo la mappa che cambia colore in un retweet de il Post:
Per chi non l’ha vista, questa visualizzazione grafica del voto americano fa capire con efficacia una cosa: la terra non vota, votano le persone.

Anzitutto ci si rivolge a “chi non l’ha vista”, quelli che seguono in ritardo. Poi la visualizzazione grafica “fa capire con efficacia una cosa”. Il contenuto è già fuori discussione, si tratta solo della sua comunicazione: una cosina un po’ bella che aiuta a capire anche i meno svegli. Il dibattito è già finito da un pezzo, vi facciamo un disegnino solo perché siete tonti.

Ma è vero che la terra non vota? Non è proprio quello il senso della legge elettorale americana, dare un po’ di vantaggio a territori spopolati e marginali, sovrarappresentandoli leggermente? E qui io non voglio entrare in discussioni sull’entità di questa correzione e sulla suddivisione dei collegi (che probabilmente potrebbero essere entrambi rivisti) e nemmeno argomentare sulla terra come qualcuno a cui, durante la quarantena, passavano solo libri di Carl Schmitt, ma parlare solo, e in generale, della possibilità che l’elettore di un territorio marginale come il South Dakota possa contare infinitesimamente di più di un elettore della California. È sbagliato? E, mettiamo anche che sia sbagliato, è un’ipotesi così assurda da non doverla nemmeno prendere in considerazione? Ci sono davvero solo i punti? Il territorio lo vogliamo ignorare completamente? Non eravamo tutti così entusiasti del territorio quando si trattava della robiola di Roccaverano? E perché ci è passato tutto l’interesse non appena si tratta di quelli che la robiola di Roccaverano la devono produrre?

Concedere un piccolo vantaggio in termini di rappresentazione a territori periferici non mi sembra una questione da scartare immediatamente, prima ancora di discutere, e trattando come poveretti quelli che osano avere qualche dubbio. Eppure è proprio questo che fa – e con enorme violenza – la simpatica mappa che cambia le macchie rosse in punti blu. Una violenza ancora più grande perché subdola e nascosta, fresca e apparentemente amichevole. È questo (non solo questo, ma anche questo) che fa impazzire quelli che poi finiscono a votare Trump, ed è incredibile che tantissime persone benintenzionate non lo capiscano.

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CAT: America

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