USA 2016, John Boehner si dimette: è scontro nel Partito Repubblicano

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27 Settembre 2015

Nel pieno della corsa elettorale per la nomination del 2016, il Partito Repubblicano piomba in un nuovo tumulto: le dimissioni annunciate l’altro ieri dallo Speaker della Camera, John Boehner, hanno difatti ancora una volta evidenziato la profonda spaccatura, creatasi in seno al GOP tra l’establishment e l’ala radicale (incarnata dalla religious right e dal Tea Party).

Capogruppo dell’Elefantino alla Camera dal 2006, ne divenne Speaker nel 2011, proprio nel periodo in cui l’ultraconservatorismo tendeva a rafforzarsi nella sua durissima opposizione alle politiche obamiane. Pur essendosi sempre caratterizzato per posizioni politiche chiaramente di destra (dalla foreign policy alle questioni etiche), nel suo incarico alla Camera ha ciononostante cercato una mediazione al centro, tentando di smorzare le ali più oltranziste del partito. Strategia, che gli ha attirato le critiche della destra radicale, rendendolo così un emblema di quell’establishment, sempre più considerato imbelle e aggrappato alle proprie rendite di posizione.

D’altronde, la contestazione a Boehner, s’inseriva in una serie di polemiche condotte contro diversi membri storici del partito, accusati di debolezza e doppiogiochismo. Basti pensare soltanto alla scorsa estate. Durante la battaglia parlamentare contro l’Obamacare, il senatore texano e candidato alla presidenza, Ted Cruz, ingaggiò un durissimo scontro con Mitch McConnell, arrivando a definirlo un “bugiardo”. Ma in particolare, quando Donald Trump attaccò frontalmente John McCain, negandogli lo status di eroe di guerra, raccolse un fortissimo appoggio da parte della base radicale, salendo – anche per questo – decisamente nel gradimento elettorale.  E non sarà allora un caso, che gli ultimi sondaggi stiano attualmente premiando i candidati più legati all’antipolitica (dallo stesso Trump a Carson, passando per Carly Fiorina).

In tal senso, le dimissioni di Boehner, hanno evidenziato plasticamente questa spaccatura. Da una parte l’establishment: George Walker Bush e Condoleezza Rice hanno sottolineato la loro vicinanza allo Speaker, pronunciando parole di elogio, mentre McCain invita il partito all’unità, evitando inutili spargimenti di sangue.

Ma il punto interessante risiede nel fatto che la maggior parte dei candidati alla nomination (soprattutto quelli di area conservatrice) abbiano nelle ultime ore espresso forti critiche verso il pregresso operato di Boehner. Il governatore della Louisiana, Bobby Jindal, ha affermato che McConnell dovrebbe seguire l’esempio dello Speaker. L’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, ha espresso scoramento e rabbia per l’inazione dei repubblicani al Congresso. Sulla stessa linea Donald Trump. Mentre particolarmente duro è nuovamente stato Ted Cruz, che ha sostenuto come Washington starebbe frantumando il partito, pronta a far vincere la nomination a un centrista, per poi puntualmente perdere in sede di general election.

Più in difficoltà i candidati moderati: in particolare Jeb Bush. Attraverso un tweet, l’ex governatore della Florida ha espresso apprezzamento per l’operato di Boehner, mettendo chiaramente in luce la propria distanza rispetto a quella base radicale la quale – non a caso – non ha mai mostrato di amarlo, considerandolo un candidato debole, incolore ed espressione di un potere vecchio, sostanzialmente avverso ad ogni cambiamento. Tra l’altro, le dimissioni dello Speaker, manifestano una netta vittoria da parte della destra, che può adesso rivendicare un peso maggiore nel partito e isolare ulteriormente un Bush sempre più in difficoltà. E difatti – con ogni probabilità – i suoi principali avversari (a partire da Trump) non mancheranno di rimarcare polemicamente la sua vicinanza a Boehner, per presentarlo – una volta di più – come inaccettabile candidato dell’establishment.

In questa polarizzazione, particolarmente interessante risulta la posizione di Marco Rubio. Pur avendo affermato di non voler attaccare lo Speaker, il senatore della Florida ha ciononostante dichiarato come sia ora di voltare pagina: lui, che storicamente è sempre riuscito a mediare tra l’establishment (soprattutto per la sua vicinanza alla dinastia Bush) e il radicalismo del Tea Party (per la sua carica giovane, grintosa e innovativa). Ancora una volta, Rubio si contraddistingue allora come figura complessa, capace di incanalare elementi eterogenei e dissonanti: una capacità che potrebbe tornargli utile nel tentativo di compattare le contrastanti anime del GOP.

E adesso si apre il capitolo della successione a Boehner. Il nome che circola più insistentemente è quello di Kevin O. McCarthy: secondo Politico si tratterebbe di un abile negoziatore, propenso alle convergenze tra schieramenti differenti: per quanto la sua collocazione politica non propriamente conservatrice potrebbe renderlo inviso alla destra radicale. Quella stessa destra che potrebbe quindi puntare su un proprio candidato, con la speranza di condurre un conflitto senza compromessi contro i democratici, soprattutto sulla questione del finanziamento a Planned Parenthood.

Le spaccature  sembrano non arrestarsi nell’Elefantino. E mentre scoppia la sua ennesima crisi di nervi, forse avrebbe proprio bisogno di un ansiolitico.

TAG: Donald Trump, Jeb Bush, John Boehner, Marco Rubio, Ted Cruz
CAT: America

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