CILE: Il caso di Matias Rojas e Alejandro Carvajal

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14 Ottobre 2022

Molto controverso il pasticcio giuridico grazie al quale restano chiusi nell’oscurità delle carceri di Santiago del Cile Matias Rojas e Alejandro Carvajal. Condannati, assolti, e poi processati di nuovo, la storia di questi giovani sembra degna dei racconti del libro di Lewis Carroll, “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Purtroppo, il Cile non è il Paese delle Meraviglie, e le ingiustizie e gli abusi che vivono questi giovani sono ben reali.

 

Matias e Alejandro sono perseguiti nell’ambito di due casi distinti.

Alejandro Carvajal per l’incendio dell’edificio dell’Università Pedro de Valdivia dell’8 novembre 2019, avvenuto lo stesso giorno in cui un altro manifestante, Gustavo Gatica, perse la vista, colpito dai proiettili della polizia che sparava sulla folla. Condannato in primo grado a tre anni di libertà vigilata, la sentenza è stata immediatamente annullata su istanza del Ministero dell’Interno e della stessa Università Pedro de Valdivia. Una seconda sentenza lo ha condannato alla pena di cinque anni e un giorno.

Matias Rojas, perseguito per l’incendio dell’Hotel Principato e per la realizzazione di bombe molotov durante le manifestazioni legate alla Rivolta Sociale, nel novembre 2019, è stato condannato e poi assolto. Tuttavia su richiesta del Consiglio di Difesa dello Stato la sua assoluzione è stata revocata e ora si chiede l’esecuzione di una parte della condanna, anche se la richiesta è stata formulata in modo errato e di per sé non ha validità giuridica.

Mercoledì scorso, 5 ottobre, Matias e Alejandro si trovavano insieme al Centro di Giustizia di Santiago del Cile. Le loro storie non sono così diverse: sebbene siano già stati sottoposti a diversi processi, contro di loro è stata spiccata una querela del Consiglio di difesa dello Stato, un organo creato al tempo della dittatura di Pinochet. Si tratta di un organismo pubblico decentrato, dotato di personalità giuridica propria, soggetto esclusivamente alla vigilanza del presidente della Repubblica.

Il Consiglio di Difesa ha esercitato il suo diritto di far decadere la sentenza di assoluzione che era stata emessa per il caso di Matias Rojas e di denunciarlo nuovamente, dopo che il giovane ha già trascorso tre anni in carcere per un crimine che non ha commesso. Un’istanza formulata in modo erroneo, che rende il ritorno di Matias in carcere un fatto molto grave. Inoltre il giudice, Leonardo Valdivieso Lobos, non ha avuto nemmeno la facoltà di accedere a tutti i documenti relativi alla richiesta del Consiglio di Difesa. Ieri il modo in cui ha tenuto l’udienza ha dato l’impressione di una scena di humor inglese di cattivo gusto.

Ciò che accomuna i due giovani è di essere stati condannati grazie ai video fatti da alcuni poliziotti infiltrati, meglio conosciuti come gli intramarchas.

Durante la Rivolta Sociale, infatti, i Carabinieri del Cile hanno infiltrato nelle manifestazioni i loro agenti sotto copertura allo scopo di effettuare pedinamenti, arresti e incarcerazioni, pur non avendo l’autorizzazione del giudice di garanzia o le direttive di un pubblico ministero.

Nel video relativo al caso di Alejandro Carvajal si vedono alcuni manifestanti incappucciati lanciare bottiglie molotov contro gli edifici dell’università e si sente una voce incoraggiarli: “Dagli fuoco, fratello. Che bruci”. Il video, pubblicato da “El Desconcierto”, era stato precedentemente trasmesso da Canale 13 lo stesso giorno degli scontri, ma senza l’audio. La stazione televisiva ha detto che il video è stato trovato nel cellulare “sequestrato dai carabinieri nello zaino di uno dei detenuti”. Ma la difesa di Carvajal sostiene che la voce appartiene a un funzionario di polizia, Luis Alarcòn, il quale prima avrebbe smentito di trovarsi sul luogo e in un secondo momento, invece, avrebbe ammesso di essere lì.

La pubblicazione di questi video, se in parte nel caso di Matias Rojas ha contribuito alla sua assoluzione, tuttavia è il segno più evidente dell’assenza di giustizia in questo paese.

Il giudice ha convocato una nuova udienza per il 13 dicembre, ma Lorenzo Morales, avvocato dei due giovani, assicura che continuerà a lottare per la libertà di Matias organizzando le prime iniziative già nei prossimi giorni, senza aspettare il 13 dicembre. Matias ha già trascorso troppo tempo ingiustamente nelle prigioni.

“Nel caso di Matias Rojas Marambio siamo di fronte a una sofferenza degna di una tragedia greca. È stato condannato a una pena ingiustificabile, ma grazie al fatto che questo prigioniero politico ha avuto l’audacia di venire a presentarsi, abbiamo spiegato le nostre ragioni al giudice e il giudice ha visto che la trattazione della causa si fonda su un equivoco. Mi sembra positivo che ci si sia accorti di questo aspetto. Chiederemo la revisione di questo caso e della relativa sentenza e faremo anche appello alla Corte Interamericana per i Diritti Umani” dichiara ancora l’avvocato all’uscita dall’udienza. “L’appello è pertinente e non solo per loro due: abbiamo 34 casi in cui andremo, non collettivamente, ma uno per uno, alla Corte Interamericana dei Diritti Umani. Alcune persone qui sono state imprigionate e oggi sono state assolte, ma hanno trascorso più di 394 giorni in custodia cautelare. Non è un caso da Corte Interamericana? Certo che sì”.

 

Cile: l’ora della gioia non è ancora arrivata

Era un mercoledì anche il 5 ottobre 1988, quando il Cile disse NO alla dittatura di Pinochet. Anche in quel caso la gioia che ci si immaginava non è sopraggiunta. Anche se di fatto la dittatura non era più la realtà di questo paese, il neoliberalismo e i Chicago Boys avevano lasciato tracce tali da non permetterle di tornare.

Boric oggi non è che un’altra immagine della democrazia di facciata instauratasi dopo la dittatura, una situazione che ufficialmente è indice di un ritorno alla normalità, ma ufficiosamente permette alle cose di rimanere come prima. E tutto ciò che rimane, come il problema dei prigionieri politici, è inghiottito dalla sua ombra.

“Matias è stato due anni in prigione a Santiago per l’incendio dell’hotel. Ha trascorso sette mesi agli arresti domiciliari. Abbiamo vissuto il processo. Nel primo processo è stato condannato per il 12 e il 14 novembre 2019. Quando abbiamo fatto appello alla Corte Suprema, i giudici lo hanno lasciato in lista d’attesa. Doveva esserci un’udienza per i fatti del 14. Lo Stato ha emesso un mandato di arresto senza senso. E quell’udienza. Ora siamo qui per consegnare mio figlio, ma lui non è un criminale”.

Quando vedo la madre di Matias dimostrare tanto coraggio, portando suo figlio davanti al tribunale, perché vuole che suo figlio “non sia un fuggitivo, un clandestino, e che possa vivere una vita e avere un futuro”, mi chiedo se persone come Boric, cresciute nel fasto di una famiglia borghese che fanno finta di essere di sinistra possano immaginare cosa significhi lottare per arrivare fino alla fine del mese per non morire di fame.

Non so più dove sia la sinistra.

Ricordo l’euforia esplosa dopo il 18 ottobre 2019. Alla fine c’era la speranza di tagliare i residui legami con le eredità della dittatura, che non era solo la repressione e i desaparecidos, ma era un sistema economico chiamato neoliberalismo.

Forse l’euforia e la speranza per un paese diverso erano già annegate nel fiume Mapocho quel famoso 14 novembre 2019, quando fu firmato l’Accordo per la Pace Sociale e la Nuova Costituzione. Quel giorno l’oligarchia borghese di sinistra si era assicurata la certezza di mantenere i suoi privilegi.

Sì, i suoi privilegi, perché ormai lottare per un mondo solidale non è più un ideale della sinistra, visto che molti, all’interno di questa stessa sinistra, si sono arrampicati lungo la scala sociale, si sono sistemati e ora non vogliono perdere i loro privilegi.

Il problema, forse, non è tanto che la destra non voglia che le cose cambino, è che nemmeno la sinistra lo vuole.

Per questo i suoi esponenti oggi silenziano le voci di chi ha partecipato alle mobilitazioni. Li dimenticano in prigioni oscure insieme a criminali comuni. Chiudono gli occhi.

L’ultima volta che sono arrivata a Santiago ricordo la Piazza della Dignità piena di bandiere, di gente, di sogni. Oggi è piena di auto, i semafori funzionano di nuovo, la luce è tornata nel Parco Forestale. Una luce cieca e gelida.

Alla fine, di quel bellissimo processo che fu la Rivolta Sociale rimane il fantasma di una statua e un ingresso della metropolitana chiuso, come il monito di qualcosa che ormai è diventato un pezzo da museo.

E mi chiedo: quando in questo paese la dignità sarà finalmente un’abitudine?

 

ELENA RUSCA, Santiago del Cile, 10 ottobre 2022, pubblicato nella NewsLetter di PuntoCritico.info il 14 ottobre 2022.

Foto: Elena Rusca

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CAT: America, diritti umani

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