Addio Washington Redskins, la squadra di football dovrà cambiare nome

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21 Luglio 2020

L’onda lunga delle proteste

È stata la primavera di Black Lives Matter. L’ondata di sdegno, mobilitazioni e proteste, anche violente talvolta, che ha caratterizzato la società americana a partire dall’uccisione di George Floyd, non è ancora terminata. I nostri media ne parlano meno spesso di qualche settimana fa ma gli States ancora ribollono.

Black Lives Matter on the street

A Washington, una gigantesca scritta Black Lives Matter è stata dipinta sulla sede stradale. Foto: The Washington Informer

Ciononostante, la risacca di questa ondata ha già prodotto vittime illustri. Da principio furono le statue e le effigi di personaggi storici legati al passato schiavista degli USA (e non solo, visto quel che è accaduto alla statua milanese di Indro Montanelli) a dover pagare lo scotto della rabbia dei manifestanti. Ritratti celebri sono stati deturpati, devastati, affondati e distrutti. Il sentimento antirazzista ha mostrato di non voler più perdonare nulla alla storia. In alcuni casi, lo ha fatto forse anche in maniera esagerata.

In seguito toccò all’arte, e pagarono alcuni classici di Hollywood come il celeberrimo Via col Vento, rimosso (temporaneamente) dal canale televisivo HBO a causa del razzismo del personaggio di Rossella O’Hara, la protagonista del film – interpretata da una sontuosa Vivien Leigh che vinse l’Oscar come migliore attrice protagonista per la sua prova. Rossella, naturalmente dato il periodo e il fatto di essere la figlia del proprietario di una piantagione, aveva in casa una schiava, Mami (interpretata da Hattie McDaniel, anch’essa premio Oscar per il suo ruolo di non protagonista nel film). Non che sia molto chiaro come una pellicola ambientata negli Stati Uniti del Sud, durante la guerra di secessione, avrebbe potuto evitare  di ritrarre il razzismo schiavista dei ricchi bianchi, ma tant’è, a quanto pare il network non ha trovato altro modo di sostenere le proteste se non quello di rimuovere dalla sua programmazione una pietra miliare della storia del cinema, capace di vincere 8 premi Oscar, due statuette speciali e una stanza di altri premi, oltre che di essere inserito al quarto posto nella top 100 dei migliori lungometraggi di sempre dell’American Film Institute. Come se non bastasse, sull’onda delle proteste, anche numerose canzoni sono state accusate di trattare temi razzisti o usare un lessico discriminante.

Infine, è toccato allo sport. Chi non segue il football americano della NFL, la prima lega sportiva mondiale in termini di pubblico ed incassi, magari non sa neanche chi siano i Washington Redskins o che cosa rappresentino. Lo chiariremo a breve. Per il momento, basti sapere che non si chiameranno più Washington Redskins, in quanto il nome della franchigia è stato ritenuto troppo razzista dagli sponsor della squadra.

I Redskins non si chiameranno più così

La squadra capitolina aveva il nome di una delle più celebri tribù di nativi americani – i pellerossa – da ben 87 anni. Numerose volte, prima di quest’anno, indigeni americani, i cosiddetti indiani, avevano chiesto che la franchigia cambiasse logo e nome. Ritenevano infatti offensivo l’utilizzo del nome e la stilizzazione del pellerossa sullo stemma della squadra. Si tratta di una di quelle svolte che potremmo definire clamorose, dovute alle proteste sollevatesi a seguito dell’assassinio di Floyd.

Tramite un annuncio pubblicato ad inizio luglio su Twitter, la società ha dichiarato che ritirerà il nome di franchigia e il logo. Prima dell’inizio della prossima stagione di football americano – in programma per il mese di settembre, COVID permettendo – saranno annunciati il nuovo stemma e la nuova denominazione.

Non che il cambio di nome per una franchigia sia una novità assoluta per gli sport americani, capita abbastanza spesso che una franchigia rilocalizzi (si sposti in un’altra città) e cambi il nome o decida di aggiornarlo per segnare un nuovo corso o, magari, l’ingresso di nuovi sponsor dal momento che queste leghe sono, principalmente e soprattutto, dei grandi business. Fa però specie che la decisione giunga da una delle franchigie più blasonate della NFL, la quale si era sempre opposta, con vigore ed orgoglio, alle richieste dei nativi di cambiare il proprio nome e logo. Che cosa è cambiato ora?

La minaccia degli sponsor

Il proprietario della franchigia, il facoltoso Dan Snyder, era stato molto netto nel 2013, quando gli venne chiesto se avesse mai considerato di cambiare il nome della squadra, perché ritenuto offensivo dai nativi, come si è detto. Snyder fu chiarissimo: non cambieremo mai il nome. Nel suo angolo sedeva anche Donald Trump, il quale ha sempre avallato questa decisione dell’amico Snyder. Sic transit gloria mundi, ora, 7 anni dopo quell’intervista, il proprietario della squadra di football della capitale ha ritrattato in toto.

Il riesame di nome e logo è stato annunciato a seguito della minaccia degli sponsor principaliFedEx in primis, dall’alto del suo ruolo di main sponsor e per i (tanti) dollari che inietta puntualmente nelle casse della franchigia – di ritirare logo e contributi nel caso in cui si sarebbe proseguito con questa denominazione.

I Redskins sono un pezzo di storia della NFL. Hanno disputato più di 1000 partite e hanno vinto cinque titoli. Eppure, anche loro devono piegarsi al volere di chi firma gli assegni. Dal lontano 1933, quando la franchigia aveva sede a Boston, la squadra ha avuto lo stesso nome della tribù dei pellerossa.

Un progetto per rafforzarci

Nell’annunciare la storica decisione, la squadra ha affermato che, indipendentemente dal nome, continuerà a restare fedele ai suoi valori sportivi – macchiati di recente da una brutta storia di abusi, sulla quale si sta indagando – e che il nuovo progetto rafforzerà la storia della franchigia.

Washington Redskins helmet

La nota del team recita: “Oggi annunciamo il ritiro del nome e del logo Redskins dopo il completamento del nostro riesame. Il proprietario, Dan Snyder, e il capo allenatore, Ron Rivera, stanno lavorando insieme per sviluppare un nuovo nome e un approccio progettuale che rafforzerà la posizione della nostra franchigia orgogliosa e ricca di storia. Ispireremo i nostri sponsor, i nostri fan e la nostra comunità per i prossimi 100 anni.” Ci auguriamo ci riescano. E magari questa volta senza coinvolgere alcuna minoranza nelle loro attività.

TAG: Black Lives Matter, Cultura, proteste, sport, usa
CAT: America, discriminazioni

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