Cile: quando la dignità diventerà un’abitudine?

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8 Novembre 2023

Nel 50° anniversario del colpo di Stato il “governo di sinistra” di Boric approva una legge che consente ai carabineros di sparare contro i manifestanti, mentre prigionieri politici e vittime della repressione del 2019 restano abbandonati a se stessi. Intanto la destra imprime il suo marchio sulla nuova bozza di Costituzione.

Dopo la bocciatura del precedente progetto nel referendum del 2022, lunedì 30 ottobre la sessione plenaria del Consiglio costituzionale eletto lo scorso maggio ha approvato la proposta di una nuova Costituzione. Ma stavolta, nel desiderio di “fornire al Cile una Costituzione che permetta di affrontare le emergenze primarie del Paese e di avviare quel processo di ricostruzione di cui crediamo il Cile abbia bisogno”, il Partito Repubblicano, l’estrema destra erede del pinochetismo, che esprime 23 dei 50 membri del Consiglio (contro i 17 della coalizione di Boric), chiede di votare a favore della proposta il prossimo 17 dicembre.

33 voti favorevoli, 17 contrari, nessuna astensione: l’approvazione del testo costituzionale segna la fine dei lavori dell’organo che aveva il compito di redigere il testo e apre le porte a un nuovo quadro giuridico, che dovrebbe riflettere le aspirazioni e i valori della società cilena, in nome dei quali molti cileni, dopo la Rivolta popolare del 18 ottobre 2019, sono stati assassinati, vittime di traumi oculari e torture.

Tuttavia, questa proposta costituzionale non sembra riflettere le richieste di coloro che erano scesi in piazza per protestare durante la Rivolta popolare del 18 ottobre 2019. Anzi, introduce un inasprimento delle pene contro l’immigrazione clandestina, facilita la proclamazione dello stato di emergenza e la conseguente limitazione dei diritti democratici più elementari e ostacola un ampliamento della legislazione sull’aborto.

Allora l’aumento delle tariffe della metropolitana fu la classica goccia che fa traboccare il vaso: gli studenti avevano deciso di manifestare, la popolazione aveva deciso di seguirli. Coloro che scesero in piazza chiedevano pensioni giuste, posti di lavoro dignitosi, sanità pubblica e istruzione gratuita. In quell’occasione non solo vennero messi in discussione lo Stato cileno e la sua Costituzione, ma anche il suo modello economico e politico, chiamato neoliberismo.

“Quello che si sta vivendo oggi è il risultato di numerosi problemi sociali e politici, gli studenti dicono che non si tratta dell’aumento di 30 pesos, ma degli ultimi 30 anni: correggo gli studenti, perché secondo me sono stati gli ultimi 46 anni e mezzo. Il punto di partenza di tutto questo è stato il colpo di stato e la successiva dittatura di Pinochet; perché la dittatura e la transizione alla democrazia sono due facce dello stesso modello economico e sociale, cioè del modello neoliberista”, aveva dichiarato lo storico Sergio Grez durante la prima settimana della Revuelta social.

Impossibile dimenticare che il Cile ha vissuto una delle dittature più sanguinose del mondo latinoamericano: più di 30.000 persone sono state vittime di rapimenti e torture. Di questi 2.298 sono stati uccisi e 1.209 sono risultati dispersi. Molte di queste storie non sono state ancora indagate. Quando, alla fine degli anni ’80, la dittatura ha iniziato a creare problemi etici agli affari e al libero scambio, la “transizione alla democrazia” è stata la soluzione individuata per eliminare quel “disagio”. Lì affondano le radici dell’attuale Stato cileno e della sua Costituzione.

La possibilità di cambiare il modello neoliberale è stata annullata con “l’Accordo per la pace sociale e la Nuova Costituzione” del 15 novembre 2019: lì si definivano le regole con cui sarebbe stata scritta la Nuova Costituzione. Un fallimento dovuto alla disinformazione e alla bocciatura di quello stesso accordo, che oggi ci conduce alla proposta costituzionale dei repubblicani: nulla a che vedere con la proposta iniziale.

Oggi, dopo la bocciatura della Nuova Costituzione l’anno scorso, le mobilitazioni popolari sono diminuite, ma non si sono fermate. D’altro canto, lo Stato ha continuato a rispondere con fermezza, mettendo in atto una dura repressione: la legge Naín Retamal, che autorizza i carabineros a ricorrere alla “legittima difesa” e a uccidere se necessario, è stata approvata il 5 aprile e aggiunge un’ombra oscura alla repressione delle proteste sociali.

Gli effetti dell’approvazione di questa legge sono evidenti. Durante la commemorazione del 18 ottobre un carabinero ha sparato in aria per intimidire un manifestante: circondato da più di tremila colleghi, davanti a un giovane studente che spingeva la sua moto… si sentiva in pericolo di vita.

Intanto restano in carcere i giovani imprigionati durante la Rivolta, molti dei quali sono assimilati ai prigionieri comuni. È il caso di Nicolás Piña, un ingegnere condannato a 10 anni per tentato omicidio.

Nicolás Piña è stato arrestato il 12 febbraio 2021, dopo aver partecipato a una manifestazione per la libertà dei prigionieri politici della Rivolta del 2019, senza sospettare che sarebbe diventato anche lui uno di loro. La madre, Paola Palomera, ha riferito che il figlio “è stato fermato con la violenza da agenti di polizia in borghese (i cosiddetti intramarchas), che lo hanno caricato su un veicolo privato e portato via senza fornire alcuna spiegazione”.

È stata l’attivazione del sistema di geolocalizzazione del suo cellulare a permettere ai familiari dell’ingegnere di conoscere la destinazione del veicolo: il 33° Commissariato dei Carabineros. È la “prova” che l’intramarchas ha fatto condannare Nicolás Piña per un crimine che non ha commesso.

I giovani prigionieri della Rivolta non sono gli unici giovani in attesa di un’azione riparatoria da parte dello Stato: la settimana scorsa si è suicidata la quinta vittima di trauma oculare perché colpita in faccia da un proiettile sparato dalla polizia. La mancanza di assistenza fa sentire le persone isolate e dimenticate. “Nel governo Piñera è stato creato il programma Piro, un piano di riparazioni gestito in modo pessimo. Adesso, sotto il governo Boric, si chiama Pacto: il programma ha solo cambiato nome e sede ma resta sempre carente. In questo periodo sto cercando lavoro, ma non dico che sono disabile, perché potrei avere problemi per aver partecipato alle proteste: noi stessi taciamo e nessuno ci sostiene”, denuncia una delle vittime di trauma oculare.

“In un certo senso, ciò che stiamo vivendo è il risultato dell’adattamento del centrosinistra (Democratici Cristiani, Socialisti e Partito per la Democrazia) alla Costituzione del 1980 (ereditata dalla dittatura) e al modello neoliberale. La destra, per ovvie ragioni, e il centrosinistra, assimilato alla logica neoliberale, hanno migliorato i propri redditi (in particolare parlamentari e alti funzionari) e hanno progressivamente svuotato la politica di contenuto ideologico. Una questione ancora irrisolta e alla radice dei problemi attuali, che non potranno essere risolti fino a quando non ci sarà un cambiamento radicale”, sono le conclusioni dello storico Mario Garcés.

 

Pubblicato sulla NewsLetter di PuntoCritico.info del 7 novembre 2023.

TAG: #ddhh, #pinera, america, americalatina, Boric, Chile, dittatura, Mapuche, onu, Pinochet
CAT: America, Geopolitica

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