Finchè i leoni non avranno i loro storici, noi avremo sempre e solo storie di cacciatori (proverbio africano)
Se Kamala Harris vincerà le prossime elezioni americane avremo il primo presidente donna della storia della nazione a stelle e strisce.
Sarà una pagina nuova per questo paese che ha compiuto grandi imprese tecnologiche, finanziarie, industriali, militari, sportive e ha conosciuto stagioni di disubbidienza a norme e consuetudini che hanno segnato altrettante pagine di progresso: nella libertà e nei diritti civili e sociali.
E di queste trasgressioni molte hanno visto protagoniste donne di grande coraggio.
Pongo una data arbitraria come inizio di questa storia: martedì 5 novembre 1872: ha luogo la 22ª tornata elettorale presidenziale. Il vincitore sarà Ulysses Grant, il generale eroe della guerra di secessione, repubblicano, che vedrà così confermato il suo secondo mandato.
Il suo avversario è Horace Greeley sostenuto dal Partito repubblicano liberale e dal Partito democratico.
Può capitare tranquillamente di imbattersi in resoconti di quella sfida (ad esempio qui) che neppure raccontano che era candidata anche la prima donna della storia delle elezioni presidenziali americane: Victoria Clafin Woodhull.
Prese una manciata di voti. Nessun voto femminile perché le donne non avevano ancora il diritto di voto (arriverà nel 1920). E neppure ebbe il suo di voto perché qualche giorno prima delle votazioni era stata arrestata.
In quel momento Victoria, con la collaborazione della sorella, era l’editore e il direttore di un settimanale di informazione il Woodhull and Claflin Weekly che si occupava di argomenti come l’eguaglianza e l’educazione sessuale, l’amore libero, l’occupazione femminile e il diritto di voto.
Victoria era stata arrestata perché aveva raccontato i dettagli di un adulterio compiuto da un pastore che aveva pubblicamente contrastato le sue idee sull’amore libero. Con la pubblicazione della storia, Victoria intendeva smascherare l’ipocrisia del reverendo e la repressione morale del suo tempo.
Lei intanto aveva già due matrimoni alle spalle e altre varie storie d’amore.
In occasione della Convention per la nomination, il 10 maggio 1872, alla Steinway Hall di Boston, aveva chiarito in tempi in cui il divorzio era ancora considerato uno scandalo: “Sì, sì, io ho il diritto naturale, inalienabile, di amare chi voglio, quando voglio, per il tempo che voglio. È tempo di esigere la nostra libertà. Noi dobbiamo disporre del nostro cuore e del nostro corpo. Ben presto cadrà il giogo che gli uomini ci hanno messo sul collo”.
Prima di entrare in politica era assurta a una certa celebrità per la sua professione di medium che l’aveva promossa ad un ruolo di rilievo nel movimento dello spiritismo contemporaneo, ma la sua fama divenne nazionale per i suoi egregi risultati finanziari, prima donna broker della storia americana.
Per i suoi successi e per la novità delle sue battaglie si era guadagnata l’accusa di possessione demoniaca (niente di nuovo).
Gli Stati Uniti erano in quegli anni un cantiere in gran fermento.
Proprio la guerra di secessione, con i mariti al fronte, aveva esaltato il ruolo femminile nella famiglia e nella società e ne aveva promosso il protagonismo. La sconfitta degli Stati confederati secessionisti e l’abolizione della schiavitù avevano riaperto il dibattito sui diritti e l’uguaglianza della popolazione afroamericana e anche delle donne.
Va ricordato (proprio per spiegare i tempi) che in ticket con Victoria come vicepresidente, alle elezioni presidenziali, era stato designato Frederick Douglass, ex schiavo e fiero sostenitore della battaglia per i diritti e l’abolizionismo.
In una sola dichiarazione c’è tutto l’impegno di Victoria: “Mentre gli altri pregavano perché arrivasse il momento giusto, io lavoravo per ottenerlo”.
La sua vicenda ha ispirato negli Stati Uniti generazioni di femministe. A dimostrazione del fatto che quando disubbidisci alla paura, la libertà è un contagio inarrestabile.
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