Milano, 20 anni e 12 milioni di euro per un’aula bunker incompiuta

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16 Marzo 2015

Quando iniziarono a progettarla, Michael Johnson bruciava ogni record alle Olimpiadi di Atlanta e Antonio Di Pietro decideva di entrare in politica. Correva l’anno 1996. A Milano, sull’onda lunga di ‘Tangentopoli’, si pensava in grande con la costruzione di un’aula bunker vicino al Carcere di Opera dove celebrare i maxi processi. Diciannove anni, molti appalti, molti milioni in lire prima e in euro dopo, quel progetto è diventato un osceno prefabbricato in calcestruzzo a cui si sta cercando con fatica di ridare una dignità. La Procura Generale di Milano e la Corte d’Appello hanno presentato un esposto alla Corte dei Conti e uno alla Procura della Repubblica per capire cosa sia successo.

Opera è un comune appena fuori Milano, famoso per il suo carcere che vanta il maggior numero di detenuti con l’arcigno regime del 41 bis ed è fra i più vasti in Italia. Il progetto elaborato dal Provveditorato lombardo alle Opere Pubbliche prevedeva di affiancare alla prigione, costruita negli anni ’80, un edificio con un interrato riservato alle celle e due piani in grado di contenere due aule bunker e le camere di consiglio con bagni annessi. L’area destinata all’iniziativa è la verde campagna attorno al centro abitato dove scorrono ameni fontanili, un dettaglio che non verrà tenuto in giusto conto nel piano originario. La grandeur iniziale porta ad immaginare anche un parcheggio e una strada lunga circa 300 metri che consentano ad avvocati, magistrati, forze dell’ordine e pubblico di raggiungere il bunker.

All’epoca il costo dell’intervento viene valutato in 12 miliardi e 644milioni lire, compresi gli oneri di esproprio e urbanizzazione (marciapiedi, linea telefonica, reti di collegamento fognario). Si parte a rilento con la prima pietra posata solo nel 1999 e si va avanti peggio. Sorgono problemi di varia natura con le imprese che si sono aggiudicate i lavori e nel 2002 viene stipulato un nuovo contratto di appalto. La Commissione di manutenzione della Corte d’Appello di Milano e il Provveditorato ritoccano il progetto, eliminando una delle due aule bunker previste per fare spazio a una zona archivio. Nel 2006 la direzione dei lavori comunica che entro un paio di mesi sarebbero stato completato il primo lotto ma esige un altro finanziamento di 5,5 milioni di euro. L’epilogo dei lavori viene spostato all’inizio del 2010.

Il Ministero di Giustizia sborsa la somma richiesta mettendola a a disposizione del Provveditorato che, a luglio 2011, annuncia un ulteriore ritardo nel completamento dell’opera. C’è un intoppo non da poco. I locali sottoterra si sono allagati a causa dell’innalzamento della falda freatica e una perizia accerta che i lavori non potranno essere completati prima del giugno 2012. Troppo ottimismo. Una delle due imprese impegnate nel cantiere va in liquidazione volontaria e le bizze della falda provocano infiltrazioni d’acqua dal tetto del solaio. Caos. Una seconda perizia dimostra che l’impermeabilizzazione del tetto eseguita a suo tempo non è più idonea. A novembre 2013 la società che sta portando avanti i lavori, una ditta veneta, stila un elenco delle opere ancora da realizzare e rassicura la Corte d’Appello che non ci sarà bisogno di nuovi finanziamenti. Previsione smentita perché sei mesi dopo sembra emergere la necessità di denaro fresco.

Finalmente qualcuno a Palazzo di Giustizia decide di interessarsi della vicenda. Nella primavera del 2014 alcuni magistrati effettuano un sopralluogo del cantiere insieme ad altri magistrati. L’esito è drammatico: il cantiere appare abbandonato e le opere portate a termine sono in stato di degrado. «Io sono arrivato nell’aprile del 2012, questa cosa era già qua». Pietro Baratono, responsabile delle Opere Pubbliche in Lombardia, ha l’aria sconfortata di chi si è trovato sulla scrivania un dossier tremendo, ormai compromesso da troppi pasticci. «Questo appalto – spiega – è nato male, ‘diviso‘ in due, con gare all’inizio solo per le strutture dell’opera e poi con altre gare per il resto. Quindi, senza una visione unitaria. Sicuramente ci sono delle responsabilità anche nostre, ma le diverse esigenze dell’ente usuario che si sono manifestate nel tempo non hanno aiutato». A un certo punto i magistrati, sottolinea «hanno chiesto anche di aggiungere gli alloggi per dormire in vista di possibili camere di consiglio che durino più giorni». Ricapitolando: il progetto attuale prevede le celle nel seminterrato e ai due piani un’aula bunker, un archivio, due camere di consiglio con annesse otto stanzette per i magistrati qualora le riunioni per le sentenze dovessero protrarsi. «Ora i lavori dopo un periodo di sospensione per effettuare le perizie sono ripresi – garantisce Baratono – e per luglio 2015 ho promesso al Presidente della Corte d’Appello Canzio che sarà tutto pronto».

L’abbaiare furioso dei cani nel recinto del carcere accoglie il nostro avvicinamento al cantiere dell’aula bunker. È un lunedì mattina di inizio febbraio, sono le nove e mezzo. Per arrivarci camminiamo per qualche minuto nell’erba resa fangosa dalle piogge degli ultimi giorni. Della strada vagheggiata nel progetto iniziale che dovrebbe permettere un facile accesso all’aula non c’è traccia. Ecco la nostra opera, la conosciamo che è già maggiorenne da un pezzo. Una colata cupa e senza grazia di calcestruzzo, il colore che ci si immagina per il più sordido dei luoghi di dolore. Non si vede nessun operaio al lavoro, né ci sono segni del passaggio recente di qualcuno. Cumuli di rifiuti, un tavolo arrugginito, due taniche per terra, solo una betoniera azzurra ravviva il paesaggio di per sé già non allegro ma intristito ancor più dalla costruzione che affianca il carcere.

L’impresa che segue i lavori da un paio d’anni non risponde né al telefono né via email. Torniamo al cantiere una radiosa mattina di marzo. Oggi si lavora. Ci intrufoliamo in quello che appare un enorme labirinto con scarsa logica nella divisione degli spazi, dove si sono affastellati gli interventi confusi di chi ci ha messo le mani in questi anni. La ditta che ci sta lavorando, grazie a un affidamento diretto, è animata da buoni propositi ma più di tanto non può fare (“Dieci anni fa un lavoro così non l’avrebbe preso nessuno, ma ora con la crisi…”, confessa una persona presente sul cantiere). L’aula destinata ai processi, il cuore del progetto, sembra quasi finita. C’è una stranezza, però. Il pubblico e i cronisti potranno assistere alle udienze da una specie di acquario sopraelevato con un separé di vetro che non renderà agevole capire cosa succede di sotto. Il grande archivio con tetto fatiscente è ancora vuoto, a breve dovrebbe partire la selezione tra le imprese che vorranno arredarlo. Sconvolgente la visione delle celle nella stanza sottoterra. I detenuti in attesa di giudizio saranno ammassati in pochi metri quadri, una bolgia oscura dentro gabbie arrugginite dal tempo a cui non basterà una mano di vernice bianca per tornare nuove, se non nell’apparenza. I quadri elettrici sono vecchi, ma ci viene assicurato che funzionano.

Gabbie detenuti - Aula Bunker di Opera

 

L’umidità ha aggredito i muri, chissà cosa ne penserà l’ente che dovrà valutare le condizioni igienico sanitarie. Quelle umane, se dovesse esaminarle la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, costerebbero all’Italia l’ennesima sentenza di condanna. Anche ai piani alti, ai quali si accede attraverso una scala tortuosa, c’è ancora molto da fare per rendere presentabili le stanze per i giudici. Un signore ci spiega che dovrebbe anche essere costruito un parcheggio con “un centinaio di posti auto”, mentre il progetto della strada pedonale per dare un acceso autonomo al bunker è stato eliminato perché non è stata espropriata l’area sulla quale era prevista. Quindi per entrare non resta che passeggiare tra i campi oppure passare dal carcere.

Quando Michael Johnson era l’uomo più veloce del mondo, a Milano si celebravano molti maxi processi, oggi quasi nessuno; gli archivi erano pieni di carta, adesso si cerca di digitalizzare qualsiasi cosa. L’Italia era un paese ancora florido, con tanti soldi da mettere a disposizione della giustizia. Oggi è utile finire quest’opera? Sull’archivio a Palazzo c’è chi dice che servirebbe, chi no. Di certo i costi di manutenzione per celle, aula bunker, alloggi per i giudici sarebbero esorbitanti e forse non sostenibili coi pochi denari assicurati alla giustizia. Si potrebbe ripensare alla funzione di questo edificio, utilizzandolo solo come archivio o per attività meno dispendiose. L’inchiesta della Procura di Milano non potrà portare a nulla perché eventuali reati sarebbero già prescritti, resta invece aperta aperta la possibilità per la Corte dei Conti di identificare danni alla collettività. In ogni caso, il giorno che tutto sarà finito qualcuno dovrà scusarsi per questi 19 incredibili anni.

 

Nella foto di copertina, l’Aula bunker in costruzione nei pressi del Carcere di Opera (Milano) 

TAG: Aula bunker di Opera, Carcere di Opera
CAT: appalti e concessioni

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