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Urbanistica

Le case che saremo. Abitare dopo il lockdown

di Letture e Libri
22 Aprile 2020

(Pubblichiamo un estratto del libro “Le Case che saremo”, di Luca Molinari, scaricabile gratuitamente sul sito dell’Editore Nottetempo)

Che giorno è oggi?
Fuori c’è un silenzio denso. Mi affaccio alla finestra e osservo alcuni vicini nei loro balconi: sulle sdraio a prendere il sole, affaccendati in piccoli lavori domestici o a sistemare le piante, il vaso di spirea, quello dei ciclamini, l’acero infuocato. Il suono di una musica allegra fluttua leggero nell’aria insieme al cinguettio degli uccellini e al raro passaggio di un tram. Lungo la giornata c’è chi usa gli spazi assolati per organizzare un pranzetto all’aperto, chi assembla un inatteso dj-set lanciando compilation che tutti ascoltano sorridendo, senza che nessuno osi lamentarsi del baccano. C’è chi prende il caffè sporgendosi sul davanzale per scambiare quattro chiacchere con i dirimpettai e chi, invece, si lascia andare sul lettino a una pennichella salutare. Sembra una domenica di prima estate, con quella sensazione di sospensione che ti avvolge e rende spensierati. Ma non siamo a fine giugno.
Oggi è martedì 7 aprile 2020 e la città non è silente perché riposa. È deserta come conseguenza del più grande lockdownnella storia dell’umanità che vede al momento quasi quattro miliardi di persone chiuse in casa.
Le metropoli sembrano essersi vaporizzate, ci appaiono come scena fissa dalle nostre finestre o come cartoline di luoghi monumentali perfetti nella loro silenziosa spettralità.
Le città sembrano essersi ritirate, sottratte all’uso abituale per cui sono state create, quasi un negativo paradossale delle migliaia di abitazioni in cui siamo costretti a vivere.
Quando pubblicai “Le case che siamo” nel 2016 la questione domestica appariva come una condizione poco indagata, quasi anomala; la nostra attenzione era posta incessantemente sugli spazi pubblici e la loro metamorfosi sotto la spinta di una crescita vertiginosa della vita metropolitana su scala planetaria.
Adesso, dopo settimane di quarantena e più di metà dell’umanità obbligata a restare nella propria casa, le prospettive sono cambiate radicalmente. Non c’è angolo della casa che non sia stato raccontato, indagato, illustrato da decine di narratori di varia disciplina costretti a fermarsi nella propria abitazione e a condividere pubblicamente i mondi che tutti stiamo vivendo e subendo.
Emergono autoritratti domestici ossessivi che ondeggiano dall’odio assoluto per le mura di casa alla riscoperta della tana nascosta, dalla voglia di far esplodere soffitti al desiderio carnale di un balcone, passando per l’ode di ogni crepa scoperta nel muro e della luce filtrata da una finestra.
Quante case scritte/descritte in queste ultime settimane, anche se la maggior parte delle volte sembrano più proiezioni di quei luoghi esterni che ci mancano sempre di più!
La casa in questi giorni è un micro-mondo in ci siamo obbligati a stare e di cui ci stiamo prendendo cura come mai era accaduto, utilizzando balconi prima abbandonati, razionalizzando spazi e risorse, imparando a misurare gli spazi di convivenza in più persone, facendo pulizie con l’ossessione tipica dei reclusi, scoprendo dettagli e potenzialità dei luoghi minimi che prima non vedevamo.
La casa è diventata un labirinto della mente, che prima era quasi totalmente assorbita dalla vita in quelle città che oggi possiamo solo guardare dalla scena fissa della nostra finestra.
E questo sta diventando un problema serio, perché dimostra come questa condizione sia completamente innaturale per noi, da millenni abituati a essere abitanti da esterno, malgrado flagelli, pesti, guerre e catastrofi di ogni genere.
I confini che delineano la nostra vita in questi giorni si sono sovrapposti a quelli fisici della proprietà immobiliare e a quegli spazi limitrofi che appaiono consentiti, come il giardino per i più fortunati, il cortile sotto-casa o lo studio nelle vicinanze. Ogni spostamento in quei luoghi consentiti è accompagnato da un brivido del proibito che non avevamo mai conosciuto prima.
Siamo tornati a una dimensione di privacy integralista, che ci difende da quello che di potenzialmente pericoloso si annida in chiunque non sia strettamente familiare, e c’è anche chi ha affetti prossimi chiusi nella stanza adiacente, in una condizione di separazione dolorosa dettata da necessità sanitaria e paura.
Appare magicamente annullato con effetto immediato tutto quello che sembrava stesse cambiando i paesaggi metropolitani globali attraverso una “shared economy” fatta di airbnb, uber, locali con wi-fi e co-working/housing/living diffuso. È la parola “shared” che oggi c’inquieta in un tempo nuovo, dove l’idea condivisa e obbligata di “distanza sociale di sicurezza” sembra diventare la nuova misura assoluta della nostra futura vita urbana. La condivisione, la promiscuità, il bastardo lavoravano sull’annullamento dei confini e s’innestavano sul concetto sempre più accettato di comunità fluida, ma adesso che l’aria e l’invisibile ci terrorizzano come potremo lavorare sull’idea di “distanza” senza perdere definitivamente la conquista delle vicinanze con persone e collettività affini?
Molti degli scenari ipotizzati su come avremmo abitato in futuro potrebbero essere azzerati, o almeno mutati, rispetto a una percezione forse superficiale che avevamo del mondo attuale e dei suoi possibili cambiamenti.
Ma c’è molto di più. In questi ultimi anni si profetizzavano mutazioni che avrebbero quasi cancellato la casa per come noi la conosciamo, dalla repentina scomparsa delle cucine, passando alla compressione radicale dei metri quadri a disposizione in cui ogni manufatto poteva comparire e scomparire in un attimo, fino a inaugurare una visione sempre più nomadica dell’abitare.
La separazione tra casa/monade, autonoma e separata, microcosmo privato e circoscritto opposta a una metropoli apparentemente infinita e senza margini sembrava stesse sfibrandosi, portando i due mondi a fondersi progressivamente. Molti luoghi pubblici cercavano sempre di più di apparire domestici, caldi, accoglienti erodendo i confini delle abitazioni, microspie di un’urbanità sempre più pervasiva.
Ebbene, tutte queste profezie potrebbero subire cambiamenti radicali sotto la spinta di una condizione mai sperimentata prima nella storia dell’umanità.

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