L’arca misantropica
Il mare e il cielo, l’eterno sfiorarsi, l’infinito flirt tra due entità fondamentali del creato. E, tra loro, la presenza umana, perennemente ostaggio della passione tra nubifragi e mareggiate, pioggia e schiuma, infinità e profondità di azzurri e azzurrognoli, verdi e verdastri. L’amore che tutto può, tutto affronta, tutto vince, emerge dagli abissi, dai fondali marini, si muove tra le alghe e i cespugli per venire su, ancora su, sempre più su, fino a lasciarsi trasportare dalle onde e giungere a riva per mescolarsi ai granelli di sabbia, o infrangersi sugli scogli. E, sia che dia luogo a spiagge amorose, o si lasci morire sulla pietra per rivivere in un cuore, quell’amore avrà da scegliere le persone in cui abitare per sempre.
Per quanto bizzarro possa sembrare la natura ha i suoi ormoni, e la tempesta è l’atto impazzito di un desiderio irrefrenabile, il segno di una passione incontenibile, l’apoteosi di elementi in fermento. All’uomo è dato osservare la gioia fenomenica della natura, da voyeur! Giammai farne parte, se non per finirne disperso nel culmine vorticoso. L’amore nasce a ogni tempesta, quando il cielo si abbassa per avvicinarsi al mare, per unirsi a lui, inghiottendo qualsiasi cosa si trovi nel mezzo. E, io mi ci son trovato, per meglio dire ho raccontato di essermici trovato, che è ancora più pericoloso che trovarcisi davvero. Il mio Io narrante, dunque non vagante e men che meno ansimante, ha esplorato il terrore e la paura, in un beffardo alternarsi di speranza e rassegnazione.
Lo ha salvato l’arca misantropica, una vecchia barca in legno, che ha retto agli urti delle onde, ogni volta più violenti, sotto un cielo striato che si poteva quasi toccare. Quell’imbarcazione demodé ha saputo condurre in salvo una povera anima e l’amore indocile da essa contenuto. “L’arca misantropica”, dipinta o narrata, racconta una tempesta che contempla presenze umane all’interno del suo mulinello passionale, scaraventate oltre l’ovvietà del racconto e la costruzione di una storia. E questa è solo la scena di un romanzo che ancora non c’è.
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