Muri che fanno fatica a cadere

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27 Febbraio 2018

Un utente su un social si lamenta che il Ministro Minniti mentre visitò una moschea indicò anche che l’Islam è compatibile con la Costituzione. All’obbiezione che fin tanto che i mussulmani non si vogliano richiamare ad istituti incompatibili con l’ordinamento italiano, come la poligamia o le pene corporali, anche la loro religione è compatibile con l’articolo 3 della nostra Costituzione, un altro utente replica che la norma in questione parla di “razza”, sottintendendo che non sarebbe incompatibile contrapporre la “difesa della razza bianca” ad una ”invasione arabo-africana”, come ha avuto l’incongruità di affermare un candidato che qui non si nomina per non fargli pubblicità. All’indomito internauta non c’è che controbattere che l’articolo 3 esplicitava, con scelta lessicale magari inopportuna, il rifiuto dell’esperienza delle leggi del ’38, per specificare appunto che non c’è una “razza” migliore di un’altra.

A ribadire tutto questo che pare ovvio, ma a giudicare dagli scorci di dibattito preelettorale sul social poc’anzi delineati evidentemente non a tutti, cade a pennello il lavoro dell’artista israeliano Eran Shakine in mostra ora, dopo Berlino, a Monaco di Baviera e che dovrebbe imprescindibilmente venire riproposto anche in Italia. Dal 2006 l’artista israeliano, che vanta una padronanza di diverse tecniche, ha incominciato a concepire tele ad olio, schizzi, sculture ed anche animazioni, nelle quali un trio di figure stilizzate pressoché identiche, tutte con barba e cilindro, rappresentano un mussulmano, un ebreo ed un cristiano che si interrogano insieme sul senso della vita. Figure identiche perché spiega, ed in effetti anche questa dovrebbe essere un’ovvietà a chiunque, nasciamo tutti uguali, le differenze tra le religioni sono poi imposte ed acuite dalla politica; se la religione è motivo di divisione o no dipende tuttavia dall’individuo. Se si sfoca tutto quello che ci divide per effetto di una rigida lettura religiosa, abbiamo tutti la stessa esigenza di essere felici. Shakine non intende ridere della religione, bensì delle condotte umane, chiarisce. Nei sui disegni coglie gli interrogativi dell’uomo ai quali aspirano dare risposta tutte le tre grandi religioni monoteiste dipingendone i tre rappresentanti come un trio alla ricerca della felicità. Nelle sue tele si incontrano così tre uomini che investigano insieme per mera curiosità la vita, la filosofia, la natura, la cultura, senza dover dimostrare l’un l’altro alcunché. Sono tre testimoni di eventi storici, o dipinti mentre incontrano personaggi come Budda o Mosè, ma nessuno prende in giro gli altri. Quella di Shakine è piuttosto una visione scanzonata contro gli stereotipi.

 

 

Eran Shakine confessa di non essere un ebreo osservante. Crede che l’arte possa avere un ruolo sociale e possa cambiare le menti degli osservatori. Anche se ammette che forse è naïve pensarlo, perché l’arte ha un suo modo di presentare le cose, ma poi solo gli uomini possono migliorare il mondo. Dice che il suo lavoro è solo un interruttore e si augura non ferisca nessuno. Spiega il senso della sua opera indicando di essere ossessionato dalle notizie di attualità e di leggere diverse fonti cercando la verità, sapendo tuttavia che alla fine naturalmente non raggiunge mai la verità assoluta. Così come gli è chiaro che sia gli artisti che l’arte stessa possono sia manipolare che essere manipolati. Con la sua opera Shakine vuole offrire uno specchio della cultura e della società contemporanee; sottolinea d’altronde che l’arte è sempre uno specchio del suo tempo e le opere d’arte sono valide solo qualora persone diverse in epoche diverse ne traggono un significato, seppure magari differente rispetto a quello originario voluto dall’artista, altrimenti diventano irrilevanti.

 

 

A Monaco, a differenza della precedente mostra a Berlino, i suoi lavori sono fatti risaltare presentandoli sullo sfondo di pareti nere e vengono affiancate anche esecuzioni con soggetti simili, ma realizzate con tecniche diverse. Si evidenzia così che se all’inizio l’artista usava solo bianco e nero, col tempo ha aggiunto anche l’impiego del colore. Shakine delinea le sue figure con tratti molto rapidi, lo si coglie anche nella proiezione di un video mentre lavora su una scala di fronte alla tela ed emerge poi anche in cancellature evidenti, per lo più nei titoli in calce alle opere. Al riguardo l’artista spiega che talvolta le parole gli vengono in mente solo dopo aver fatto un disegno, ma non sempre subito è contento. Un esempio se ne coglie nel pastello ad olio ed acrilico su tela intitolato “Un mussulmano, un cristiano ed un ebreo. Se non c’è un fondamento nella conoscenza, crediamo di conoscere le verità perché gli altri ce le ripetono?” in cui i tre uomini siedono insieme in una barca a remi, con tre visibili cancellature.

 

 

In un altro lavoro intitolato “Un mussulmano un cristiano ed un ebreo improvvisamente vedono le cose diversamente”, invece i tre uomini si specchiano in fila in bagno e le superfici riflettono “vuja de” che non è stato corretto, pur essendo un anagramma e non un riflesso speculare della scritta alle loro spalle: dejà vu.

 

 

Nato nel 1962 a Jaffa, entrambi i genitori di Eran Shakine, il padre francese e la madre ungherese, dei sopravvissuti alla Shoà. La madre era ella stessa una disegnatrice di tessuti ed ha trasmesso al figlio la passione per la pittura. Un fratello più giovane di diversi anni, Eran Shakine è cresciuto praticamente come un figlio unico ed ha quindi frequentato studi d’arte, senza però conseguire il diploma finale ma facendosi invece le ossa sul campo a Londra, New York e Parigi. Oggi vive a Tel Aviv, ma in realtà è sempre un viaggiatore indefesso. Attratto soprattutto dalla public art i suoi lavori più recenti sono apparsi a New York ed a Budapest. Qui “la ragazza di Buda” una gigantesca figura femminile dorata resterà da ammirare fino al 30 novembre a Széchenyi Square. Dal 2016 poi una sua scultura metallica permanente intitolata “You and Me” -un uomo ed una donna in piedi di fronte l’un l’altra ai due lati opposti di un’altalena che compie un ciclo di movimento in 8 ore e che grazie ad un giroscopio restano permanentemente in equilibrio- spicca coi suoi 8 metri di altezza e 20 di lunghezza in una piazza del centro di Varsavia. Shakine afferma che raramente espone in un museo, ma in effetti dalla sua prima mostra del 1987 nella galleria Givon Fine Arts di Tel Aviv, le sue opere oggi fanno parte di diverse collezioni: al British Museum all’Aachener Suermondt-Ludwig Museum, e naturalmente nel Museum of Art di Tel Aviv e l’Israel Museum a Gerusalemme, oltre che in numerose raccolte private.

L’eclettico artista israeliano ha acquisito notorietà internazionale anche grazie ad altre serie di opere, rabbini, uomini famosi, figure femminili, con le quali ha affrontato temi come la convivenza dell’anima laica e di quella religiosa in Israele e l’impossibilità di sfuggire dalla propria identità ebraica nella diaspora. Artista multi-talentuoso egli appare attento anche al marketing presentandosi all’inaugurazione della mostra di Monaco con una maglietta con uno dei suoi disegni, venendo accolto da parte dei presenti con applausi come una star. La freschezza del tratto alla base del suo lavoro e la validità dell’idea all’origine di questo nuovo filone d’altronde giustificano una tale manifestazione di encomio entusiasta. Il suo approccio verso la fratellanza religiosa, confida Shakine, è influenzato senz’altro dall’esperienza della vita in Israele dove i contatti individuali tra arabi ed israeliani sono migliori della realtà politica. Gli si attribuisce d’altronde di aver detto che in Medio Oriente si vive come nell’occhio di un ciclone, come se si cercasse di condurre una vite normale stando sul cratere di un vulcano. In un’intervista ha ripercorso di aver vissuto cinque guerre arabo-israeliane, la prima ad appena sei anni, contornate da attentati suicidi ed insicurezza, ma anche di aver viaggiato ed incontrato persone amichevoli in località in cui oggi è pericoloso avventurarsi, traendone in un suo giudizio politico, che così potrebbe non essere se ci fosse più rispetto l’un l’altro.

 

 

Da bambino mentre era nel rifugio sotto casa lesse “Il giro del mondo in ottanta giorni” di Jules Verne e fu affascinato dall’interesse per la posizione dell’uomo nel cosmo, ha raccontato l’artista israeliano. Ha poi costruito il suo stile, indica, unendo un tratto nel disegno ispirato a quello di Tim e Struppi di Hergés ad una grafica stimolata da quella del giapponese Katsushika Hokusai, unendoli altresì a spunti tratti dalla propria passione per l’antichità, ed in particolare per le ceramiche greche, ed impressioni raccolte dalla street art newyorkese di Jean-Michel Basquiat e Keith Haring.

 

 

La mostra a Monaco “Un mussulmano, un cristiano ed un ebreo bussano alla porta del paradiso” raccoglie nei piccoli spazi del Museo Ebraico della città una serie non troppo vasta di lavori, una quarantina in tutto, che resteranno esposti fino al 21 ottobre. Al catalogo con illustrazioni solo in bianco e nero edito da Hirmer Publisher, il museo affianca anche attività didattiche. Eran Shakine riferendo delle reazioni registrate in esito alla edizione precedente nel museo ebraico di Berlino, ricorda che sui social media ci furono anche alcuni mussulmani che gli mandarono decine di pagine del Corano per sottolinearne la chiave di lettura corretta, ma che quelli che ha incontrato e con i quali ha avuto un dialogo diretto hanno compreso l’anelito del suo lavoro. Per contro, soggiunge, un ebreo americano, si inalberò rimarcando che non fosse giusto che una mostra simile si facesse solo in una realtà ebraica e che anche gli arabi avrebbero dovuto accoglierla e dire che siamo tutti uguali. Shakine soggiunge poi che il visitatore si era impegnato a promuovere il suo lavoro presso un museo in Qatar con il quale vantava di avere dei contatti, ma di non averne mai più sentito nulla. Aggiunge che lui invece sarebbe felice di esporre i propri lavori sui tre uomini con la barba ed il cilindro ovunque, anche nei Paesi Arabi. L’esposizione attuale d’altronde avrebbe dovuto comparire nella Katholische Akademie della capitale bavarese, rivela l’artista israeliano, ma non sa come mai non è stato possibile, e sorride “forse funzionerà in futuro”.

 

 

C’è da augurarsi che anche l’Italia, attraversata da risentimenti e paure verso gli immigrati – comprensibili all’eco degli attentati islamisti ed altri episodi criminali in altri Paesi europei, ma non giustificabile prendano corpo in un astio onnicomprensivo verso tutti i mussulmani – accolga la trasposizione dell’anelito di quotidiana fratellanza universale che scaturisce dalla grafica immaginifica dell’artista israeliano.

 

 

Immagine di copertina: Manifesto della mostra “Un mussulmano, un cristiano ed un ebreo bussano alla porta del paradiso” di Eran Shakine; foto dell’autore.
Immagini nel testo: Varie opere di Eran Shakine e l’artista stesso; tutte foto dell’autore tranne che per l’ultima e la terz’ultima tratte dal catalogo della mostra, casa editrice Hirmer.

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TAG: Eran Shakine, Un mussulmano un cristiano ed un ebreo bussano alla porta del paradiso
CAT: Arte

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