Umanità dissociata

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25 Marzo 2022

“La caratteristica essenziale dei Disturbi Dissociativi è la sconnessione delle funzioni, solitamente integrate, della coscienza, della memoria, dell’identità o della percezione dell’ambiente” (American Psychiatric Association, 1994)[1].

Nella dissociazione i contenuti non sono relegati nell’inconscio ma “si suppone possano esistere in parallelo, in una specie di co-consapevolezza, oppure si può pensare che siano accessibili alla consapevolezza considerandoli localizzati nel preconscio. (…)” (Lerner, 2000) 1.

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Entrambe le citazioni si riferiscono al comportamento del singolo individuo che sviluppa comportamenti dissociativi come meccanismo di difesa da vissuti traumatici che non vengono rimossi, ma che vengono “disconnessi” per mitigarne l’effetto sulla psiche.

Da sempre la nostra società adotta comportamenti che definirei, spero non impropriamente, di tipo dissociativo, molto spesso dettati da motivazioni geopolitiche che poco o niente dipendono dalle azioni o dalla volontà dei singoli individui. Le conseguenze delle carestie o la drammatica mortalità infantile nelle nazioni fortemente sottosviluppate sono solo gli esempi più eclatanti. Dato che su questi problemi enormi i cittadini comuni hanno ben poca possibilità di intervenire, se non attraverso donazioni, l’unico comportamento non patologico che possono adottare è vivere ogni giorno la propria vita come se quei problemi non esistessero, lavorando, studiando, socializzando e amandosi pur essendo consapevoli che, in quegli stessi istanti della loro vita, altre persone uguali a loro stanno morendo per malnutrizione o per epidemie che da noi sono completamente debellate.

Sabato scorso ho vissuto un’esperienza di dissociazione collettiva estrema: ho assistito a un concerto della rassegna di musica classica contemporanea Festival 5 giornate[2] che si tiene in questo periodo a Milano da numerosi anni. La location era il bellissimo museo del ‘900 in piazza del Duomo dove ho potuto ammirare numerosi dipinti di arte moderna lungo il tragitto che porta alla sala in cui si teneva il concerto. Fuori dalle enormi vetrate, una luminosa giornata con un caldo sole primaverile; alla mia sinistra l’imponente vista sul Duomo e di fronte a me il bellissimo campanile ottagonale del XIV sec. della chiesa di San Gottardo in corte.

Due bravissime musiciste, Rossella Spinosa al pianoforte e Birgit Nolte al flauto e all’ottavino, hanno eseguito musiche di Nicola Sani, Niccolò Castiglioni e di Giacinto Scelsi il cui lavoro è caratterizzato da una grande ricerca formale e allo stesso tempo da un’altrettanta grande libertà espressiva. O per lo meno questa è stata la mia impressione, da persona quale sono estremamente appassionata di musica, ma non competente negli impervi territori della musica contemporanea o del secondo ‘900.

Bene, al di fuori della moderna e ariosa sala del museo c’era la vista di eccelsi esempi di arte del nostro passato; in sala le note emesse dagli strumenti musicali, ma anche le opere esposte nel museo, erano testimonianza dell’arte dei tempi recenti. Insieme tracciavano un chiaro percorso di crescita, di rinnovamento, di libertà di pensiero, di progresso che ha caratterizzato il cammino dell’uomo. Ma allo stesso tempo dentro di me erano vive le immagini degli orrori perpetrati ai danni della popolazione ucraina dalla criminale politica espansionista russa, alla quale l’occidente non ha risposto, saggiamente, impugnando le armi per non scatenare la terza guerra mondale.

 

Questi due scenari inconciliabili, arte da una parte e distruzione dall’altra, libertà creativa e auto reclusione nei bunker sotterranei per cercare di sopravvivere un altro giorno ancora, nella speranza di un domani privo di speranze, hanno determinato una grande tensione drammatica che è arrivata al suo culmine durante l’esecuzione dell’ultimo brano, Suite n°8, Bot-ba di Giacinto Scelsi, eseguito in modo mirabile al pianoforte da Rossella. È una lunga composizione in cui non ho ravvisato il minimo cenno di melodia o di armonia perché sono stata travolta da una straripante e violenta successione di accordi dissonanti, tesi e drammatici. Conosco molto bene Rossella e da anni seguo i suoi concerti, ma a mia memoria non l’ho mai vista così assolutamente e totalmente immersa nell’esecuzione, non l’ho mai vista percuotere anche con violenza i tasti del suo strumento; il suo viso, seppur coperto in gran parte dalla mascherina, comunicava una tensione emotiva inusuale, come se anche lei fosse consapevole della follia collettiva che stavamo vivendo. Questo brano e l’esecuzione di Rossella mi sono apparsi come colonna sonora di quello che, esattamente in quegli istanti, stava succedendo in Ucraina, delle persone che stavano morendo dilaniate dalle bombe e delle grida di disperazione di chi aveva la fortuna di essere ancora in vita.

 

Noi, a Milano, ascoltavamo un concerto di musica contemporanea. In piazza Duomo striscioni con i colori della bandiera ucraina testimoniavano il nostro sgomento. In Ucraina la gente moriva.

 

[1] Entrambi i riferimenti presi dall’articolo della dott.ssa Laura Ravaioli, La dissociazione come meccanismo di difesa, https://www.psicologi-italia.it/disturbi-e-terapie/psicosi/articoli/la-dissociazione-come-meccanismo-di-difesa.html
[2] Festival 5 Giornate

TAG: Guerra in Ucraina
CAT: Arte, Geopolitica

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