Shades of Israel, quando l’arte sconfessa la guerra
A volte la vita ti manda dei segnali. Come a dirti che è arrivato il momento di fare un salto di qualità. O più semplicemente per rammentarti che certe realtà vanno raccontate.
Un pomeriggio ricevo un messaggio da un numero di telefono evidentemente straniero sul mio cellulare.
Eccolo, quel momento.
Penso inizialmente ad un classico caso di phishing, ad un tentativo di portarmi via dati personali dai mio cellulare.
Tuttavia, non so bene perchè, apro il messaggio. Scopro con mia grande sorpresa, che non è affatto quello che pensavo.
Il messaggio arriva da Tel Aviv, in Israele. Proprio nei giorni in cui in quella città ci sono i bombardamenti di Hamas. È appena iniziata una nuova guerra.
Una ragazza, che poi scopro essere una collega di Avvenire, Fiammetta Martegani, mi ha inviato una brochure che illustra un’iniziativa culturale di grande pregio.
Si chiama Shades of Israel, sfumature d’Israele, dodici artisti contemporanei incontrano tre musei pugliesi. La combinazione del nostro incontro, scopro poi, è dovuta ad una comune collega di La7, che ha invitato Fiammetta a contattarmi.
Così la chiamo e mi sento nella paradossale condizione di chi, comodamente seduto sul proprio divano di casa, ascolta una collega che si trova catapultata in guerra, sotto le bombe.
Fiammetta mi racconta di essere stata attenzionata suo malgrado da tutte le TV del Paese che la chiamano per sapere cosa sta accadendo laggiù.
Lei però ha contattato me, per un’altra ragione: vuole raccontare della mostra che solo tre giorni prima, in Italia, in Puglia, aveva inaugurato. Una mostra, Shades of Israel, in cui si dispiega l’utopia di Theodor Herzl, padre del sionismo, su cui si cimentano dodici artisti israeliani in tre diversi allestimenti al Museo ebraico di Lecce, al Castello Svevo di Trani e alla Fondazione Pino Pascalis di Polignano.
A Lecce c’è una collettiva di 10 artisti che rappresentano le diverse voci e identità d’Israele dal titolo “My (alt) Neuland.” Nel 1902 Herzl, scriveva un’opera rivoluzionaria, dal titolo appunto My altneuland , “in cui – scrive Fiammetta nell’introduzione alla mostra di Lecce – il padre del sionismo illustrava con afflato pioneristico la sua versione politica laica e democratica di uno Stato per il popolo ebraico nella terra di Israele sottolineando il valore irrinunciabile di una società aperta fondata sull’idea che noi siamo il prodotto comune di tutte le nazioni civilizzate (…) Sarebbe immorale se mai decidessimo di escludere qualcuno da questo progetto a prescindere dalla proprie origini, opinioni o credenze politiche o religiose (…) C’è un unico modo per farlo: la più totale tolleranza.”
I dieci artisti rappresentano dunque la visione contemporanea di Israele, i suoi volti diversi, in un percorso espositivo che mira ad esplorare e comprendere l’attuale complessità di Israele di oggi.
“L’ho inaugurata due giorni prima che iniziasse la guerra: venerdì 6 Ottobre ho poi preso un aereo per tornare a casa a Tel Aviv, dove vivo, e il giorno dopo è scoppiata la guerra”
A Trani invece è stata allestita una personale di Maria Saleh artista arabo-israeliana -ucraina, dal titolo “Ludmilla” vincitrice nel 2023 del premio Rapoport come miglior artista israeliana dell’anno.
A Polignano invece c’è una personale di Tsisi Geva tra i più importanti artisti israeliani contemporanei che ha rappresentato Israele nel corso della Biennale di Venezia nel 2015.
Le tre mostre sono state inaugurate nel corso della settimana del Sukkot – la festività ebraica delle Capanne – festa che ribadisce il valore dell’amicizia e della solidarietà imaginificamente rappresentato dall’incontro sotto la capanna.
“Sai Max, mi dice Fiammetta al telefono a bombardamento appena concluso, la mostra vuole raccontare proprio il senso della vita oggi in Israele attraverso tutte le sue sfumature e contraddizioni. È importante parlarne”
L’arte come paradigma, come ermeneuta di una realtà articolata e complessa, come declinazione di un’aporia, che traduce l’incomunicabilità in conflitto, le asperità della storia in morte e in un conflitto perenne.
Poichè l’arte ha la forza di rappresentare il linguaggio dell’anima, far conoscere questa mostra – paradossalmente nata a ridosso di una nuova guerra – significa dare un contributo razionale e di senso allo smarrimento collettivo davanti ai corpi dilaniati di uomini donne e bambini a tutte le latitudini: palestinesi o israeliani.
“Un’utopia visiva – scrive ancora Fiammetta – che rende omaggio all’eredità di Herzl dando vita ai suoi principi senza tempo di unità, inclusività e tolleranza”.
Parole che stridono con le immagini di questi giorni ma che testimoniano di come la storia e le sue idee siano spesso manipolate a favore dei signori della guerra.
La guerra è l’unica costante dell’idiozia umana. Ed evidenza empirica di quanto cammino l’uomo debba ancora compiere prima di arrivare alla coscienza del dono meraviglioso che gli è stato fatto: la vita
Il video della mostra in pochi secondi
Nessun commento
Devi fare per commentare, è semplice e veloce.