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Arte

Anna Netrebko indimenticabile a Verona

di Mirko Schipilliti
29 Luglio 2019

È ancora vivo il ricordo dell’Arena di Verona in delirio per la russa Anna Netrebko, una delle voci viventi più grandi, e forse il soprano più applaudito di oggi, a Verona per Trovatore di Verdi nel ruolo di Leonora. Solo tre recite (29 giugno, 4 e 7 luglio) ma che hanno lasciato il segno nella storia, nell’ampia articolazione della programmazione areniana, per il suo ritorno in Veneto dopo il 1998, quando all’inizio della carriera comparve al PalaFenice a Venezia. Allora, agli esordi, aveva cantato in Le campane di Rachmaninov, ora è Leonora in Trovatore. Un vero evento. Arena gremita in ogni ordine, tutti aspettavano lei, melomani, appassionati, curiosi. Non si concedono interviste. Lo stile, il dominio della parte si impongono subito all’inizio in “Tacea la notte placida”, dove la Netrebko brilla in ogni registro, dalla drammaticità del più grave alle illuminazioni negli acuti, con una leggerezza pungente nei passi di agilità, sempre meditati come le scelte di tempo dense di attese, in una saggia e calma maturità. E infuoca il pubblico la celebre aria “D’amor sull’ali rosee”, dove nel passo “com’aura di speranza” la sua voce, tutta, si fa veramente “speranza”, con un’aderenza al testo e alla pronuncia indimenticabili. I giudizi iperbolici sarebbero di rito, ma la voce ha lo smalto dei grandi, la presenza scenica delle vere dive, e tutto questo all’aperto senza sbavature. Ne guadagna la tensione che lascia il pubblico senza fiato, impietrito all’ascolto. E come cambia il colore secondo la frase, il carattere totalmente trasformato nella scena del Miserere, certi inattesi cambi di dinamica. Un miracolo. Sarà il Trovatore, ma di fatto quest’opera ci regala sempre grandi sorprese, come nel 2010 col grande baritono russo Dmitri Hvorostovsky prematuramente scomparso due anni fa e che ci preme ricordare. Accanto alla Netrebko c’è un altro celebre nome della lirica, la mezzosoprano statunitense Dolora Zajick per Azucena. Voce ormai troppo matura fra alcuni eccessi di vibrato, intensamente calata nella parte, a 67 anni si impone comunque col carisma di chi ha una vera storia alle spalle. Molto applaudito Yusif Eyvazov – nella vita marito della Netrebko – con un Manrico di grande slancio lirico ma dai toni aspri che non vede l’ora di sparare acuti e do di petto, convincendo il pubblico. Avercene di voci così coraggiose. Buona la presenza seppure un po’ monocorde nelle tinte di Riccardo Fassi in Ferrando. Non convince sempre Luca Salsi (Conte di Luna), fra alcune disuguaglianze e opacità iniziali. Sarà colpa dell’en plein air. Ordinaria ma che fa quadrare il cerchio col pregio della flessibilità nel saper gestire voci così diverse, la bacchetta di Pier Giorgio Morandi, a volte un po’ troppo trattenuto nei tempi e nella fantasia interpretativa. La ripresa dell’allestimento di Franco Zeffirelli (costumi di Raimonda Gaetani, coreografia di El Camborio) coi ballabili della versione francese, suggestiona sempre il pubblico nel calarsi scenograficamente nei grandi spazi areniani, pur restando confinata nella vistosa decorazione, fra il pullulare di bandiere, pennacchi e alabarde, le torri arricchite di bassorilievi che nascondono una chiesa barocca, le grandi statue di armigeri, i coreografici giochi di masse nel secondo atto come in un quadro d’epoca, i cavalli veri in scena, mansueti ma estranei a queste dimensioni. Ovazioni e lunghi applausi.

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