Hitachi, Ansaldo e l’occasione perduta di un progetto ferroviario europeo

10 Marzo 2015

Hitachi ha comprato AnsaldoBreda e Ansaldo STS: è un bene? è un male? Lo sapremo solo tra qualche anno, forse. Però, in genere, quando si legge di storie simili, spesso non a lieto fine per l’industria nel nostro paese, ci si lamenta nazionalisticamente del passaggio a mani straniere; o dei bei tempi andati di quando l’Italia un’industria (e degli industriali) ce li aveva.

Per capire come mai Hitachi – così come i cinesi di CNR che si sono però ritirati – si sono interessati a queste porzioni di Ansaldo, ci obbliga ad andare oltre frontiera, cioè ad usare il metro comparativo; il che ci fa ricordare che i francesi hanno venduto nientepopodimeno che Alstom. E magari anche a fare una brevissima storia del comparto.

Partiamo dagli USA che, dopo gli anni cinquanta del Novecento, si sono persi l’industria ferroviaria di avanguardia, lasciando il campo nelle mani degli europei (con i francesi aiutati dai programmi di TGV) e dei giapponesi (che nel frattempo sviluppavano lo Shinkansen). Il che vuol dire che l´industria ferroviaria prospera (ed esporta) se sostenuta da programmi nazionali, languisce o scompare se questi programmi non ci sono, come ricorda oggigiorno – con sospetto interesse – la lobby ferroviaria USA. Le crisi petrolifere del 1973 e del 1979 pongono con urgenza la questione della dipendenza energetica, e la rete ferroviaria elettrificata europea (e giapponese) si prestava benissimo a variare le fonti di approvvigionamento (incluso il nucleare). Il rilancio del trasporto su ferro negli anni ottanta e novanta trova la sua espressione più incisiva nelle linee ferroviarie ad alta velocità. Ma a fare la differenza sono i mega programmi cinesi, una miniera d´oro per i grandi gruppi, primi tra tutti Siemens e Bombardier (quest´ultima canadese, ma con 90% degli addetti in Europa). Ancora oggi, che la Cina ha completato la prima fase di costruzione, si prevede globalmente per il comparto ferroviario un futuro positivo, sia a breve che a lungo termine.

Se però la Cina è stata una grande abbuffata, sta anche creando qualche mal di testa. La politica industriale cinese è legata a doppio filo al trasferimento di tecnologia. La dirigenza cinese ha infatti stabilito che chi vuole operare in loco deve anche trasferire i diritti sulle tecnologie, e magari anche far sì che oltre ai brevetti si possa formare una adeguata forza lavoro, dai tecnici agli operai. Risultato? Un mare di presunte bustarelle, che hanno portato alla defenestrazione del ministro dei trasporti cinese e alla riforma del comparto, ma anche alla formazione di due colossi industriali: CSR e CNR. Perché oggi come oggi, l’industria cinese non solo ha le tecnologie di avanguardia, ma pare avere un adeguato programma nazionale di R&D. In più, appoggiate da una politica estera parecchio intraprendente, le due compagnie cinesi possono offrire impianti “chiavi in mano” a costi competitivi. Insomma, CNR e CSN sono attori globali.

Come conseguenza, i competitori europei, giapponesi e coreani, stanno perdendo il dominio che avevano. L’organizzazione europea di categoria, la UNIFE, ha pubblicato nel 2009 la relazione annua (oggi rimossa dal sito ufficiale) dai toni isterici, con vignette razziste o giù di lì. La risposta più ovvia è stata quella di costruire economie di scala, cioè avere dimensioni sempre maggiori per poter sostenere una competizione sempre più globale, un processo di lunga durata che si è accelerato negli ultimi anni. A complicare le cose, l’amministrazione Obama negli USA ha rilanciato l´idea di costruire linee ferroviarie ad alta velocità anche negli States, il che ha dato un’ulteriore spinta alla General Electric nel comprare la francese Alstom, così da avere in scuderia le competenze necessarie per realizzare i progetti.

E Ansaldo STS? Una solida azienda, piccola se paragonata a Siemens, Bombardier o Alstom; ma, in compenso specializzata in sistemi di segnalazione, con sedi in Europa e non solo. Una perfetta testa di ponte per cinesi o giapponesi. Che forse non necessariamente smantelleranno l’azienda; anzi, avere impianti produttivi in Europa è quello che gli serve, soprattutto in un mercato, come quello ferroviario, dove la scelta è politica e il prodotto di tipo sartoriale: cioè deve essere adattato alle esigenze di ogni singolo cliente, e dunque occorre capirne i gusti e la cultura, cosa più facile se si ha lo stesso patrimonio di conoscenze.

Quali alternative c’erano? Con prodotti così di nicchia e specializzati, e piccole dimensioni, Ansaldo STS non poteva certo essere un “big player”, ma poteva forse continuare la sua esistenza, anche come sub-fornitore. Soprattutto in un mercato dove i fornitori di primo, secondo e terzo livello sono ormai coinvolti non solo nella fornitura, ma anche nei rischi operativi del progetto.

Esisteva però un’altra via, rischiosa ma possibile. Quella di fare una sorta di Airbus dell’industria ferroviaria. Airbus nasce negli anni Sessanta come libero consorzio delle industrie aeronautiche europee, che al tempo erano sull’orlo del fallimento e incapaci di resistere alle economie di scala della Boeing, Douglas e Lockheed. Considerando che alla fine degli anni sessanta in Europa non esisteva un’industria aeronautica degna di questo nome e che ora Airbus è il più grande produttore mondiale, si tratta di una storia di successo industriale.

Nel 2004, un personaggio noto, e controverso, come Hartmut Mehdorn, aveva proposto la stessa ricetta per la produzione ferroviaria. Non ha funzionato, forse perché a differenza dell’industria aerospaziale europea negli anni Sessanta, quella ferroviaria non era messa così male. O forse perché nel passato c’era un progetto europeo, e oggi manca un qualunque capitale politico per poter realizzare simili ambiziosi e non facili progetti.

TAG: Economia, ferrovie, industria
CAT: Asia, Cina, manifattura, Politiche comunitarie, trasporti (aerei, ferrovie, navi, bus)

Un commento

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  1. marcogiov 9 anni fa

    Non dimentichiamo che, se STS è un’azienda piccola ma di ottimo livello, AnsaldoBreda è un disastro, basta vedere la vicenda Fyra e l’acquisto da parte di Hitachi è la chance di un salvataggio al posto dell’inevitabile chiusura.

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