Consumi

La povertà alimentare. Il pane non è mai solo pane

In Italia oltre 4,9 milioni di persone vivono in povertà alimentare assoluta. Ma la fame vera non si vede: si nasconde nei carrelli vuoti, nei pasti saltati, nella vergogna che non parla

16 Luglio 2025

Ci sono bambini che non sanno che sapore ha una merenda. Madri che tagliano la bistecca in quattro e dicono che non hanno fame. Uomini che ogni mattina decidono se comprare il pane o il dentifricio. Il cibo non è solo nutrimento. È dignità. È relazione. È possibilità di stare nel mondo.

In Italia, 4,9 milioni di persone vivono in povertà alimentare assoluta. Ma i numeri non bastano. Perché la fame, oggi, non si vede. Non ha la pancia gonfia dei documentari. Ha il frigo vuoto. Il carrello leggero. La dignità sforbiciata ai margini dello scontrino. In alcune periferie si mangia solo pasta bianca. Nei centri urbani, la cena è una scatoletta davanti alla TV accesa per non sentire il silenzio. Le mense caritatevoli non bastano più. I pacchi alimentari non arrivano ovunque. E la vergogna, quella sì, arriva dappertutto. Ci sono famiglie che si vergognano di chiedere. Che girano due supermercati diversi per non far vedere che comprano solo offerte. Che tengono i biscotti per i giorni di festa. Che imparano a saziare i figli con storie, perché il pane è finito.

La povertà alimentare è democratica: colpisce disoccupati, precari, pensionati. Colpisce in silenzio. Non fa rumore. Non buca i telegiornali. Ma chi la conosce non la dimentica. Colpisce il corpo, ma anche il modo in cui ci si guarda allo specchio. Crea distanza. Abbassa lo sguardo. Distrugge la ritualità di un pasto. E con essa, anche la tenuta emotiva di una famiglia. In molte case il piatto non manca, ma manca il pasto condiviso. Manca la presenza dell’altro. Mangiare soli è una povertà che non si misura in euro ma in tempo sprecato. In domande che non si fanno. In pane che sa solo di farina.

La fame torna a essere un tema politico, ma senza parole per raccontarla. Torna nei consultori, nelle scuole, nei quartieri dormitorio. Non basta più un aiuto alimentare. Serve un’azione strutturale, culturale, simbolica. Il “reddito alimentare”, approvato ma mai attuato, è una goccia su una diga che ha già ceduto. Serve pensare il cibo come diritto e come appartenenza. Ridare centralità al mangiare come gesto di cura. Chi sta a dieta per scelta non ha nulla da spartire con chi digiuna per necessità. Il cibo non è un’opzione. È il primo gradino per esistere. Senza cibo tutto il resto diventa retorica. L’inclusione, la scuola, la salute, la partecipazione. Nessun diritto può essere garantito se manca un piatto caldo. Nessun percorso può iniziare se manca la possibilità di dire “sono sazio”. Nessun bambino può concentrarsi se ha fame. Nessuna madre può stare in piedi se si svuota per nutrire. Nessun uomo può sentirsi libero se deve contare le mele prima di metterle nel carrello.

La povertà alimentare è la povertà che viene prima di tutte le altre. Ma è anche quella di cui si parla meno. Perché non commuove più. Perché nessuno vuole vedere il pane che manca. Perché tutti preferiscono credere che basti un pacco, una spesa sospesa, una buona azione. Ma non basta. Non è sufficiente. Il pane non è mai solo pane. È ciò che ci tiene in piedi. È ciò che ci fa restare umani.

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