Criminalità
Terzo Settore, Terra di Mezzo: quando il sociale diventa un affare di partito
Il Terzo Settore italiano è cresciuto sotto l’insegna del bene comune. Cooperative, associazioni, fondazioni: realtà nate per rispondere dove lo Stato non arriva. Ed è proprio lì, in quella terra di mezzo tra pubblico e privato, che da anni si insinuano logiche diverse. Più che solidali, predatorie. Più che civili, politiche.
È una storia che si ripete, in forme sempre nuove: quella di un mondo sociale utilizzato come terreno fertile per costruire consenso, finanziare campagne e blindare clientele. A farne le spese non sono solo le casse pubbliche, ma anche le persone più fragili: migranti, anziani, famiglie in difficoltà.
A sollevare di nuovo il velo è stata, a giugno 2025, un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano. Il sospetto è di quelli che fanno rumore: fondi pubblici veicolati attraverso appalti truccati verso fondazioni e cooperative legate a esponenti di Forza Italia e Fratelli d’Italia. In ballo, finanziamenti ambientali, nomine strategiche e appalti gonfiati. Secondo la procura, i clan ‘ndranghetisti locali avrebbero fatto da tramite, offrendo “servizi” e pacchetti di voti[1].
Niente di nuovo sotto il sole, si potrebbe dire, se non fosse che nel 2025 questo intreccio è tutt’altro che residuale. Anzi, appare più sistemico che mai.
L’inchiesta[2] chiama in causa una “struttura parallela di potere” che usava il Terzo Settore come un bancomat. Il tutto mascherato da interventi sociali: corsi di reinserimento, raccolta rifiuti ecologica, accoglienza diffusa.
Mafia Capitale e le origini di un sistema
Chi ha memoria lunga ricorderà il 2014, quando l’indagine su Mafia Capitale scosse Roma e l’Italia. Cooperative come Eriches 29, finanziate per gestire migranti e poveri[3], si sono rivelate essere strutture di cartone al servizio di un patto criminale tra politici, faccendieri e criminalità organizzata. “Si fa più soldi con i migranti che con la droga”, disse uno degli indagati.
A distanza di oltre dieci anni, il metodo non è cambiato. Sono cambiati i nomi, i luoghi, le coperture politiche.
Nel frattempo, il Terzo Settore è diventato anche un ottimo veicolo per ripulire denaro, piazzare amici, gestire pacchetti elettorali. In Campania, in Calabria, ma anche nella “moderna” Milano. Cooperative nate da un giorno all’altro, bandi scritti su misura, funzionari compiacenti.
A far gola non sono solo gli appalti dell’immigrazione. C’è il welfare anziani, il trasporto disabili, la gestione degli abiti usati (come ha rivelato un’inchiesta de Le Iene sulla Caritas milanese e la camorra[4]). E poi ancora le mense scolastiche, i centri estivi, l’housing sociale. Tutti settori dove l’“emergenza” è la scusa perfetta per accelerare gare e ridurre i controlli.
Quando la politica si traveste da fondazione
Un’altra zona grigia è quella delle fondazioni legate ai partiti, spesso camuffate da think tank o centri culturali[5]. Secondo un’inchiesta di Repubblica[6], in Italia ne esistono almeno 59: molte di esse ricevono finanziamenti da imprese e privati senza obbligo di trasparenza. E spesso gestiscono pezzi di Terzo Settore.
È da lì che passano i soldi delle campagne elettorali, gli incarichi nei Consigli di amministrazione, le nomine negli enti di secondo livello. Il tutto formalmente legale. Ma profondamente tossico.
Il danno più grave, però, è invisibile. È quello che colpisce la credibilità del Terzo Settore stesso. Ogni volta che una cooperativa viene usata per truccare un appalto o garantire voti, un’altra – magari onesta – paga il prezzo. Ogni volta che un’associazione si rivela la copertura di un clan, migliaia di volontari veri vedono screditato il loro lavoro. Il rischio è che il Terzo Settore venga percepito come una costola della politica, non come una sua alternativa.
Che fare? Più controlli, ma anche più memoria
La riforma del Terzo Settore del 2017 ha introdotto il Registro Unico, la rendicontazione sociale, i bilanci certificati. Ma i controlli sono ancora pochi. E spesso gli enti locali – soprattutto i piccoli comuni – non hanno gli strumenti per vigilare davvero.
Serve di più. Serve una vigilanza incrociata: ANAC, Corte dei Conti, prefetture, cittadini. Serve che i giornalisti continuino a scavare, anche quando le storie sembrano “minori”. Serve – soprattutto – che chi lavora davvero per il bene comune pretenda trasparenza, a partire da sé.
La posta in gioco è la democrazia. In un’epoca in cui il welfare è sempre più delegato a soggetti esterni e i partiti sempre più in affanno di legittimità, il Terzo Settore diventa campo di battaglia. Chi lo occupa, occupa pezzi di società.
Per questo è fondamentale separare chi lo fa per costruire futuro da chi lo fa per costruire potere. La differenza, a volte, sta in una firma su un appalto. O in un codice fiscale usato per nascondere una mazzetta.
La verità è che il sociale non è mai neutro. Ma può, e deve, essere giusto.
[1] https://www.gaeta.it/inchiesta-lombardia-finanziamenti-illeciti-a-forze-politiche-arresti-e-indagini-su-appalti-e-corruzione?utm_source=chatgpt.com
[2] https://www.gaeta.it/inchiesta-lombardia-finanziamenti-illeciti-a-forze-politiche-arresti-e-indagini-su-appalti-e-corruzione?utm_source=chatgpt.com
[3] https://roma.repubblica.it/cronaca/2019/11/18/news/il_tramonto_dell_impero_di_buzzi_tra_coop_chiuse_e_in_liquidazione-241315213/
[4] https://www.iene.mediaset.it/2019/news/vestiti-business-camorra_559230.shtml
[5] https://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/cronaca/pesaro-indagine-sui-soldi-alle-associazioni-3baf80c7
[6] https://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2018/09/05/news/fondazioni_politiche_quasi_raddoppiate_in_tre_anni_ma_la_solidarieta_non_c_entra-205678806/
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