
Diritti
Israele, il ruolo delle grandi imprese nell’economia del genocidio palestinese secondo il rapporto ONU 2025
Nel suo rapporto del 2025, la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite Francesca Albanese indaga la responsabilità delle imprese nell’alimentare l’occupazione e il genocidio nei territori palestinesi occupati
Dall’economia di occupazione all’economia del genocidio. Nel suo rapporto depositato ieri a.la 59a sessione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la Relatrice Speciale per la Palestina Francesca Albanese analizza il ruolo delle imprese nel sostegno all’occupazione israeliana dei territori palestinesi e nella recente escalation che ha assunto le caratteristiche di un genocidio. Il documento, intitolato From Economy of Occupation to Economy of Genocide, si concentra sulla “macchina corporativa” che alimenta la logica coloniale israeliana di displacement e replacement dei palestinesi, con implicazioni dirette in numerosi crimini internazionali: apartheid, occupazione illegale, annessione, espulsioni forzate e sterminio sistematico.
Israele-Palestina: «dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio»
Al centro dell’indagine vi è un database di circa mille entità aziendali, costruito a partire da oltre 200 contributi ricevuti dalla Relatrice. Più di 45 aziende sono menzionate per nome nel rapporto, mentre solo 15 hanno risposto alle accuse. I settori coinvolti spaziano dall’industria bellica alla tecnologia, dall’edilizia alla finanza, fino al mondo accademico e filantropico. Secondo Albanese, le imprese non solo traggono profitto dalla colonizzazione, ma svolgono un ruolo attivo nell’impedire l’autodeterminazione palestinese e nel perpetuare la violenza strutturale.
Il rapporto traccia un legame tra l’attuale economia dell’occupazione e quella che definisce un’“economia del genocidio”. Le infrastrutture economiche e tecnologiche usate per segregare, sfruttare e impoverire la popolazione palestinese si sarebbero riconvertite, dopo ottobre 2023, in strumenti di distruzione su larga scala, soprattutto a Gaza. È il caso del settore militare, in cui aziende come Elbit Systems e Israel Aerospace Industries hanno fornito tecnologie avanzate (inclusi droni, sistemi di targeting e caccia F-35 in “beast mode”) impiegate in operazioni che hanno causato oltre 85.000 tonnellate di bombe sganciate e decine di migliaia di vittime.
Parallelamente, il settore tecnologico è descritto come complice del sistema carcerario e di sorveglianza israeliano, con software biometrici, spyware e sistemi cloud forniti da colossi come Microsoft, Google, Amazon, IBM e Palantir. Quest’ultima, in particolare, è accusata di aver fornito infrastrutture per l’automazione degli attacchi e per la creazione di liste di obiettivi tramite intelligenza artificiale, contribuendo così alla trasformazione della guerra in un sistema industriale.
Anche le banche, i fondi pensione e le università sono analizzati per il loro ruolo nel finanziare insediamenti illegali e normalizzare il discorso coloniale. L’insieme di queste collaborazioni, secondo Albanese, configura una responsabilità legale diretta per crimini contro l’umanità, in particolare in presenza di un contesto ormai dichiaratamente genocida da varie autorità internazionali, tra cui la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale.
Il quadro giuridico delineato nel rapporto sottolinea che la responsabilità delle imprese non dipende solo dai governi: in base ai Principi Guida ONU su imprese e diritti umani, esse devono evitare ogni collegamento con crimini internazionali e adottare una due diligence rafforzata nei contesti di conflitto. L’inazione può comportare responsabilità civile e penale, anche per i dirigenti. In particolare, Albanese richiama il precedente dei processi ai dirigenti dell’I.G. Farben nel dopoguerra come base per l’attribuzione di colpevolezza a chi, consapevolmente, contribuisce a crimini di guerra e genocidio.
Il documento si conclude con un appello all’interruzione immediata di ogni attività economica legata all’occupazione e all’assunzione di responsabilità da parte delle aziende coinvolte. Senza una rottura decisa della complicità del settore privato, avverte la Relatrice, non sarà possibile porre fine né all’economia dell’occupazione né al genocidio in corso.
Chi sono le principali imprese coinvolte nel genocidio palestinese
Ecco un elenco delle principali imprese coinvolte nell’economia del genocidio palestinese, desunto dal rapporto della Relatrice Speciale sui diritti umani in Palestina presentato al Consiglio ONU per i diritti umani:
Settore militare e armamenti
Lockheed Martin (Stati Uniti): produttore degli F-35 e F-16 usati nei bombardamenti su Gaza.
Leonardo S.p.A. (Italia): fornitrice di componenti per il programma F-35 e partner militare.
FANUC Corporation (Giappone): produce robot industriali per le linee armamentistiche di Elbit Systems e Israel Aerospace Industries.
Maersk A/S (Danimarca): trasporta armamenti e componenti per l’industria militare israeliana.
Rheinmetall (Germania): produttrice di bombe aeree e munizionamento utilizzato in guerra.
Tecnologia, sorveglianza e cloud
Amazon.com, Inc. (Stati Uniti): coinvolta nel progetto “Nimbus”, fornisce infrastrutture cloud e AI all’esercito israeliano.
Alphabet Inc. (Google) (Stati Uniti): stessa funzione di Amazon nel progetto Nimbus.
Microsoft (Stati Uniti): fornisce tecnologia cloud e sistemi digitali all’esercito israeliano; acquisizioni strategiche in cybersicurezza.
IBM (Stati Uniti): gestisce database biometrici usati per il controllo della popolazione palestinese.
Hewlett Packard / HPE (Stati Uniti): fornitrice storica di tecnologia per checkpoint, prigioni e database civili.
Palantir Technologies (Stati Uniti): partner strategico dell’esercito israeliano per AI militare e selezione automatizzata di obiettivi.
Altri settori
NSO Group (Israele, ma con vendite globali): creatore di Pegasus, spyware usato per sorvegliare attivisti palestinesi.
Google e Amazon (di nuovo menzionati): accusati di garantire “sovranità digitale” a Israele con data center sul suolo israeliano, al riparo da indagini internazionali.
A.P. Moller – Maersk (Danimarca): parte della logistica del trasferimento bellico USA-Israele.
I settori industriali che fanno affari con il genocidio
1. Industria militare: guerra come business
Il rapporto ONU evidenzia come l’industria militare israeliana sia al centro dell’economia del genocidio. Aziende come Elbit Systems e Israel Aerospace Industries, con legami diretti al Ministero della Difesa, forniscono tecnologie chiave – droni, F-35, bombe da 2000 libbre – utilizzate per colpire indiscriminatamente Gaza. Tali armi, testate sul campo nei territori occupati, sono poi vendute nel mondo come “battle-proven”, generando profitti crescenti. Anche aziende estere, come Lockheed Martin e Leonardo, partecipano alla filiera della morte, con forniture di componenti e know-how. I bombardamenti su Gaza dopo ottobre 2023, che hanno causato oltre 179.000 vittime, sono stati resi possibili da un sistema industriale bellico integrato a livello globale. L’aumento del 65% nella spesa militare israeliana tra 2023 e 2024 ha alimentato direttamente i profitti di queste imprese. Il rapporto denuncia come la logica coloniale della “sostituzione” dei palestinesi sia oggi implementata attraverso un’industria bellica che agisce con piena consapevolezza del proprio ruolo nello sterminio.
2. Tecnologie di sorveglianza e carcerarie: il volto oscuro della Start-up Nation
Il settore tech israeliano ha sviluppato sistemi avanzati di sorveglianza e repressione automatizzata dei palestinesi. Strumenti come il software Pegasus dell’NSO Group, i database biometrici di IBM e HP, i servizi cloud di Amazon, Google e Microsoft alimentano il controllo di massa, rafforzando il sistema di apartheid. Queste tecnologie – sviluppate con fondi pubblici e testate nei territori occupati – sono poi esportate in tutto il mondo, normalizzando pratiche di sorveglianza e violazione dei diritti. Dopo ottobre 2023, tali strumenti sono stati impiegati per supportare l’offensiva militare: Project Nimbus (Google e Amazon) ha fornito infrastrutture cloud all’esercito israeliano, mentre l’AI di Palantir ha automatizzato la selezione dei bersagli a Gaza. Il rapporto sottolinea che queste aziende agiscono con piena consapevolezza: nel 2024, il CEO di Palantir ha dichiarato che “la maggior parte delle persone uccise erano terroristi”. La Relatrice Albanese parla di “infrastrutture digitali per il genocidio”, rese possibili da una rete di imprese che traggono profitto dal dominio coloniale.
3. Edilizia e demolizioni: infrastrutture per l’occupazione
Il settore edilizio fornisce macchinari e materiali per la costruzione di colonie e la demolizione di case palestinesi. Grandi aziende israeliane e internazionali partecipano a questo ciclo: Caterpillar, ad esempio, fornisce bulldozer D9 usati per radere al suolo interi quartieri. Dopo ottobre 2023, questi mezzi sono stati impiegati per distruggere l’urbanistica di Gaza, impedendo il ritorno delle comunità espulse. Il rapporto denuncia come le imprese del comparto, anziché ritirarsi di fronte alle violazioni, abbiano rafforzato il proprio coinvolgimento, alimentando l’economia del genocidio.
4. Finanza e assicurazioni: capitali per il colonialismo
Banche, fondi pensione, assicurazioni e asset manager sostengono finanziariamente l’occupazione attraverso investimenti diretti in imprese che operano nei territori occupati. Le risorse canalizzate permettono la sopravvivenza economica degli insediamenti e delle infrastrutture militari. Il rapporto rivela che molte entità finanziarie europee e statunitensi risultano coinvolte, consapevolmente, in progetti contrari al diritto internazionale, facilitando così il consolidamento dell’apartheid e della pulizia etnica.
5. Università e ricerca: sapere al servizio dell’apartheid
Le università israeliane giocano un ruolo chiave nello sviluppo ideologico, tecnologico e militare dell’occupazione. Lavorano a stretto contatto con l’esercito, sviluppando armi, sistemi di sorveglianza e giustificazioni accademiche alla colonizzazione. Alcuni atenei internazionali collaborano con queste istituzioni, rafforzandone la legittimità. Il rapporto denuncia il paradosso di un sapere che, invece di liberare, contribuisce all’oppressione e all’eliminazione di un intero popolo, con l’alibi della neutralità accademica.
6. Charity e ONG strumentalizzate
Alcune fondazioni e ONG, presentandosi come enti di beneficenza, finanziano progetti infrastrutturali negli insediamenti illegali, spesso con donazioni estere. Tra questi, il Jewish National Fund, storicamente impegnato nella sottrazione di terre palestinesi, è indicato come attore chiave nella strategia del “replacement”. Il rapporto sottolinea la necessità di monitorare il settore caritatevole che, sotto la copertura umanitaria, può essere veicolo di espulsione, segregazione e colonialismo.
7. Settore estrattivo e risorse naturali: depredare la terra
Aziende israeliane e internazionali sfruttano le risorse naturali della Cisgiordania e di Gaza, incluse cave, gas, acqua e suolo agricolo. Questo avviene in violazione del diritto internazionale, che vieta alla potenza occupante di trarre profitto dai territori occupati. I profitti arricchiscono l’economia israeliana, mentre ai palestinesi è negato l’accesso a beni vitali. Il rapporto denuncia come questo saccheggio strutturale alimenti una forma di colonialismo ecologico, volto all’annientamento.
8. Servizi e logistica: ingranaggi del sistema
Imprese di trasporto, telecomunicazioni e servizi postali agevolano la mobilità esclusiva degli israeliani nei territori occupati, costruendo infrastrutture segregate. Compagnie di shipping internazionali, come Maersk, sono coinvolte nella catena logistica che alimenta l’industria militare. Il rapporto mostra come queste aziende operino in sinergia con lo Stato israeliano, contribuendo alla frammentazione territoriale palestinese e al mantenimento del controllo coloniale.
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