Giornalismo
È morto Emilio Fede, ex direttore del Tg4: trasformò il telegiornale in spettacolo per tifosi
Il giornalista si è spento a 94 anni a Milano. Dalla Rai a Mediaset, una carriera lunga e controversa: fu tra i primi a trasformare il telegiornale in spettacolo, con forti implicazioni sull’evoluzione (e il deterioramento) del giornalismo televisivo italiano.
Emilio Fede, giornalista e conduttore televisivo, è morto oggi all’età di 94 anni in una residenza sanitaria a Segrate, vicino Milano. Era da tempo ricoverato per gravi problemi di salute. Accanto a lui, nelle ultime ore, la figlia Sveva e i nipoti. La famiglia, inizialmente riservata sulle condizioni del giornalista, ha poi confermato la notizia, sottolineando il rispetto ricevuto dai colleghi in questi ultimi giorni.
Fede è stato per oltre mezzo secolo uno dei volti più noti dell’informazione televisiva italiana, prima nel servizio pubblico, poi nell’emittenza privata, con la quale ha contribuito in maniera significativa — e controversa — al cambiamento dei linguaggi giornalistici.
Nato a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1931, Fede inizia la carriera da giornalista nella carta stampata. Entra in Rai nel 1954 e vi rimane per oltre trent’anni. Dopo incarichi da inviato speciale, soprattutto in Africa, nel 1976 diventa conduttore dell’edizione serale del Tg1. Ne sarà poi direttore tra il 1981 e il 1983, dopo la rimozione di Franco Colombo, coinvolto nello scandalo P2.
Nel 1987 lascia la Rai dopo essere stato coinvolto in un’inchiesta per gioco d’azzardo. L’anno dopo approda a Rete A e, nel 1989, viene chiamato da Silvio Berlusconi a dirigere Videonews e, successivamente, Studio Aperto. Nel 1992 diventa direttore del Tg4, incarico che manterrà fino al 2012.
In questo ruolo, Fede imprime un’impronta personale e fortemente ideologica al notiziario, trasformandolo in una piattaforma di comunicazione marcatamente schierata, in particolare a sostegno del fondatore di Fininvest. Il TG4, sotto la sua direzione, diventa un laboratorio di infotainment politico, in cui l’informazione si mescola con elementi teatrali, narrazione personale e propaganda esplicita.
Fede ha avuto un ruolo centrale nel processo di progressiva spettacolarizzazione dell’informazione televisiva. La sua conduzione del TG4, fortemente incentrata sulla sua persona, ha contribuito alla trasformazione del notiziario da prodotto giornalistico collettivo a vetrina individuale, fortemente faziosa e orientata a influenzare l’opinione pubblica in senso partigiano. Passerà alla storia (grazie anche a Nanni Moretti che ne fece l’incipit del suo film Aprile), l’annuncio della vittoria alle politiche del 1994 di Silvio Berlusconi, suo editore e leader di Forza Italia.
Le sue edizioni erano caratterizzate da editoriali quotidiani, toni spesso enfatici, uso di slogan, semplificazioni e, in alcuni casi, deformazioni dei fatti a fini politici e sfuriate. La figura del giornalista imparziale e osservatore esterno veniva così superata in favore di un direttore-animatore, interprete e regista del racconto.
Nonostante le numerose critiche ricevute per la sua mancanza di equilibrio, Fede ha mantenuto salda la guida del TG4 per vent’anni, complice la piena sintonia con la linea editoriale del gruppo Mediaset. Fu allontanato nel 2012, in una fase di ristrutturazione interna del settore news dell’azienda.
Negli anni successivi al suo licenziamento, Fede è stato al centro di vicende giudiziarie legate al cosiddetto caso “Ruby bis”. Condannato per favoreggiamento della prostituzione, ha scontato parte della pena ai domiciliari, a causa dell’età avanzata. In parallelo, è diventato oggetto di parodia ricorrente in programmi satirici come Striscia la Notizia, che ha documentato molte sue sfuriate e atteggiamenti dietro le quinte, con il suo esplicito consenso.
Questi momenti, a metà strada tra la gaffe e la consapevole auto-rappresentazione, hanno ulteriormente spostato la sua figura dal campo del giornalismo a quello dell’intrattenimento, accentuando la sua identificazione come personaggio televisivo prima ancora che come giornalista.
La parabola professionale di Emilio Fede può essere letta anche come il simbolo di una più ampia crisi del giornalismo televisivo, in cui l’approfondimento e il pluralismo hanno ceduto il passo a formule comunicative basate sull’identificazione ideologica, sull’invettiva e sull’intrattenimento.
Il suo TG4 ha precorso modalità comunicative oggi molto diffuse, che confondono costantemente informazione, opinione e spettacolo. In questo senso, Fede è stato non solo protagonista, ma anche precursore e responsabile di una mutazione che ha eroso la credibilità dell’informazione televisiva, aprendo la strada a format sempre più costruiti sull’engagement emotivo e sulla polarizzazione.
Negli ultimi anni Fede ha vissuto tra Napoli, Roma e Milano. Dopo la morte della moglie Diana De Feo — giornalista e senatrice, scomparsa nel 2021 — si è ritirato progressivamente dalla scena pubblica. Ricoverato in una RSA, le sue condizioni si sono aggravate nelle ultime settimane. La figlia Sveva ha confermato il decesso, ringraziando i giornalisti che hanno seguito con rispetto la fase finale della sua vita.
I funerali si terranno a Milano 2, presso la parrocchia “Dio Padre”, dove la famiglia ha vissuto durante gli anni della direzione Mediaset.
Emilio Fede ha attraversato oltre cinquant’anni di storia dell’informazione italiana. Se da un lato ha saputo adattarsi ai cambiamenti del mezzo televisivo, dall’altro ha contribuito in modo significativo all’indebolimento dei confini tra notizia e spettacolo, tra informazione e propaganda. La sua morte segna la fine di un’epoca, ma anche l’occasione per riflettere su quanto quel modello — fortemente personalizzato e orientato — abbia influenzato, e in parte compromesso, il rapporto tra giornalismo e opinione pubblica nel nostro Paese.
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