
Giornalismo
Presa Diretta, non è antisemitismo, ma su Gaza vanno raccontati anche i crimini di Hamas
Vorrei ringraziare Gad Lerner per aver voluto aprire uno spazio di confronto pubblico sulle pagine di Instagram e poi di Facebook assicurando la sua solidarietà e facendo i complimenti a Riccardo Iacona e alla sua trasmissione “Presa Diretta”, che ha offerto al pubblico italiano due importanti testimonianze di giovani reporter palestinesi dalla Striscia di Gaza. L’intento era quello di difendere il giornalista dall’accusa di antisemitismo che gli è stata mossa con un esposto indirizzato all’ufficio del coordinatore nazionale per la lotta all’antisemitismo. Io penso che non sia con la parola chiave “antisemitismo” che si affrontano le questioni in campo. In questo senso, l’accusa mossa a Iacona è a mio parere infondata. Sono convinto che sia sbagliato e distorcente tirare in ballo l’antisemitismo ogni volta che si parla della tragedia di Gaza. L’antisemitismo è un fatto grave, una piaga delle nostre società contemporanee, e va individuato e combattuto a ragion veduta anche perché ha molto peso nel conflitto mediorientale. Tuttavia qui è fuori contesto.
Lerner ha voluto ribattere a quel linguaggio replicando con un giudizio di “ammirazione” per l’“impeccabile reportage” incastonato nella trasmissione di Rai Tre. In questo contesto, io penso che sul ruolo del giornalismo nel conflitto di Gaza sia necessario avviare una riflessione più articolata. Non c’è dubbio che i documenti filmati, montati e tradotti per il pubblico italiano realizzati dalla giovane fotografa Fatema, che vive nella città di Gaza, e dal giovane giornalista Hassan, che lavora a Khan Younis, siano molto importanti. Raccontano da due punti geografici diversi nella Striscia (una a Nord, l’altro a Sud) gli effetti e in alcuni casi le dinamiche della guerra in quei territori in questi ultimi mesi. Vanno, naturalmente, contestualizzati. O almeno, così avrebbe dovuto fare una trasmissione giornalistica di servizio pubblico che offre il documento/inchiesta e poi lo commenta. Io, da semplice spettatore, avrei voluto essere informato su alcune questioni. Ad esempio la tempistica: le due testimonianze sono state prodotte nel corso delle settimane di tregua tra Hamas e Israele, concordate per la liberazione di parte degli ostaggi civili israeliani (vivi e morti) e per sollevare la popolazione civile di Gaza con l’invio di aiuti umanitari. Ce n’è traccia, grazie a una bella e struggente visione intimistica e umana, nel racconto di incontri tra persone (amici e parenti) che da Nord a Sud sono stati divisi dalla guerra per mesi e si ritrovano vivi ad abbracciarsi. Un bel documento, inedito, che merita di essere conosciuto, perché non entra nel giudizio politico ma ci parla di umanità violata (come avviene sempre, in tutte le guerre). Tuttavia, nel contesto temporale di quel reportage, una trasmissione come “Presa Diretta” che si è data poi il compito di commentare politicamente quel reportage con la voce di Francesca Albanese, Relatrice Speciale dell’Unhcr per i territori palestinesi occupati, andava ricordato anche altro. Andavano, cioè, offerte immagini a corredo di quelle realizzate da Fatema e Hassan.
Ad esempio, andavano mostrate le riprese prodotte dal potere ufficiale di Hamas che metteva in scena la restituzione degli ostaggi accolta dal popolo palestinese festante mentre questi civili israeliani, strappati dalle loro case più di un anno prima e deportati nei tunnel, venivano umiliati e disprezzati. Oppure andavano mostrate e spiegate le manifestazioni di altri civili palestinesi che negli stessi giorni contestavano Hamas e chiedevano la fine della guerra. Voglio dire che il registro linguistico del reportage meritava più rispetto. O lo si leggeva per quel che è e lo si lasciava come documento alla libera visione dello spettatore, oppure – se ci si voleva addentrare nel giudizio politico – la storia andava raccontata nella sua completezza e complessità. Si è scelto invece di utilizzare le immagini di un reportage per veicolare un giudizio politico. Ed è un peccato, perché nel reportage offerto da Fatema ci sono elementi di grande rilievo che meritavano di essere valorizzati perché restituiscono proprio la complessità e l’articolazione di una realtà che non può essere raccontata in bianco e nero. Per fare solo un esempio: le straordinarie immagini di Gaza dall’alto girate prima dell’inizio della guerra dall’amico operatore di droni, poi ucciso durante un bombardamento. Ci mostrano una città bella, si direbbe quasi ricca, vivace, animata. Immagini che vanno messe a confronto con la distruzione di oggi, ma che vanno anche discusse con chi ha descritto Gaza come una “prigione a cielo aperto”. Non intendo inoltrarmi in questa fin troppo facile retorica. So bene che, nonostante le immagini idilliache del dronista, Gaza ha vissuto per decenni una condizione gravissima sul piano umanitario e politico. Ma è oggettivo, dopo aver visto quelle immagini, e dopo aver assistito alla sfilata delle impeccabili e pulitissime uniformi dei militi di Hamas, dei loro bianchi furgoni tirati a lucido, delle decine di migliaia di costosi missili e di droni lanciati su tutta Israele, dei loro straordinari e fornitissimi arsenali e della loro strabiliante abilità comunicativa, è oggettivo, dicevo, constatare che la realtà di cui stiamo parlando è decisamente più complicata di quella che può restituire la crudezza delle immagini di quel reportage.
Non concordo, quindi, con il giudizio positivo sul valore di quel servizio giornalistico. Si è trattato a mio parere di un lavoro che ha dato spazio a una visione della realtà in bianco e nero, articolata artificialmente in vittime e carnefici, e questo non aiuta innanzitutto le vittime, che sono tante, su tutti i fronti (quanto sarebbe bello – e onesto – che “Presa Diretta” dedicasse un po’ di spazio alle condizioni di vita degli israeliani sotto le bombe o detenuti nei tunnel di Gaza, ai villaggi devastati dalla guerra, alle proteste antigovernative in Israele). In questo, la scelta di dare spazio alla “Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori occupati dal 1967”, è stata emblematica. I diritti umani comprendono tra l’altro: eguaglianza di genere, libertà di parola, libertà di stampa, libertà religiosa, accesso all’istruzione, libertà di movimento, diritti sindacali, diritti politici, accesso alle fonti energetiche e idriche. Tutte queste libertà sono certamente violate dall’occupazione militare in Cisgiordania (come non si stanca di sottolineare Albanese), ma lo sono anche dall’Autorità Nazionale Palestinese e da Hamas, che dal 2007 ha imposto un regime oppressivo e autoritario sulla Striscia di Gaza. E su questo fatto gli spettatori non hanno sentito neppure un cenno. Le immagini crude e realistiche realizzate da Fatema e da Hassan avrebbero meritato maggior rispetto e considerazione, per non trovarsi ridotte a troppo facili strumentalizzazioni.
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