Immigrazione
Migrazioni, un fenomeno inarrestabile
Il fenomeno delle migrazioni è una questione attuale, riguardante la globalizzazione., non può essere rimandato o trascurato o addirittura ignorato. Come affrontare il problema?
Le ultime statistiche sulle migrazioni dei popoli, ragguagliano su una questione che investe tutto il globo terraqueo. Nel 2020 i migranti internazionali erano 281 milioni: quattro uomini su cento della popolazione mondiale! Un dato impressionante, che è in grande crescita rispetto al passato, basti pensare che negli ultimi 50 anni il numero stimato dei migranti internazionali è aumentato notevolmente, facendo contare nel 2020 128 milioni in più rispetto al 1990 (153 milioni) e fino a tre volte in più rispetto al numero stimato nel 1970 (84 milioni).
Le mete sono: l’Europa con 87 milioni (il 30,9% della popolazione migrante totale), seguita dall’Asia con 86 milioni (30,5%), dall’America settentrionale con 59 milioni (20,9%) e dall’Africa che ne ospita 25 milioni (ovvero il 9%).
Da non trascurare le migrazioni interne. Il dato Istat avverte che nel biennio 2023-24 gli espatri dei cittadini italiani sono stati 270mila, con un aumento del 40 % rispetto al biennio precedente, dato incredibile! Le immigrazioni dei cittadini stranieri (760mila, +31,1%) hanno raggiunto valori mai osservati negli ultimi 10 anni. Infine, dato mai preso in considerazione, i trasferimenti di residenza tra Comuni italiani, che hanno interessato un milione 424mila individui. In particolare, i trasferimenti dal Mezzogiorno al Centro-Nord nel biennio 2023-24 sono stati 241mila, quelli sulla rotta inversa 125mila, determinando una perdita di 116mila residenti nel Mezzogiorno.
La globalizzazione ha reso nazioni e popoli sempre più vicini; nonostante questo si assiste, negli Stati Uniti e nell’Europa, a un irrigidimento isolazionista in parte dovuto all’incapacità di questi paesi nel programmare un’accorta, lungimirante politica di integrazione sociale e culturale. Gli spostamenti di popolazioni, da continente a continente, propri dell’umanità, originariamente nomade, ancor oggi attivi, e in grande aumento, come i dati statistici rivelano, non possono essere arrestati in alcun modo, ed assumono i più vari aspetti, dall’emigrazione intellettuale, a quella per la ricerca di migliori opportunità di lavoro e di vita a esodi interni, dai piccoli centri rurali o montani verso i grandi conglomerati urbani: ci sono metropoli dove le stime non sono attendibili, a causa degli aumenti quotidiani di popolazione.
Un problema attualmente tra i più rilevanti, che occupa i maggiori quotidiani nazionali e internazionali, riguarda le migrazioni di gruppi e di etnie provocate da conflitti locali, che gli Stati economicamente più forti interessati dai flussi stanno cercando di arginare se non di scongiurare, usando motivazioni e affermazioni spesso sconvolgenti, come quella di alcuni politici italiani secondo i quali la risoluzione della questione risiederebbe nel non farli partire, occultando le vere ragioni di un tale fenomeno, marchiato come “traffico di esseri umani” controllato da mafiosi e scafisti, quando questi delinquenti costituiscono soltanto l’ultimo anello di un processo ben più ampio e doloroso, che forse trae origine proprio dalle politiche di sopraffazione colonialiste e razziste messe in opera da diverse nazioni europee nel Novecento – basti pensare alle colonie francesi, conquistate, sottomesse, depauperate, poi perfino messe alla berlina nell’Expo di Parigi del 1900, quando furono esposte ricostruzioni delle capanne indigene africane con i loro abitanti esibiti come esotiche fiere da circo equestre.
In Italia docenti universitari, studiosi, ricercatori cercano di determinare confini e contenuti della nuova società interculturale che sta prendendo forma nel pianeta. Uno studio di notevole rilevanza, e di stretta attualità è “Epistemologia dell’intercultura. La costruzione culturale della realtà” di David Comincini, edita da Carocci, che si serve di una disciplina alquanto innovativa per attuare una lettura filosofico-pedagogica del rapporto tra realtà multiculturale e relazioni interculturali. Che cosa giustifica il ricorso all’epistemologia, a un pensiero filosofico e pedagogico? L’interculturalità prevede che le differenze debbano interagire per modi e prospettive che possano essere valutati alla luce di un’idea condivisa di ciò che è giusto, pertanto, afferma lo stesso autore, l’approccio può e deve essere multidisciplinare, quindi di natura pedagogica ed ermeneutico-filosofica. Nell’affrontare il tema dal punto di vista di un’etica delle relazioni interculturali e di un’epistemologia della pedagogia interculturale si può comprendere come le categorie cognitive del pensiero occidentale, fondate sui dualismi oggettivo-relativo, oggettivo-soggettivo, universale-relativo, fatto-valore, esiziali se interpretate in senso assoluto, ostacolino la nascita di un pensiero che comprenda la diversità riconoscendola come tale. Dalla decostruzione categoriale si passa poi ai contorni di un’ontologia dei contenuti culturali di tipo costruzionista e interazionista, all’autocomprensione del tempo globalizzato. Va inquadrato l’orizzonte di senso della mondializzazione con il riconoscimento della differenza, dell’altro come partner ineludibile, fondando un’apertura all’altro mediante un’etica della comprensione. Non è un discorso scontato e non sono solo concetti astratti, bensì costituiscono il fondamento logico ed etico di un processo interculturale attraverso la “costruzione culturale della società”. Insomma, va previsto, conosciuto e ri-conosciuto l’assetto sociale come un fenomeno in continua mutazione, altrimenti si rischia di porsi fuori dal tempo e di cadere nelle maglie di una falsa propaganda di nazionalismi che non hanno più ragion d’essere.
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