Italia
Amare chi ha fatto del male è scandaloso, ma non è un reato
Ogni sera lo aspetta. Ha lavato i suoi vestiti. Ha piegato le magliette. Nessuno la inquadra. Nessuno la racconta. Ma lei è lì. E non ha mai smesso di volergli bene.
La madre dell’abusante prepara il tè. Non lo dice a nessuno. Lo prepara come ogni sera. Un gesto identico. Un orario preciso. Un’abitudine che nessuno può guardare senza voltarsi. Il figlio ha toccato una bambina. Una cugina. Una sorellastra. Un’amica di famiglia. Tutti lo sanno. È finito sui giornali. È stato condannato. È stato definito mostro, bastardo, malato. Lei no. Lei non lo ha difeso. Ma nemmeno ha smesso di amarlo. Ha abbassato la testa. Ha chiuso le finestre. Ha smesso di andare a messa. Ma ogni sera prepara il tè. Ha lavato i suoi vestiti. Ha piegato le magliette. Ha conservato le lettere del carcere. E ha smesso di parlare con chi le diceva “devi tagliare i ponti”. Lei non taglia niente. Lei non sa come si fa. Lei sa solo che è suo figlio. Che ha fatto una cosa orribile.
Ma che nessuno l’ha visto crescere. Nessuno l’ha sentito piangere di notte. Nessuno sa cosa gli è stato fatto. Nessuno sa chi l’ha toccato prima. E allora lei tace. Lei fa il tè. E aspetta. Aspetta il giorno in cui tornerà. E non sa se lo potrà guardare. Non sa se lo potrà toccare. Non sa nemmeno se riuscirà a parlargli. Ma intanto prepara. Nel nostro Paese parliamo sempre delle vittime. E facciamo bene. Ma non parliamo mai dei colpevoli. Non per giustificarli. Non per capirli. Ma per dire che esistono. Che vivono. Che hanno una madre. Una casa. Una porta che si apre. E se oggi non siamo capaci di stare in quel luogo senza giudizio, allora abbiamo perso tutto. Perché amare chi ha fatto del male non è un reato. È la cosa più scandalosa che resta. E chi ama l’abusante non è complice. È condannato all’ergastolo più profondo. Quello che non ha tribunale. Quello che si consuma ogni sera. Quando apparecchia per due. E nessuno arriva.
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