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7 punti sulla Questione Palestinese

25 Settembre 2025
1) La nascita e la genesi storica dello Stato di Israele è contraria a tutti i principi del diritto internazionale e della convivenza pacifica tra i popoli (art. 1-2 Carta Nazioni Unite, art. 49 IV Convenzione Ginevra, Dichiarazione 2007, Statuto di Roma 1998). Tuttavia, quegli stessi principi stabiliscono L’ATTUALE esistenza e legittimità dello Stato di Israele (“uti possidetis juris”). Anche se una nazione è nata da violenza coloniale illegittima, le seconde generazioni di quella nazione non ereditano alcuna colpa, e ottengono il rango di popolazione stabile che non può essere deportata. Ecco un esempio semplice per far capire che Israele NON POTEVA nascere ma che ormai NON PUÒ essere cancellato: i nativi americani non possono rivendicare il Minnesota perché lo abitavano secoli prima, scacciando la popolazione attuale, né possono dividere il Minnesota a metà, dunque -> il sionismo non poteva rivendicare lo spazio palestinese, né dividerlo a metà come accaduto nel 1948, ma neanche i palestinesi possono rivendicare quello spazio ormai rubato, perché le seconde generazioni israeliane (e americane) non ereditano il peccato coloniale. Attualmente il diritto internazionale è orientato verso la soluzione (ormai solo teorica) dei Due Popoli Due Stati, e protegge sia lo Stato di Israele, sia lo Stato di Palestina (appunto stabilendo che quest’ultimo è occupato illegalmente da Israele). Il trucco retorico di Israele è considerare la propria violenza come legittima difesa perenne in un contesto di soggetti arabi ostili (e in parte è anche vero), ma questo non può valere finché occupa territori altrui, perché l’occupante non ha mai diritto di difendersi. La violenza “preventiva” esercitata da Israele, se da un lato lo pone in vantaggio sul piano della forza, lo indebolisce sul piano del diritto. Per questo motivo Hamas NON È un’organizzazione terroristica per il diritto internazionale, mentre singoli suoi atti sono stati definiti terroristici. Se Hamas lancia missili su obiettivi militari a Tel Aviv compie un atto che può essere considerato legittimo (Israele NON HA abbandonato Gaza nel 2005, secondo tutti gli osservatori internazionali); se Hamas fa strage di civili (come il 7 ottobre) compie un atto terroristico in virtù della Risoluzione 1269 del 1999.
2) Un altro cavallo di battaglia della propaganda israeliana è la convinzione che il sionismo sia entrato in Palestina in perfetta legalità, “acquistando” immobili, terreni, aziende. Peccato che anche questo, per ovvie ragioni, è assolutamente vietato dal diritto internazionale (Risoluzione 1514 del 1960), oltre ad essere una verità solo parziale sulla penetrazione sionista in Palestina. 100 italiani possono comprare case in Albania, rispettando leggi e limiti imposti dalle autorità albanesi, ma 100.000 italiani non possono farlo in modo coordinato nel breve o medio periodo, soprattutto se organizzati intorno a un’agenzia di immigrazione (come era l’Agenzia Ebraica), e se il loro ingresso nel nuovo Paese finisce per sostituire o marginalizzare la popolazione autoctona. Occorre ricordare a qualcuno che il colonialismo è proprio questo: si fa con i soldi, non solo con le armi. Ed è illegale. Capiamo bene, dunque, come l’atto di nascita di Israele (che è anche l’atto di nascita delle Nazioni Unite) contraddice tutti i principi delle stesse Nazioni Unite, ed è il peccato originale che spiega il fallimento di questa organizzazione. Una decisione sciagurata che assegnò la maggioranza del territorio palestinese a una minoranza ebraica e che diede inizio a una guerra secolare, decisione istigata da attentati e omicidi sionisti (bomba all’Hotel King David e omicidio del mediatore ONU Bernadotte) e dall’influenza politica che le lobby sioniste seppero esercitare sulle due superpotenze, Usa e Urss.
3) Al contrario di quanto sostiene la storiografia mitologica sionista (vedi Harari), la genesi della nazione israeliana non ha nulla a che fare con la storia delle nazioni europee, che sono state inevitabili costruzioni umane, ma che formalizzavano politicamente un humus culturale preesistente sul territorio (più o meno distinto, più o meno omogeneo), in certi casi persino aiutate dalla geografia che condiziona i popoli e suggerisce i confini. Israele non nasce su una realtà preesistente, ma come progetto del tutto artificiale su un territorio altrui, con necessità di trasferire una popolazione per ESPELLERE quella autoctona. La sua collocazione geografica è del tutto arbitraria, e poteva ugualmente essere creato in Uganda o in Argentina, come da ipotesi iniziali. La sua genesi non appartiene alla storia dei movimenti nazionali, ma dei movimenti coloniali, come il Congo Belga o la Rhodesia.
4) Invece, la storia della nazione palestinese (la cui esistenza è negata da certo revisionismo sionista) somiglia molto alla storia risorgimentale italiana. Per le classi intellettuali, dalla Sicilia alla Lombardia, l’Italia è esistita per secoli come entità culturale unitaria (chi ha un po’ di cultura lo sa); per il volgo italiano delle diverse regioni, invece, l’Italia esiste da quando i mondiali di calcio sono trasmessi in TV, e prima nessuno ne aveva mai sentito parlare. Anche la Palestina è esistita, più o meno a partire dall’Ottocento, solo nelle menti dei palestinesi colti, che comprendevano come quel pezzo di terra fosse qualcosa di non riducibile al panarabismo esibito dai vicini prevaricatori (giordani, egiziani) né tantomeno al colonialismo ottomano, britannico o sionista. Per il volgo palestinese, invece, la Palestina esiste a partire dalla prima repressione della prima grande rivolta anticoloniale (1936), perché nulla più di un massacro cementa l’identità di un gruppo sociale, e stabilisce con nettezza chi siamo “noi” e chi sono “loro”. L’unica differenza tra Italia e Palestina, è che gli inglesi hanno voluto l’Italia, ma non hanno voluto la Palestina. Senza gli inglesi, i nostri eroi risorgimentali sarebbero degli Al-Qassam qualunque, martiri inutili di una storia sconfitta.
5) Per noi coscienze occidentali, il sionismo è il classico oggetto psichico su cui proiettiamo il nostro peccato e su cui ci avventiamo, per non sentirci in colpa. Ma il sionismo siamo noi. Un qualunque occidentale è più compromesso con il sionismo di un qualunque ebreo. Prima di essere un fenomeno ebraico, il sionismo è un fenomeno tipicamente occidentale, inscritto nel colonialismo ottocentesco, cioè nella spartizione europea del mondo. Gli ebrei del primo Yshuv, la minoranza ebraica che non ha mai abbandonato la Palestina dopo la Diaspora (70 dC), hanno sempre recepito con ostilità quella colonizzazione europea e straniera chiamata sionismo, intrisa di “corruzione morale” occidentale. L’antisionismo, se non si accompagna all’anticolonialismo, rischia effettivamente di diventare antisemitismo, proiettando sugli ebrei il NOSTRO colonialismo.
6) Certo, il sionismo è un epifenomeno dell’imperialismo britannico, che cercava un avamposto in Medio Oriente per aprire il commercio verso l’India e accedere al petrolio arabo, utilizzando come testa di ponte prima le comunità anglicane, poi le colonie sioniste. Tuttavia, il sionismo ha comunque una sua componente specifica e distintiva legata a un nucleo etnico-religioso, che ha fatto di Israele la roccaforte militare del terrorismo fondamentalista ebraico, una mina vagante incontrollabile persino per i suoi potenti protettori (USA e UK), un pericolo per tutto il mondo. Non solo apartheid e razzismo, non solo sfruttamento e occupazione, come ogni colonialismo. Ma anche un fanatismo messianico e identitario che pervade la società israeliana, in modo non dissimile da quanto accadeva nella società tedesca degli anni ’30, e che ha fatto fuggire molti ebrei liberali da Israele. All’epoca, la comunità internazionale e gli intellettuali di tutto il mondo non si limitarono a condannare il nazismo come un semplice governo o partito, ma analizzarono il fenomeno collettivo di una società quasi interamente nazificata. Oggi siamo chiamati alla stessa comprensione per inquadrare la stessa ideologia genocidaria, che in Israele si presenta con caratteristiche da manuale. Solo la disonestà intellettuale accusa questa visione di insieme di essere “antisemita”, come se accusassimo le analisi di Primo Levi della società tedesca di essere “antigermaniche”, solo perché non si limitavano a criticare un governo, ma anche la sua legittimazione sociale diffusa. Il tedesco che si pulì le mani sull’uniforme di Levi, come se fosse una pelle animale o uno straccio, era un normale professore di chimica, non una SS, non un militante nazista; ed è come l’israeliano medio (di destra o di sinistra) che si stupisce quando Israele è accusato di violare i diritti umani, e si stupisce perché non considera i palestinesi esseri umani. La disumanizzazione del nemico, premessa di ogni sterminio, è ampiamente documentata in Israele.
7) Non credo che la reazione dell’opinione pubblica occidentale sia del tutto inutile. Spiego perché. I nazisti non volevano necessariamente sterminare gli ebrei. Inizialmente volevano solo deportarli (vedi il Piano Madagascar, ad esempio). Li hanno sterminati solo perché non c’era più tempo e volevano “risolvere la questione ebraica”. Allo stesso modo, gli israeliani non hanno mai voluto sterminare i palestinesi. Gli scarafaggi non devono per forza essere uccisi, basta che non ci siano. Vogliono solo cacciare i palestinesi dalle loro case e dalla loro terra. Li uccidono solo se si ostinano a non andarsene. Questo i sionisti lo dicono esplicitamente e tranquillamente dal 1882 (primo anno ufficiale della colonia sionista). Ma siccome ora i palestinesi non hanno dove fuggire, vi è il serio pericolo che sia accarezzata l’idea dello sterminio completo, semplicemente perché più funzionale. L’attenzione mondiale per la questione palestinese potrà forse orientare Israele a rinunciare a uno sterminio più veloce e funzionale, per costruire invece delle riserve indiane dove ammassare i profughi, nell’attesa che si estinguano da soli ai margini della nuova società israeliana. Altro non si può fare, né si può salvare la Cisgiordania. Perché occorre ricordare un punto importante. La Palestina è morta nel 1948. Un popolo e una storia, intere metropoli, città e villaggi, una cultura rurale millenaria, tutto è stato spazzato via, già 75 anni fa. Le poche zone rimaste (illegalmente occupate da Israele) sono quelle che erano state momentaneamente salvate dalla prima Nakba, ma solo perché occupate da vicini arabi ostili, carnefici ulteriori di un popolo martoriato. I palestinesi si sono trovati imbottigliati in un vicolo cieco della storia. Non hanno alleati potenti, non hanno deterrenza militare, non hanno carte da giocare nel grande gioco del mondo. Non hanno alcuna speranza. Nessuno verrà a salvarli. Assistiamo alla loro cancellazione da questa Terra, anno dopo anno, come già accadde ai nativi d’America.
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