Mondo
Un intero mondo al bivio, l’ultima svolta possibile prima dell’autoritarismo globale
Nel combinato disposto tra la nuova iniziativa di guerra lanciata da Israele contro l’Iran, il perdurare dell’attacco della Russia all’Ucraina e la normalizzazione della violenza anche su i fronti interni come i recenti scontri di Los Angeles e la caccia all’immigrato in Irlanda del nord, stiamo attraversando una nuova drammatica torsione.
Sono in molti in questi anni a trovare significative analogie politiche culturali, di spirito del tempo, tra la nostra epoca e gli anni venti e trenta del novecento; la crisi delle vecchie democrazie liberali che non ressero l’urto del protagonismo delle masse popolari, della crisi economica del 1929 e provocheranno la nascita di nazionalismi identitari e revanscismi che prepareranno il terreno al nazifascismo e alla guerra mondiale.
In quegli anni, Ernest Bloch affermava che l’uomo non vive di solo pane, «soprattutto quando non ne ha» perché è proprio nelle situazioni di grave crisi che gli uomini necessitano, vivono e consumano più immaginario, dove masse disorientate, impaurite diventano meno sensibili alle argomentazioni razionali e più permeabili alle suggestioni che operano sul piano emozionale, dove ideologie e stereotipi trovano sempre un terreno fertile per attecchire in tutte le fasi di profonda difficoltà e disorientamento.
Non è solo il mero dato socioeconomico a favorire e alimentare le divisioni e le polarizzazioni, ma sono anche e soprattutto i fattori culturali, la morale individuale, la visione della propria “identità”, le proprie paure, la percezione di essere messi ai margini della società , che si dimostrano più importanti, nella politica e nella storia, dei conflitti economici.
Da tempo è in corso una sorta di secessione del popolo e di una parte consistente delle fasce intermedie della società, di fronte ad un nuovo rapporto tra masse e potere, dove i tradizionali meccanismi di salvaguardia democratica potrebbero venir sostituiti di fatto dall’agglutinamento del potere in modelli autoritari, capaci di sollecitare quella pulsione d’ ordine e sicurezza diffusa tra larghi strati dell’opinione pubblica, per riaffermare il proprio primato.
La politica contemporanea sembra ormai volersi consegnare al populismo, su parole d’ordine allo stesso tempo identitarie e divisive, revansciste e moderne, la rappresentanza e la voce a ceti e gruppi sociali che la politica non riusciva più a raggiungere, un mondo che ha patito su più livelli il processi di modernizzazione e globalizzazione, che ha paura, si sente insicuro, abbandonato impoverito e dimenticato.
Bisogna capire le ragioni profonde di questa conversione identitaria che viene manipolata e sfruttata politicamente, ma che per molti resta l’ ultima e unica difesa. Non importa a cosa appartenere, l’importante è appartenere, il che implica sempre un essere-contro, un contrapporsi, rimarcare una distanza e un timore
Sintomo di questo situazione anche l’inaspettato numero di voti contrari al dimezzamento dei tempi per la richiesta di cittadinanza agli immigrati nel referendum dell’ 8 Giugno: quello che con diplomazia semantica raffinata viene chiamato “antropologizzarsi” del voto nei territori e nelle città, di fatto è la fotografia di una nuova dinamica di diseguaglianza di classe e di ceto.
Dinamica che progressivamente a partire dai primi anni duemila, ha portato ad un inversione degli orientamenti di voto di massa, dove a sinistra la composizione sociale del suo elettorato ormai è sostanzialmente rappresentata da ceti abbienti, delle professioni, della scuola e universitari e parte del mondo del lavoro più garantito, mentre da tempo i ceti popolari e quelli più in sofferenza socioeconomico e culturale votano per formazioni di destra e vivono l’accesso alle misure di welfare in competizione con le fasce di popolazione immigrata
Vi è ancora una incapacità di lettura di questi processi politici e di metamorfosi di fondo del corpo sociale, ripercorrendo sempre gli stessi errori e la coazione a ripetere sempre le stesse proposte e messaggi politici, tra paure esasperate e superficiali appelli di solidarietà. Se non saremo in grado di mettere le mani nel piatto, decifrare i codici e le tonalità emotive e affrontare le radici del malessere, della rabbia, della regressione e delle involuzione si affermeranno sempre più i portatori dei nuovi autoritarismi.
Le democrazie stanno attraversando momenti critici e un bivio che potrebbero essere storici. Le prolungate tensioni internazionali e i conflitti, non sono semplici eventi esterni, ma agiscono come catalizzatori, alimentando un clima di emergenza perenne, che finisce per favorire e consolidare l’ascesa di movimenti autoritari.
Ci sentiamo impotenti. Le manifestazioni di protesta, di indignazione e identitarie, ci lasciano comunque nell’ incertezza. Tuttavia questa situazione non può essere un destino ineluttabile, un percorso predefinito o un vicolo cieco; al contrario un processo in divenire, una storia suscettibile di essere riscritta. Forse proprio in questo essere malleabile risiede la nostra attuale vulnerabilità, ma anche la nostra più grande speranza.
Questa accettazione non è una rassegnazione al fluire degli eventi, ma piuttosto dovrebbe essere da parte dei decisori politici ed istituzionali , l’ assunzione di un coraggio visionario a tratti un po’ insensato, l’ottimismo della volontà che ci riporti ad un valore ultimo: provare a cambiare il paradigma e riaffermare la sacralità della vita , delle relazioni sia all’interno di una comunità politica sia di ogni individuo.
Si confrontano visioni diametralmente opposte: la democrazia come garanzia del pluralismo che significa difendere la co-esistenza di diverse identità e prospettive, basandosi su regole e tutela uguali per tutti.
Dall’altro, un istituzione ridotta a mero agire comunicativo dell’ era digitale, che dietro “noi il popolo”, l’esaltazione di una supposta diretta e autentica espressione della volontà popolare, nasconde la difesa e l’ egemonia di interessi proprietari e di potere di chi la evoca.
È un inganno retorico che mira a sovvertire i principi fondanti della democrazia stessa.
Occorre tenere salda la bussola per orientarci nel continuare a lottare per la tenuta di una reale democrazia politica e una composizione dei conflitti con gli strumenti e la forza del diritto, delle costituzioni, del liberalismo, il diritto può essere tecnica del potere oppure l’unica tutela reale possibile dei senza potere, dipende da noi.
Solo queste consapevolezze ci consentiranno di affrontare gli snodi drammatici del tempo di guerra che stiamo attraversando.
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