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Gaza

Mondo

Per un nuovo internazionalismo

di Mauro Montalbetti

L’esempio della Global Flotilla, consapevoli del suo significato in gran parte solo politico e simbolico, può e deve essere esteso altrove dall’Ucraina ai conflitti dimenticati. La denuncia della violenza e la sacralità dell’umano sono universali

9 Settembre 2025
Dopo più di tre anni di guerra e missili, quando vedremo carovane e flottiglie, attori e scrittori, cantanti e registi, cortei e collettivi muoversi verso qualche città ucraina? Quando una goletta raggiungerà Odessa? Viviamo nella mobilitazione pubblica una solidarietà e un’indignazione selettive.
Gaza assurge a unico paradigma del male e delle guerre contemporanee, al quale nessuna figura pubblica, dello star system mediatico e culturale, della società civile, può sottrarsi dal prendere posizione — giustamente.
Ma le migliaia di morti e milioni di rifugiati e affamati delle guerre e delle pulizie etniche dallo Yemen al Sudan, dalla Libia al Corno d’Africa, dal Myanmar all’Afghanistan (di cui nessuno più narra da quando gli USA si sono ritirati) tutte queste tragedie sono sostanzialmente ignorate.
Non sono oggetto di posizionamenti politici, né di manifestazioni, dibattiti pubblici, polemiche o proposte di boicottaggi. Solo silenzio e indifferenza. Al massimo un trafiletto, un memo, un reel o un servizio di un minuto nel pastone finale dei telegiornali.
In molti di quei luoghi, ancora una volta, solo le ONG internazionali e i loro volontari sono presenti, e neanche tutte. Qui non si tratta di relativizzare o ridimensionare quel che succede in Palestina, ma di non relativizzare le ferite, le lacerazioni e le piaghe del mondo altrove.

Nella nostra società civile, nelle nostre opinioni pubbliche, qual è il metro di giudizio del dolore, dell’empatia, dell’intensità dell’indignazione contro le guerre e le tragedie della storia? Siamo alla gerarchia del male? Un’entità collettiva ha emanato criteri in base ai quali  popoli e nazioni possano essere riconosciuti da tutti come vittime e oppressi? E quali sarebbero i criteri? Il numero dei morti? La durata dei conflitti? La visione in diretta dei massacri? La cultura, l’appartenenza etno-nazionale delle vittime? Le responsabilità, le colpe degli stati, dei governi e degli apparati, riconosciute e denunciate sempre e solo quando sono occidentali, europee o americane? Anche questo è un doppio standard. Irricevibile.

 

In questa era di guerre totali, di fronte al fallimento e all’impotenza politica delle Nazioni Unite, alla mancanza di un soggetto in grado di garantire il rispetto del diritto internazionale e umanitario, di concordare tregue e prospettive di pacificazione, dove la forza e la volontà di potenza degli stati appaiono incontenibili, l’esempio della Global Flotilla, consapevoli del suo significato in gran parte solo politico e simbolico, può e deve essere esteso altrove: abbiamo bisogno di un nuovo internazionalismo.

La violenza gratuita sugli inermi non può variare in base alla latitudine e alla geopolitica. La sacralità dell’umano è universale, non conosce confini né geografie.
Gaza ucraina
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